25
Nov
2010

Poche tasse, molte entrate. Perché l’Irlanda non vuole alzare le imposte sulle imprese

Alle prese con gravi problemi di bilancio conseguenti alla decisione davvero improvvida di salvare le proprie banche e quindi costretta ad affrontare un deficit fuori controllo (superiore al 30% del pil), l’Irlanda sta studiando in vari modi come ridisegnare la propria economia. Ci saranno tagli alle spese e, soprattutto, vi sarà un massiccio aiuto dal resto d’Europa. Non è sorprendente che in questa situazione si inviti l’Irlanda a modificare le proprie regole in materia fiscale, in particolare accrescendo il prelievo sulle imprese, che oggi è tra i più modesti d’Europa, dato che è solo al 12,5%.

Da questo orecchio, però, gli irlandesi sembrano non sentirci, per ragioni che un recente intervento di Nicolas Lecaussin dell’Iref (Institut de Recherches économiques et fiscales) ha illustrato molto bene.

L’Irlanda è infatti il Paese europeo che ottiene le entrate fiscali maggiori. Può sembrar strano che aliquote limitate producano grandi attivi, ma è così. In questo caso non si tratta in primo luogo di portare la mente alla “curva di Laffer” (che evidenzia come la tassazione, oltre un certo livello, deprima la produzione e quindi finisca per comprimere anche le entrate tributarie), quanto invece di aver ben presente che siamo ormai in un’economia largamente basata sulla concorrenza tra sistemi fiscali, legali e regolamentari. E poiché molte attività hanno una forte propensione a spostarsi, è normale che si trasferiscano dove il prelievo è più modesto.

In questo senso, i dati sono eloquenti. Con un’aliquota del 12,5% l’Irlanda riesce a introitare il 3,9% del pil, mentre la Francia ottiene solo il 3% (nonostante una tassazione al 34,4%), la Germania il 2,1% (con una tassazione al 29,8%) e la vecchia Europa “a 15” il 3,4% (con una tassazione media del 23,2%). Senza questa limitata tassazione, l’Irlanda non avrebbe mai conosciuto lo straordinario sviluppo che ha avuto negli ultimi trent’anni.

Il boom della Tigre celtica è stato figlio in larga misura, infatti, proprio della lungimirante decisione di abbassare le imposte, i contributi sociali, la regolamentazione. E se ora a Dublino la situazione è divenuta drammatica, questo si deve al fatto che le banche irlandesi – come quelle americane – si sono lanciate in operazioni irragionevoli (dando soldi a chi non era in grado di restituirli) e poi alla “generosità” con il ceto politico è corso in loro aiuto.

Ora anche i Paesi europei hanno messo mano al portafoglio, per togliere l’Irlanda dai guai, ma l’hanno fatto anche al fine di premere sul governo dell’isola affinché cambia la sua fiscalità. Gli “inferni fiscali” del continente – Germania, Francia, Italia ecc. – non sono disposti a sopportare la concorrenza delle economia a limitata pressione fiscale, ma i dati sulle entrate e l’esigenza di guardare al futuro sembrano indurre gli irlandesi a non modificare il loro sistema tributario. Speriamo sappiano resistere a lusinghe e minacce.

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7 Responses

  1. tommaso

    In qualche modo però ci sono finiti in questa situazione… forse la tassazione bassa non basta a fare di un paese una buona economia, forse ci sono stati “altri” errori da parte della politica e delle banche. Ma un’economia che è in negativo non può essere presa ad esempio. Stiamo attenti a non avere sempre e per forza l’ideologia del liberismo anti-tasse pericolosa quasi quanto lo statalismo.

