19
Apr
2010

Tutti i vulcani dell’economia globale

Se siete appassionati di scenari economici, e non necessariamente amanti del lieto fine, avete solo l’imbarazzo della scelta: la classica Grecia, l’Eyjafjallajokull (qui un esaustivo pezzo dell’eccellente sito The Oil Drum), e il nuovo caso-Goldman (qui le tredici domande di Barry Ritholtz; a seconda delle risposte si produrranno effetti variabili tra i fuochi d’artificio e l’inverno nucleare, ma noi scommetteremmo sul primo esito).

Su quest’ultimo fronte, poiché tutto o quasi si tiene, conviene riflettere circa il fatto che John Paulson, il gestore di hedge fund che ha scelto i mutui subprime da introdurre nei titoli sintetici (collateralized debt obligation, Cdo), prendendo al contempo posizione sul loro default, ha attualmente delle importanti posizioni di titoli di stato greci, che potrebbe essere costretto a liquidare per far fronte ad eventuali risarcimenti. Ad oggi Paulson non è stato fatto oggetto di alcuna denuncia; quando ciò avverrà potrà difendersi ribadendo che non possedeva alcuna informazione riservata circa l’imminente dissesto dei mutui subprime che ha contribuito a fare inserire nelle strutture create da Goldman, perché lavorava esclusivamente su proprie previsioni.

Goldman, per contro, avrebbe dovuto comunicare agli investitori che Paulson stava scommettendo sul default, perché questa era una informazione materiale. La partita è solo agli inizi, ed avrà importanti risvolti politici, legati alla riforma del sistema finanziario che Obama sta tentando di fare passare al Congresso. Far rivivere lo psicodramma nazionale della Commissione Pecora potrebbe essere l’arma scelta dalla Casa Bianca per raggiungere l’obiettivo.

Ma c’è un’altra scatola cinese da aprire, e neppure l’ultima: per costruire i Cdo coinvolti nell’indagine della Sec, Goldman ha dovuto vendere protezione creditizia a Paulson; per coprirsi da questa operazione doveva fare un’operazione di segno opposto, cioè comprare protezione da un terzo operatore. Questo terzo potrebbe essere stato AIG, l’assicurazione che vendette protezione al mondo sulla fine del mondo, senza poter far fronte ai propri obblighi in caso si fosse verificato l’evento di default. Sappiamo che, dal salvataggio di AIG, Goldman è stata integralmente indennizzata delle posizioni che aveva aperte con essa. Se AIG fosse fallita, è verosimile ritenere che anche Goldman ne avrebbe seguito la sorte.

La morale? Il sistema finanziario ha un tale livello di complessità e, soprattutto, di “furtività”, da essere praticamente irriformabile. Questa è la scomoda verità con cui dovremo convivere.

Update: da una verifica fatta, ci risulta che Abacus era tra i CDOs per i quali Goldman aveva comprato protezione da AIG e che ora sono sul bilancio della FED attraverso il veicolo Maiden Lane III, dopo che questa ha rimborsato il 100% a Goldman. Dovrebbe trattarsi della tranche supersenior, quindi se Paulson ha comprato protezione anche su quella, abbiamo un bel trasferimento quasi diretto dal taxpayer ad un hedge fund.

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11 Responses

  1. azimut72

    Sono un estimatore del sito TheOilDrum.
    E’ sicuro che il suo collega Stagnaro ne sia altrettanto entusiasta?
    Concordo comunque che sia un sito eccellente e con una rassegna stampa sul mondo energetico migliore di qualsiasi ufficio marketing.

    Non sono invece d’accordo sull’irriformabilità del sistema finanziario.
    Bisogna avere degli statisti coraggiosi, questo sì!!!
    Coraggiosi perchè una VERA RIFORMA DEL SISTEMA FINANZIARIO implica NECESSARIAMENTE rinunciare a livelli di crescita del PIL a 2 cifre anno su anno.
    Una cosa a cui il mondo occindentale (e americano in particolare) è diventato addicted negli ultimi 15 anni e cui parte del mondo BRIC non può fare a meno.

    Ma se qualche statista di buona volontà si accorgerà che la Cina ha bisogno di noi più di quanto noi abbiamo bisogno della Cina…beh…quel momento potrebbe essere il vero punto di svolta. L’affaire GOLDMAN SACHS è una mossa sullo scacchiere in questo senso.

  2. Pietro M.

    Irriformabile no: tutte le posizioni si possono sciogliere, basta mettere i corretti incentivi e aspettare tempo a sufficienza, cioè stare 2-3 anni in recessione.

    Se l’attuale problema è dato da financial leverage, maturity mismatch, opacity, complexity & Co, basta ridurre tutti questi problemi, agendo sulle cause, e senza illudersi che sia a costo zero.

    Un sistema finanziario non può funzionare se passività a vista (demand deposits) o a breve (commercial paper) sono usati per finanziare investimenti in capitale fisso o immobiliari. Un sistema finanziario non può funzionare se per ogni dollari di capitale ci sono 20-30$ di debito. Un sistema finanziario non può funzionare se nessuno sa cosa ha in tasca e se tutti svolgono operazioni complicatissime assumendo che tutto funzioni alla perfezione sempre.

