4
Nov
2009

Troppa politica e poco mercato nella vicenda Opel – GM

Il colpo a sorpresa di General Motors cambia non di poco la situazione del mercato automotive mondiale. Il gruppo americano, dopo aver chiesto il chapter 11 nel luglio scorso, aveva deciso di vendere la filiale europea, Opel.  A distanza di pochi mesi, è arrivata ieri la decisione di non vendere e di attuare una ristrutturazione interna. La lotta tra le diverse cordate era stata vinta da Magna International, leader nella vendita di componentistica e fornitrice di tutte le case automobilistiche. Il paese che maggiormente era stato interessato dal processo di riorganizzazione di GM era la Germania e per questa ragione il Governo tedesco aveva fortemente influenzato la decisione. La soluzione Magna era stata supportata finanziariamente e politicamente da Angela Merkel, in piena campagna elettorale. Non è forse un caso che, dopo aver vinto le elezioni, la Cancelliera abbia avuto meno urgenza nel trovare una soluzione. Bisogna ricordare che il mercato in questa “partita” ha un ruolo molto residuale, in quanto attualmente  il colosso di Detroit è controllato dal Governo Americano.

La vendita a Magna aveva tanti difetti e il Governo tedesco aveva già finanziato con 1,5 miliardi di euro la continuazione del business e prometteva in totale quasi 5 miliardi di euro per la riorganizzazione. Ora quel denaro probabilmente dovrà essere restituito, ma in realtà il “conto” sarà pagato dai contribuenti americani, che già hanno salvato GM con decine di miliardi di dollari.

La decisione di GM deriva da fattori di mercato o almeno simililari. Il management ha giustificato la scelta con “un ambiente di sviluppo del mercato” e dunque ha visto la possibilità di mantenere all’interno la filiale europea e di potersi ristrutturare, senza perdere una dimensione importante.

In effetti il mercato americano nell’ultimo quadrimestre ha visto crescere le vendite e nel mese di ottobre  le vendite di veicoli sono state stabili. GM ha venduto il 5 per cento in più di automobili rispetto al mese di ottobre dello scorso anno, ma il bilancio annuale rimane molto difficile con il 33,6 per cento in meno di vendite nei primi 10 mesi del 2009. Altri mercati, come quelli dei principali paesi europei invece hanno visto una ripresa negli ultimi mesi ed Opel ne ha beneficiato.

Il mercato è stato “dopato” dagli aiuti, ma questo forse è stato il lato meno grave delle politiche dei Governi. Il peggio è stato raggiunto con gli aiuti diretti alle case automobilistiche, che ancora una volta sono state dichiarate troppo “grandi” per fallire. Questa distorsione del mercato è stata attuata da Sarkozy in Francia, dove ha subordinato l’accesso ai finanziamenti per le diverse case automobilistiche francesi, al mantenimento dei posti di lavoro in Francia e da tanti altri Governi.

In particolare il Governo USA guidato dal presidente Barack Obama è stato il più prodigo con i soldi dei contribuenti americani. Nel salvataggio di Chrysler e GM ha immesso decine di miliardi di dollari, con una distorsione molto forte del mercato.

Ha infatti disincentivato gli investimenti di case automobilistiche straniere negli Stati Uniti, che si sono viste la concorrenza di aziende meno efficienti che altrimenti sarebbero fallite. Anche Ford, che ha riportato un profitto di quasi un miliardo di dollari nell’ultimo trimestre, si è vista la concorrenza dei due colossi salvati dal Governo.

 La decisione di rifiutare l’offerta di Magna è del tutto legittima da parte del management di GM, ma bisognerebbe vedere quanto questa decisione sia stata influenzata da motivazioni economiche reali e non “falsate” dall’intervento pubblico.

Nell’ultimo anno nel mercato automobilistico si è visto il peggio di quanto la politica sia capace di fare con un intervento diretto nel mercato.

Tutta questa vicenda, comunque vada a finire ha sicuramente un perdente: il contribuente americano.

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4 Responses

  1. luigi zoppoli

    La cosa strabiliante è che questi maneggi politico-sindacal-elettoral-clientelari, di tutto si sono occupati meno che del destino e delle prospettive aziendali di Opel. Se così fosse stato, a mia opinione, la soluzione Magna era da scartare a priori.

  2. marianusc

    mi domando, se le case automobilistiche fossero lasciate fallire, i disoccupati che ne deriverebbero peserebbero allo stesso modo sul contribuente sotto le sembianze di cassa integrazione o chi per lei in altri paesi?
    E se poi ci mettiamo che la crisi rende assai lunghi i tempi di ripresa dell’occupazione, tanto vale salvare le case automobilistiche sperando che possano riprendersi più velocemente di quanto si riprensa l’occupazione, anche per evitare la dispersione di alte professionalità nel settore, di tecnologie avanzate e impianti che andrebbero dismessi.
    Dov’è che non va questo ragionamento?

  3. Andrea Giuricin

    Gentile lettrice,

    se le case automobilistiche fossero state lasciate fallire (normalmente) e non come è successo per i due grandi produttori di Detroit, sia Chrysler che GM avrebbero continuato a produrre automobili.
    Si sarebbero dovute ristrutturare e avrebbero certamente ridotto l’occupazione.
    Tuttavia non avrebbero creato distorsioni di mercato e non avrebbero impedito la creazione di nuovi posti di lavoro da parte di produttori esteri negli stessi Stati Uniti. Oggi il 40 per cento delle auto prodotte in USA è fatto da grandi case automobilistiche straniere, negli Stati del Sud e non nel distretto caro ad Obama di Detroit.
    Il fatto che il Governo Obama abbia deciso di finanziare la ristrutturazione con decine di miliardi di dollari di denari dei contribuenti, ha fatto si che le aziende estere non potessero investire come avrebbero potuto fare e non hanno potuto creare nuovi posti di lavoro.

    Un fallimento “normale” di GM e Chrysler non avrebbe bloccato la produzione di auto di questi due case automobilistiche; ma un fallimento “normale” non avrebbe fatto iniettare decine di miliardi di euro pubblici dei contribuenti e non avrebbe impedito la creazione di nuovi posti di lavoro da parte di operatori più efficienti.

    In realtà, con la ristrutturazione pubblica, si è deciso politicamente di salvare le aziende meno efficienti solo perchè troppo grandi e troppo americane per fallire e così facendo si è eliminata la possibilità di creare nuovi posti di lavoro e di lasciar vincere le aziende che più hanno investito in tecnologia e modelli vincenti.

  4. marianusc

    Grazie per la risposta.
    Se ho ben capito quindi la differenza tra un fallimento normale e quello fatto dall’amministrazione Obama è che nel primo caso la ristrutturazione e rifinanziamento dei debiti è a carico di privati, mentre nel secondo caso a carico dei contribuenti, e che la disoccupazione conseguenza di questa ristrutturazione non peserebbe su di loro più di quanto non faccia l’iniezione di denaro pubblico?
    Inoltre le distorsioni di mercato indotte dal salvataggio sono a tutto danno del miglioramento dei prodotti che è conseguenza di una concorrenza leale di più operatori.

    Possibile che dietro quest’operazione ci sia solo una questione di consenso politico? non ci sono argomentazioni di tipo strategico per le nazioni nel mantenere una casa automobilistica nazionale? Troppo grandi per fallire non vuol dire che un fallimento normale provocherebbe fenomeni troppo violenti da rendere auspicabile un fallimento pilotato?

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