  2. Riccardo

    Mi sembra non sia corretto comparare le percentuali di introito di Irlanda con Germania e Francia, troppo diverse le dimensioni delle economie, ma sarei curioso di sapere quale è la percentuale di Italia e Regno Unito

  3. stefano

    @tommaso
    Se la tassazione bassa non è bastevole per fare una buona economia, certamente una alta serve a mandare tutto in malora. Qui non si tratta di avere un’ideologia antitasse tout court, ma andare a vedere le cose con l’occhio pratico e fare paragoni con la situazione di un altro Paese.
    L’Italia, che a noi interessa, ha un sistema fiscale che è criminalmente autolesionista, sia per le pretese economiche sia per la tortuosità negli adempimenti.
    Già semplificarlo sarebbe un notevole passo avanti, ma questo porterebbe ad avere ben chiaro QUANTO si paga, cosa poco desiderabile da parte di politici e sindacalisti. Altrimenti le bollette di luce e gas non sarebbero così astruse, né le buste paga sarebbero dei rebus allucinanti.
    Ovviamente poi si toccano anche gli interessi dei commercialisti e degli “studi paghe”.
    Per cui, per quale motivo non cercare di fare pagare meno ai cittadini, sia in termini di soldi che in termini di rotture di palle?
    Per il resto mi pare evidente che, se l’Irlanda avesse fatto quello che doveva, ovvero lasciar fallire le banche, avremmo avuto un duplice effetto: niente sforamento del bilancio pubblico e bacchetata solenne ai banchieri, che si sarebbero visti punire per gli azzardi.
    Anche proteggendo i correntisti, si sarebbe avuto, a mio avviso, un problema molto minore dell’attuale.
    Vedi, a me davano fastidio quei signori che sostenevano la privatezza dei loro guadagni pretendendo però che il pubblico si facesse carico delle perdite economiche.
    Se era intollerabile per FIAT, non vedo ragione perché si possa eventualmente accettare nei confronti di Unicredit o chi per essa.
    Capisco che i banchieri tengono i politici per le palle, ma proprio per questo quando c’è la possibilità, mandiamone a casa un po’. Prima che siano loro a mandare noi fuori casa.

  4. Roberto 51

    Il PIL dell’Irlanda è di poco superiore a quello della Provincia di Milano (non è una errore, ho verificato). Con un welfare inferiore al nostro e meno lacci e lacciuoli alla libera impresa sono arrivati ad aver bisogno di cento miliardi (100.000.000.000) di euro. Nell’articolo si sostiene che il problema deriva dalle banche e dai loro investimenti. Bene, siamo liberisti? E allora che falliscano le banche e chi ci ha investito i suoi capitali li perda, del resto ogni investimento ha il suo grado di rischio. Perché il lavoro deve sempre sostenere il capitale? Per quanto concerne le tasse chi ci ha vissuto mi ha spiegato che le tasse per i privati cittadini sono simili alle nostre, mentre sono basse le tasse per le imprese.

  5. La cosa allucinante è che in Italia facciamo esattamente l’inverso di quanto si è fatto, con ben maggior successo, in Irlanda: tassiamo molto i redditi delle società con IRES+IRAP così allontanando gli investitori esteri, ed alleggeriamo le imposte personali sui residenti su interessi, dividendi e capital gains da partecipazioni non qualificate adottando una delle aliquote sostitutive più basse al mondo (12,5%).

    Che furbi siamo!

  6. La situazione iralndese, nonostante finirà allo stesso modo, è diversa da quella greca. L’Irlanda non è in crisi per falsificazioni del bilancio statale ma, per una mistificazione (tipica dei paesi anglosassoni) che ha portato al salvataggio e alla quasi statalizzazione di AngloIrish Bank. Proprio i bilanci di quest’ultima che pesano sui conti pubblici portano a una insostenibilità del debito pubblico però dubito sia che il cittadino sia disposto a sacrificare il suo abbondante reddito (è importante ricordare che l’Irlanda ha il secondo reddito pro-capite europeo, dietro solo a quello dei cittadini lussemburghesi) e che l’Irlanda voglia distruggere la propria economia aumentando la tassazione corporate. Se si elimina lo status di pseudoparadiso fiscale cosa rimane da fare agli irlandesi……allevare le pecore!!!! Vedreomo come finirà il braccio di ferro fra la cancelliera tedesca (e praticamente presidentessa europea) e l’Irlanda.

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