28
Dic
2009

Spesa o tasse?

Nei commenti al post di Boggero esprimevo la mia perplessità nel constatare che molti liberali (non Boggero) vedono le tasse come un problema più grave della spesa pubblica. Questo è probabilimente il lascito intellettuale di Reagan, che notoriamente con la serietà fiscale non aveva alcun rapporto, e che quasi raddoppiò il rapporto debito/PIL americano. “Dov’è finita la serietà fiscale?”, verrebbe da chiedersi, visto che il debito pubblico, un tempo “eredità poliitca di Mr. Keynes” (Buchanan/Wagner), è diventato il non plus ultra del liberalismo, in genere preceduto da “neo”, che probabilmente in greco significava “si fa per dire”. Si potrebbe dire qualcosa sul rapporto tra tasse, spesa e crescita, ma siccome è un problema molto complicato mi limiterò a considerazioni di carattere politico e non economico: prima politico, cioè ideologico, e poi politologico.

Cominciamo dall’ideologia. Se definiamo il liberalismo come la dottrina secondo cui ognuno dovrebbe “fare ciò che vuole con ciò che possiede”, le tasse o la spesa pubblica limitano la libertà degli individui perché non sono sotto il controllo dell’individuo, ma decise dall’elite politica (che in filosofia politica si chiama stranamente “volontà popolare”: ogni tanto penso che se la Mafia assodasse qualche alto pensatore diventerebbe presto più rispettabile). Tasse o spesa?

Le fonti di introiti dello Stato sono quattro: privilegi monopolistici, tasse (dirette e indirette), signoraggio e deficit. Se escludiamo concessioni e signoraggio, la spesa pubblica si paga con le tasse oppure accumulando debito. Se un’economia produce 100€ e la spesa pubblica è 50€, ogni cittadino ha diritto a scegliere come usare il 50% di quello che produce, mentre subisce le decisioni dell’elite politica / volontà popolare per il rimanente 50%. Che lo Stato raccolga 50€ in tasse, o emetta 50€ in bond, non cambia nulla: la percentuale di risorse controllate dallo Stato è data dalla spesa.

Alcuni dicono che i tagli alle tasse si ripagano da soli, ma questo non l’ho mai visto, mentre altri dicono che i tagli alle tasse limitano la crescita della spesa pubblica, ma anche questo mi sembra dubbio: curve di Laffer e bestie affamate esistono nell’immaginario (neo)liberale, ma un po’ meno nella realtà. In ogni caso, ridurre il peso dello Stato dell’economia richiede di tagliare quei 50€ di spesa, e non i modi in cui viene finanziata: il fine dovrebbe essere chiaro, al di là dei mezzi più o meno adeguati.

Finiamola con l’ideologia, e passiamo alle scienze politiche. Sul piano politico c’è un ottimo motivo per preferire le tasse al deficit: le tasse mostrano al cittadino quanto lo Stato costa direttamente, senza fargli fare quei complicatissimi conti sull’evoluzione del debito pubblico necessari all’equivalenza ricardiana. Purtroppo questo fattore è molto limitato, perché lo Stato crea ad hoc sistemi fiscali così complessi che è impossibile capire chi paga cosa, e, come nel gioco delle tre carte, il cittadino non capisce nulla (e viene fregato: termine tecnico per dire che in presenza di pesanti asimmetrie informative la democrazia difficilmente può funzionare).

Detto questo, credo che uno Stato serio – due parole che assieme non hanno molto senso, per parafrasare il cantante dei Megadeth – debba avere deficit nulli (salvo casi molto eccezionali) e sistemi fiscali estremamente semplici, in modo che ogni cittadino si accorga di quanto lo Stato costi. Altrimenti non è che non c’è libertà, è anche pure la democrazia funziona male (il che non è una novità: io mi stupisco che non funzioni peggio, in genere).

Le tasse sono la parte più visibile dello statalismo: proprio per questo sono il male minore. Il problema è la spesa, e dire ai cittadini “guardate che quello che ottenete (poco) è pagato da voi stessi (tanto)” è preferibile, per quel poco che serve, a sostenere politiche fiscali di deficit strutturali che avrebbero fatto inorridire un liberale senza nei, e scusate il gioco di parole.