    Non è certo una cosa nuova: dal 1927 al 1929 si vennero a creare problemi simili. La debt+deflation theory di Fisher non era altro che un modello di acceleratore (deceleratore) finanziario in cui la contemporanea presenza di debito nominale e deflazione dei prezzi ingigantiva la crisi (nel 1921 c’è stata la seconda ma non c’era il primo, diceva Fisher: io sono per dare quasi tutta la colpa a Hoover, come Ohanian nel recente paper del 2009 su Economic Theory, in cui ripete verbatim le argomentazioni di Rothbard del 1963 – che a sua volta aveva ripetuto le argomentazioni di Chester Phillips del 1937, ma il debito è un deceleratore finanziario notevole).

    E a chi dava la colpa FIsher? “Monetary easiness”, diceva in uno degli ultimi paragrafi del paper. I problemi sono sempre gli stessi: cambiano solo i nomi dei macroeconomisti.

    Ora, non esiste nessun percorso che parte dallo stato attuale ed arriva ad uno stato decentemente robusto sul piano finanziario senza una pesante crisi.

    Quindi la scelta è: permettere il deleveragine e patire subito, o cercare di posticipare il deleveraging ad ogni costo, creando maggiori problemi in futuro (come nel 2001, o nel 1927).

    Quando si posticipa un riaggiustamento, la posta in gioco sale sistematicamente. Se si fosse impedito alla Fed di intervenire anticiclicamente negli anni ’20 e negli ultimi 20 anni, né il 2007 nel 1929 sarebbero stati tanto gravi. Purtroppo i politici continuano a giocare al lascia e raddoppia sulle nostre teste.

    La politica economica consiste essenzialmente nel perpetuare uno stato di sequilibrio sistemico sperando che un miracolo arrivi a curarlo.

    Io dubito che la crisi vera sarebbe molto più grave di quella degli anni ’80 se si lasciassero i mercati aggiustarsi. Il ’29 è stata una precisa scelta politica di Hoover e Roosevelt e non una necessità. Senza intervento pubblico la crisi già sarebbe finita da un pezzo, anche se sarebbe stata molto più grave (nel 1921, che comunque era strutturalmente grave per una serie di motivi, in 18 mesi di crisi l’output industriale fu dimezzato, e poi ricominciò come un treno – anche troppo).

    Qui sarebbe interessante capire un po’ le cause della crisi Giapponese e della sua perpetuazione, perché la smoking gun non è stata trovata ancora (mentre per il ’29 già si sa quasi tutto, con Ohanian a confermare ciò che si diceva già nel ’37).

  3. Fuori di teoria, visto anche che su questi temi ci lavoro ormai da un quindicennio, posso dire che non sono così ottimista (non lo sono affato) sulla riformabilità del sistema. In questi anni ho visto termsheet di operazioni che nessun regolatore avrebbe saputo sbrogliare o ricondurre univocamente ad una fattispecie di regolazione, in nessun caso. Il problema del deleveraging è cosa distinta da quello della regulation. Sono d’accordo che la prima debba avvenire, la seconda è semplicemente irrealizzabile, date le premesse e la tipologia di “innovazione” che le banche d’affari continuano a sfornare su base pressoché quotidiana.

  4. azimut72

    @seminerio
    Neanche io sono ottimista.
    Ma so anche che quando le spinte sociali sono sufficientemente forti, la Politica entra in gioco a discapito di tutti gli altri attori (e non c’è CEO di banca che possa contrastare questo fenomeno).
    A quel punto c’è il 50% di possibilità….
    Non si vedono statisti con le palle in giro ma l’imponderabile, in questi casi, è sempre dietro l’angolo.

  5. Riccardo C.

    @seminerio
    chiedo, dopo averla ringraziata per il post interessantissimo, se il problema della regulation lo vede di difficile soluzione in quanto non crede tout-court nella utilità di “regole” che impediscano comportamenti scorretti o se invece è una questione di fiducia nella classe politica mondiale?
    Mi spiego, spesso ed a ragione in questo blog si ritiene la politica come la causa più che la soluzione. Mi pare però ragionevole pensare che in questo caso la risposta debba venire dalla politica.
    Allora perché vengono pregiudizialmente contrastate (non da lei) le mosse che Barack Obama si appresta a fare parlando di timing sospetto?
    Sia chiaro, non credo in ipotetiche qualità taumaturgiche di Obama, ma almeno qualcosa si muove oltre oceano. E la dimostrazione che se non si muove qualcosa “là”, non avviene neanche “qua” è il fatto che ora anche la Fsa si muove.

  6. @Riccardo C.
    Domanda molto opportuna, la ringrazio. Io vedo le riforme come irrealizzabili perché conosco (semplicemente perché lavoro in quell’ambiente) l’incredibile capacità della finanza odierna a farsi “liquida” rispetto alla regolazione, cioè ad aggirarla, salvandone la forma, in modi che i non addetti ai lavori neppure immaginano. Il mio è semplicemente disincanto da esperienza. Poi, visto che tutti siamo abili nel trovare collegamenti e siamo culturalmente imparentati con Machiavelli, possiamo leggere l’azione di Obama come un tentativo per forzare il percorso del bill di Chris Dodd.

