3
Set
2009

Salario minimo, salario giusto?

Quanto del valore incorporato in un’automobile sarebbe andato al disegnatore della carrozzeria, quanto all’ingegnere progettista del motore, quanto al manovale adibito al trasporto delle lamiere, perché ognuno di essi potesse conseguire il prodotto integrale del proprio lavoro, senza appropriarsi del prodotto del lavoro altrui? Bruno Leoni

Dopo le pensioni, un altro piccolo regalino elettorale in zona Cesarini targato Große Koalition. Nella giornata dell’altro ieri la commissione paritetica del Ministero del Lavoro (Tarifauschuss), composta da politici, rappresentanti delle organizzazioni datoriali e dei lavoratori, ha infatti stabilito che in tre nuovi settori- già inseriti nella legge ad hoc votata ai primi dell’anno dal Parlamento (Arbeitnehmerentsendegesetz)- verrà introdotto il famigerato salario minimo (Mindestlohn). Alla decisione della commissione dovrà ora fare seguito un’ulteriore ordinanza di approvazione da parte del Ministro del Lavoro, il socialdemocratico Olaf Scholz. I settori in questione sono le grandi lavanderie, le miniere e le imprese di nettezza urbana, che insieme impiegano circa 200.000 persone. Nulla di fatto, invece, nell’ambito delle attività che forniscono servizi di sicurezza -corpi di polizia privati, bodyguard e via di seguito.

Lo scenario rappresentato dai sindacati confederati (DGB) pare- a dire il vero- quello di metà Ottocento, con giovani e pallide lavandaie sfruttate, costrette a lavorare venti ore al giorno vicino ad imberbi minatori ampiamente “sottopagati” e in pessime condizioni psicofisiche. Al di là del fatto che il salario minimo per i lavoratori meno qualificati costituisce un inutile aggravio di costi per le imprese in tempi di crisi ed è risaputo portare in breve tempo a maggior lavoro nero e a un più alto di disoccupazione; ebbene, a parte tali considerazioni di ordine fattuale e statistico, mi pare sia molto più importante arrivare al nocciolo della questione, peraltro già toccata da Alberto Mingardi in un suo precedente post. Se infatti si considera che tra capitale e lavoro non possa esservi armonia, ovvero se si nega che al momento della conclusione di un contratto di lavoro, datore di lavoro e lavoratore abbiano interessi convergenti -“preferenze temporali inverse”, direbbe chi se ne intende- e che ciascuno di essi si metta volontariamente a servizio dell’altro; ebbene, allora porre un limite all’arbitrio del “padrone” che fissa salari “troppo bassi” rispetto alla inalienabile aspirazione del proletario di poter vivere del proprio lavoro, non soltanto è giustificato, ma è anche meritorio. Il problema sta insomma tutto lì: nell’idea ancora oggi in voga che i prezzi incorporino delle quantità di lavoro oggettive e che esista un prezzo giusto. E duole davvero dover ammettere che ad aver contribuito a diffondere una simile fandonia sia stato il caro buon vecchio Adam Smith. Eppure un’ora di lavoro nella lavanderia di Francoforte sul Meno non è mai uguale ad un’ora di lavoro in una lavanderia di Stoccarda o di Schwerin. Le condizioni di lavoro sono mutevoli, le circostanze in cui ci troviamo a lavorare pure, le stesse aspettative delle lavandaie non sono uguali per il mero fatto che tutte quante svolgono lo stesso lavoro. Una lavandaia che proviene da zone meno ricche considererà il prezzo del proprio lavoro in maniera completamente diversa da una lavandaia indigena. Il valore dello stipendio giusto non è quantificabile, è semplicemente soggettivo e dinamico. Si dirà: tutto ciò è vero sulla carta, ma non si può comunque accettare che vi siano persone che vivono con una paga da tre o quattro euro all’ora. Verissimo. Ed infatti nessuno costringe nessuno ad accettare tali offerte di lavoro. Altri diranno che è inumano e cinico approfittare del bisogno di persone in difficoltà. Si potrebbe rispondere che, seguendo questo ragionamento, è altrettanto inumano e cinico, quando si ha fame e si desidera una pagnotta, dover dipendere da un gretto fornaio che ci spilla due euro dal portamonete. Tutti quanti noi abbiamo maledettamente bisogno. E per colmare questo bisogno c’è sempre qualcuno che soccorre con la propria offerta. Prendere o lasciare. Nessun pasto è gratis.

Qui il documento del 2006 con cui l’FDP, il partito liberale tedesco, ha categoricamente respinto al mittente l’ipotesi di salari minimi.

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