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9 Responses

  1. Antonio Porcù

    incredibile, leggere queste stronzate: il reddito da signoraggio non e’ una risorsa dello Stato, ma risorsa delle banche “private” che emettono denaro prestandolo agli stati in cambio di titoli di debito pubblico gravati da interessi, gli interessi sono denaro non in circolazione quindi mai emesso, quindi il debito pubblico per sua natura e’ insanabile, una truffa che indebolisce fino al totale collasso gli stati che vivendo costantemente in bancarotta tecnica prima o poi dovranno dichiararer il default dei titoli. quindi sperare nella ripresa economica e’ dare fiducia al sistema e’ come credere ai somarti che volano che sono quei politici e banchieri che vi chiedono di aver fiducia.

  2. liberal

    Buon articolo, complimenti! Molti dei cosidetti neo-liberali, non possono inveire troppo contro la spesa pubblica, perchè sono liberali nei loro portafogli e prendono a piene mani i soldi pubblici, quando possibile.
    Lo scoppio dell’ultima crisi ha evidenziato questo comportamento, anche ai più distratti.
    Le tasse altresì, le devono pagare anche loro.
    Banale come ragionamento, ma molto vicino al vero.

    P.S.: Apprezzo anche l’indicare Reagan, come tutto, fuorchè un buon Presidente. Dopo la sua resistibile ascesa al potere, con una demagogia per popolo bue, la forbice economica tra cittadini è aumentata a dismisura ed ha praticamente semidistrutto la classe media americana, che come sappiamo è la base di stabilità per ogni democrazia.

  3. Pietro M.

    @liberal

    Reagan ha fatto buone cose, come tagliare le aliquote fiscali, liberalizzare qualcosa qui e là (finanza e lavoro), e chiacchierare un sacco sul libero mercato (come sempre, in politica le chiacchiere superano i fatti di diversi ordini di grandezza.

    Purtroppo ha fatto due errori: ha ampliato il deficit e il debito come un demagogo qualunque, e ha nominato a capo della Federal Reserve una calamità di nome Alan Greenspan, che è alla base di tutti i grandi problemi economici strutturali degli Stati Uniti: fragilità finanziaria, indebitamento, dipendenza dai risparmi cinesi, instabilità economica.

    Per quanto riguarda le altre colpe, non so se è vero o meno che la classe media americana è più debole, non conosco dati. Però mi pare più l’effetto della politica monetaria della calamità innaturale di cui sopra che non di altre politiche.

    Io su Reagan ho un’opinione più sofisticata. Gli USA del 1979 erano un paese in crisi, sulla via del declino da anni, con una leadership mediocre. Il “misery index” cioè la disoccupazione e l’inflazione, il risultato delle fallimentari politiche economiche keynesiane, era elevatissimo. Le aliquote fiscali erano sufficientemente progressiste da togliere la voglia di lavorare a tutti, e l’economia era ingessata da molti lacci.

    Un paese in questa situazione ha due alternative: non fare nulla e continuare l’agonia, e questa è la scelta che è stata fatta in Italia negli ultimi decenni, e ne vediamo le conseguenze; o avere coraggio e fare delle riforme, e quindi abbiamo Reagan.

    Reagan fece il minimo indispensabile per rilanciare gli USA e creò due problemi strutturali enormi. Perché? La mia spiegazione è che un paese in crisi spaventa la classe politica, e quindi le riforme si possono fare solo quando le elite cominciano ad avere paura di dominare un paese agonizzante. Ma una volta risolto il problema, almeno nel medio termine, la politica si fa i suoi interessi come sempre. Non esiste soluzione politica ai problemi politici, purtroppo.

  4. Pietro M.

    @Antonio Porcù
    Vediamo un po’ chi dice, usando la sua colorita terminologia, “stronzate”.

    MYTH: “il reddito da signoraggio non e’ una risorsa dello Stato”

    Il reddito da signoraggio da emissione di banconote va al Tesoro, salvo una piccola parte che serve per coprire le spese della banca centrale, a volte per creare fondi di stabilità contro rischi di cambio, e in parte ridicola (15000€ l’anno in Italia) ai privati.

