21
Ott
2009

Posto fisso, “Quelle” note stonate

Posto fisso da Quelle? Ahiahiai. Dal 1 novembre la società bavarese di vendita per corrispondenza, autrice dal dopoguerra ad oggi di tanti cataloghi di successo, sparirà letteralmente dalla circolazione. La politica tedesca ha arbitrariamente stabilito che, a differenza di Opel, Quelle non abbia alcuna “rilevanza sistemica”. Dopo alcuni mesi di amministrazione controllata, la strada verso il fallimento è quindi ormai del tutto spianata. I sindacati lamentano che l’intervento statale sia avvenuto con estremo ritardo e che, se soltanto il Ministro Zu Guttenberg (CSU) avesse voluto, il malato sarebbe potuto essere salvato, evitando il licenziamento di circa 7000 persone. Il grido di dolore del sindacato Ver.di arriva proprio nel giorno in cui in Italia Giulio Tremonti si è detto convinto della necessità di riorientare l’intera struttura economica e produttiva del paese sul posto fisso, ovvero sull’immobilità. Le voci che provengono dalla Germania sembrano voler far eco a quelle del Ministro dell’Economia italiano. Dopo un’iniezione di denaro pubblico pari a 50 milioni di euro (i contribuenti ringraziano), le associazioni dei lavoratori avrebbero voluto praticare dell’accanimento terapeutico, pur di ritardare ancora di qualche mese l’uscita di scena di uno dei marchi simbolo dell’industria tedesca del miracolo economico. “La colpa del dissesto non è dei lavoratori, ma della dirigenza arrogante ed inetta che si è avvicendata dopo la fusione con Karstadt nel 1999”, si è più volte sentito dire. Può darsi e forse è anche così. Non risulta però che i sindacati abbiano alzato un dito negli ultimi anni, per esplicitare il loro dissenso nei confronti del progetto industriale del gruppo. Ciò detto, anche se la responsabilità dovesse pendere tutta in capo ai manager, ciò non giustificherebbe affatto il salvataggio di un’impresa, battuta da concorrenti più bravi e capaci. Il gioco del mercato, della “distruzione creatrice” per dirla con Schumpeter, se bloccato, produce parassitismo, come ha ottimamente spiegato Carlo Lottieri ieri nel suo post. In Germania aziende come Otto o Neckermann.de hanno saputo riconvertire la produzione, orientandosi con tempismo sulla rete, ormai mezzo privilegiato di acquisto per centinaia di migliaia di consumatori. Quelle ha perso il treno. Se è vero che i lavoratori che tra qualche settimana rimarranno senza lavoro, otterranno il sussidio di disoccupazione ALG I, non c’è motivo di strepitare contro la CSU, accusandola di fare della macelleria sociale. I posti di lavoro devono poter stare in piedi da soli, senza la stampella dei contribuenti.  Questa è giustizia sociale.

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7 Responses

  1. andrea lucangeli

    “i posti di lavoro devono poter stare in piedi da soli, senza la stampella dei contribuenti. Questa è giustizia sociale”: approvo, anche un NON economista come me capisce.- Ma con la FIAT allora come la mettiamo? Chiudiamo “baracca e burattini” , portiamo le linee produttive di Pomigliano e Mirafiori in Cina e tanti saluti…..- Bene, molto bene ma (piccolissimo particolare del tutto irrilevante per un teorico) cosa ne facciamo di 100.000 famiglie italiane? Andiamo porta a porta a spiegare che c’è il “dumping sociale” cinese che ci massacra? Che l’europa al tempo di Prodi ha detto ai cinesi: avanti, c’è posto.- Che ha teorizzato la Sicilia come porto naturale per la robaccia di pessima qualità che arriva da laggiù…..- Follie, follie masochiste!

  2. @andrea lucangeli
    Ciao Andrea.
    Lo scrivi, ma ti rifiuti di applicare il concetto sino in fondo:
    Cina ed India ci cannibalizzeranno [metalmeccanico (-Ferrari.Brembo), elettronico…etc..etc financo i pomodori cinaesi di SanMarzano…].
    Unico rimedio( anche se sembra una bestemmia), riapplicare dogane. Hai voglia a convincere i cinesi sull’etica del lavoro.
    In fondo, sono loro che pagano i vizi degli americani, e che li sostengono con T$.
    Noi dobbiamo solo capire in quanto tempo affonderemo.
    PS.: L’uomo di Lorenzago parla di posto fisso avendo ancora la katana insanguinata per la macellazione della PI. Una cinica standing ovation.
    Serenissimi Saluti
    martino

  3. Nel caso FIAT si potrebbe cominciare con il dire basta incentivi. Quando la risposta è sì a condizione che aumenti la produzione in Italia, si fanno più danni. Si scialacquano soldi dei contribuenti; si falsa il mercato; si danneggia l’azienda che deve produrre lì dove è più conveniente.
    Generalizziamo la fine disussidi, prebende, interventi; facciamo capire che Piedigrotta è finita e che le aziende devono stare in piedi da sole. Si otterrebbero risultati incredibili e positivi.

  4. oscar giannino

    … anche perché, come annunciato nel piano industriale Fiat, l’azienda torinese chiede&chiude. Chiede con tono imperativo gli incentivi e comunque chiude alla produzione atomobilistica lo stabilimento fuori costo di Termini Imerese, cumulando l’effetto distorsione dell’aiuto pubblico e la delusione di chi – sbagliando – sepra che coi denari pubblici presi dalle atsche di noi tutti si vinca nel confronto internazionale tra aziende…

  5. andrea lucangeli

    @ martino: concordo, rimedi “di guerra”, applicare dazi doganali contro il dumping-sociale.- Con i prepotenti (Cina, India) bisogna “fare la voce grossa”, non “calare le braghe”…- Putroppo in Europa all’orizzonte non vedo dei Churchill ma solo tanti Chamberlain….politicamente corretti che ci porteranno dritti dritti al disastro….

  6. Fabrizio

    Solo per dirti che non è vero che il sindacato tedesco non ha protestato negli ultimi anni contro l’arretratezza del piano industriale di quelle. È almeno un lustro che protestano contro la dirigenza e contro una persona in particolare, che ha eredidato il colosso anni fa.
    Sul sito dei ver.di. ci sono un sacco di documenti a riguardo. E nella tv tedesca a ondate se ne è parlato negli ultimi anni.
    PS: il sindacato tedesco è un altra cosa rispetto a quello italiano..

  7. Fabrizio, grazie per il commento. Sulle virtù del sindacalismo tedesco si può discutere.
    Circa Quelle, spero tu stia scherzando. Mi puoi linkare un qualsiasi file che si riferisca a prese di posizione di Ver.di all’interno del consiglio di sorveglianza di Arcandor negli ultimi anni? Non a battute da telegiornale o a comunicati stampa. Io ricordo tentativi di ristrutturazione nel 2007 voluti da Karl-Heinz Eick, appoggiati dalla leggendaria (sic!) Margaret Moenig-Raane di Ver.di, e ovviamente finiti assai male. In ultimo, Ernst Sindel (Betriebsratvorsitzende di Quelle) è una delle persone più compromesse con il management, in azienda da circa 40 anni. Tempo fa disse, in una lettera al Governo per battere cassa: “Vor uns liegt eine Menge Arbeit. Aber wir haben jetzt die Chance zu beweisen, dass unsere Konzepte tragen”. Eccome se “tragen”!

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