    Semplicemente, la classe politica mondiale non riuscirà in nessun caso a piegare ai propri voleri la finanza. In primo luogo, perché la classe politica non conosce quali sono i propri voleri, elemento da non sottovalutare. Secondariamente perché la classe politica non conosce i veri meccanismi che guidano la finanza mondiale. Da ultimo, perché la la classe politica è geneticamente miope, e per ciò stesso corruttibile.

    Non è questione di argomentare secondo il classico schema laissez faire vs. statalismo, è proprio un altro piano, più ontologicamente pessimista.

  7. Pietro M.

    Mario: concordo che una buona regolazione sia impossibile. Bisogna però capire da dove viene il problema. Il mercato funziona così: chi sbaglia paga e chi ha ragione vince: solo nel settore bancario si fa eccezione, tramite le safety nets.

    Il problema numero uno è: le safety net creano domanda di rischio, la domanda di rischio crea domanda di safety net. Reazione positiva: sistema instabile nel lungo termine. Soluzione: tagliare la reazione, e siccome non si può impedire agli imprenditori di ricercare profitti, è necessario far pagare i costi in modo da allineare i profitti all’economia reale.

    Ma lo stato non è in grado di tornare indietro dopo aver commesso un errore: sa soltanto raddoppiare la posta in gioco. E invece di eliminare le safety net, cerca di eliminare la possibilità di sfruttare le opportunità di profitto non fondate sui fondamentali economici create dalla socializzazione del rischio.

    Al che si crea il problema numero due: esattamente come gli imprenditori sono incentivati dal sistema dei prezzi a sfruttare opportunità id profitto create dalla safety net e che non hanno senso sul piano dell’economia reale, così sono incentivati ad aggirare le regolamentazioni.

    Se con una mano si salvano le banche (politica monetaria, assicurazione sui depositi, bailout, ricapitalizzazioni, regulatory forebearance e sospensioni del mark-to-market) e con l’altra si vincolano i loro comportamenti con regolamentazioni (tralasciando i problemi di public choice) si creano incentivi contraddittori.

    E’ forse sufficiente eliminare le politiche del primo tipo, se sono l’unica causa di moral hazard. Nel caso più realistico in cui la finanza ha qualche elemento di pazzia endogena, comunque la domanda di rischio ne sarebbe ridotta, anche se l’instabilità non azzerata.

    Lunghi periodi di boom senza una base di intervento governativo non sono possibili: sia la crisi del ’29 che quella del 2007 sono il risultato cumulativo di anni e anni di inflazionismo. Di quesot è difficile esserne certi, però. Se è vero, l’eliminazione delle politiche anticicliche e delle safety net sarebbe sufficiente a prevenire grossi scompensi strutturali.

    Nulla di tutto ciò può salvare l’economia da un collasso temporaneo, ma questo è il prezzo da pagare per essere finiti in uno schema di Ponzi.

    La normalizzazione nel 1990 sarebbe stata gratis. Nel 2000 sarebbe costata molto. Nel 2007 il conto sarebbe stato enorme. Salvare le banche crea domanda di salvataggi: è uno schema di Ponzi. Non è mai tardi per uscirne, ma è troppo tardi per non rendere l’uscita molto molto costosa.

    Il mio paper di Sestri Levante (How not to reward innovation) analizzava proprio la logica della dinamica: safety net / risk taking.

  8. pietro64

    Nessun politico sarà mai così masochista da rompere il giocattolo. Alla politica conviene rinviare il problema comprando tempo aumentando i mezzi fiduciari che creano distorsioni e poi fare regolamenti che correggono le distorsioni e apparire come i salvatori della patria (vedi Obama ed Helicopter Ben). Intanto i gestori neokeynesiani sono entusiasti “E’ con questo spirito che bisogna accostarsi a un quadro macro e di mercato che appare straordinariamente favorevole. Alessandro Fugnoli http://www.trend-online.com/?stran=izbira&p=prp&id=268001” mentre gli Austrian duri e puri alla Jesus Herta de Soto ovviamente non cambiano idea.
    Il tempo dirà chi ha ragione io penso Jesus Huerta de Soto.
    Pietro64

  9. Pietro M.

    Mario: concordo pienamente che sono totalmente impossibili, la sola idea che in politica si possa fare qualcosa di buono violerebbe la mia Weltanschauung.

    Ma proprio perché non ci sono speranze di buone politiche nell’attuale assetto istituzionale che bisogna rivederne le fondamenta: il breve termine è definitivamente perso, non c’è alternativa che pensare al lungo.

    Presto o tardi l’attuale sistema di interventismo statale arriverà alla frutta, sepolto dai debiti, dall’inefficienza e dalla corruzione. L’unico modo per evitare ciò è convincere tutti che la politica è il problema e non la soluzione, altrimenti le elite di potere continueranno a portarci al disastro. Il 90% delle politiche sono stupide e creano solo problemi, ma sono tutte politicamente inevitabili nell’attuale assetto istituzionale.

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