    MYTH: “quindi il debito pubblico per sua natura e’ insanabile”

    Il debito pubblico è sanabilissimo: basta creare avanzi di bilancio sufficienti a pagarlo. L’avanzo di bilancio dipende dal Tesoro, che se tassasse più di quanto spende starebbe in attivo. Tanto per fare un esempio: nel 1997 il Belgio aveva un debito pari al 122% del PIL, e dieci anni dopo era l’84%, cos’è secondo lei, hanno risanato il bilancio o hanno mandato i carriarmati nelle banche?

  5. Non concordo con l’articolo.
    Le tasse vanno tagliate comunque. I tagli alla spesa pubblica seguono, volente o nolente. Il deficit è semplicemente una tassa differita nel tempo, se si ripagano i debiti.
    Chi presta denaro allo stato deve valutare se lo stato è in grado di ripagare il prestito e si assume questo rischio. Se gli presta denaro oltre la capacità di restituzione, merita di perderlo.
    Dato che l’esistenza dello stato è giustificabile solo se è benefica per le persone che vi appartengono, non può esistere uno stato che rende i suoi cittadini futuri assogettati ad un debito che non hanno voluto, che non hanno fatto e che non sono tenuti a pagare.
    Non vedo perché lo stato non può essere trattato come una qualsiasi società per azioni, dove la responsabilità dei singoli è limitata alla somma investita volontariamente. Ci deve essere un limite ben preciso alla responsabilità personale di ogni cittadino nei confronti del debito dello stato.
    Meglio che lo stato vada in default piuttosto che faccia morir di fame le persone con tasse assurdamente alte.

  6. oscar giannino

    Ok ragazzi, Pietro ha ragione nel merito, tirata d’orecchi a Myth per il fallaccio verbale commesso: qui da noi non gradito, nella più piena apertura al dibattito aperto e contrastante, ma senza per questo piegare il capo all’omaggio che violenza verbale finisce per rendere spesos a superificilità e ingnoranza del merito….

  7. Libertario

    Mah, Rothbard (oltre a proporre la repudiation del national debt, che se teoricamente mi pare inappuntabile, non lo sembra praticamente) scriveva però anche che: “Similarly, in this age of permanent federal deficits, we are all faced with the problem: should we agree to a tax cut, even though it may well mean an increase in the deficit? Conservatives, from their particular perspective of holding budget-balancing as a higher end, invariably oppose, or vote against, a tax cut which is not strictly accompanied by an equivalent or greater cut in government expenditures. But since taxation is an evil act of aggression, any failure to welcome a tax cut with alacrity undercuts and contradicts the libertarian goal. The time to oppose government expenditures is when the budget is being considered or voted upon, when the libertarian should call for drastic slashes in expenditures as well. Government activity must be reduced whenever and wherever it can; any opposition to a particular tax—or expenditure—cut is impermissible for it contradicts libertarian principles and the libertarian goal” (Murray N. Rothbard, The Ethics of Liberty)

  8. Pietro M.

    @Libertario
    Rothbard confonde la quantità di ore TOTALI che si deve lavorare per lo Stato, che è data dalla spesa pubblica, dalla quantità di ore PRESENTI che si deve lavorare per lo stato, che sono le tasse. Ovviamente, se il debito pubblico venisse ripudiato, il ragionamento filerebbe: niente tasse oggi e niente debito domani, ma se si toglie questa ipotesi tagliare le tasse è soltanto una scelta tra coercizione oggi e coercizione domani, senza alcun vantaggio evidente per la libertà.

  9. Pietro M.

    @Mirco Romanato
    “non può esistere uno stato che rende i suoi cittadini futuri assogettati ad un debito che non hanno voluto, che non hanno fatto e che non sono tenuti a pagare”

    Che non possa esistere posso confutarlo subito: quello attuale funziona così. Se vogliamo vedere lo Stato per quello che non è, cioè una società di diritto privato fondata volontariamente, tutto torna, ma nel mondo reale non è così. Meno tasse oggi = più tasse domani. Meno spesa oggi = meno coercizione oggi o domani a seconda del metodo di finanziamento. Non si può vedere lo Stato oggi come se fosse un’agenzia libera nata in conformità con gli ideali liberali, significa confondere ciò che è con ciò che si pensa debba essere, errore analogo ai democratici che parlano di sovranità popolare come se fosse un concetto sensato, invece di vedere come la politica funziona realmente.

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