22
Dic
2017

Occupazioni abusive: se lo stato non sgombera, risarcisce (e le tasse non si pagano)—di Enrico Goitre

Alcune recenti sentenze del tribunale e della commissione tributaria provinciale di Roma hanno affermato che il proprietario di immobili occupati non solo è esonerato dal versare le imposte legate all’immobile, ma ha anche diritto ad essere risarcito del danno patito, se lo stato non provvede allo sgombero.

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Enrico Goitre.

Premessa

Buone notizie per i proprietari di immobili.

Alcune recenti sentenze del tribunale e della commissione tributaria provinciale di Roma hanno infatti affermato – in modo del tutto inaspettato, almeno per chi scrive – che il proprietario di immobili occupati non solo è esonerato dal versare le imposte legate all’immobile, ma ha anche diritto ad essere risarcito del danno patito, se lo stato non provvede allo sgombero.

Si tratta di una piccola vittoria del diritto di proprietà, che in Italia è sempre stato assai bistrattato.

Ma andiamo con ordine.

La vicenda

La vicenda è, per sommi capi, la seguente.

Una società – la Oriental Finance S.r.l. – è proprietaria di un immobile a Roma. Si tratta di un edificio di grandi dimensioni, che potrebbe essere locato.

Nell’aprile 2013, circa 350 persone occupano lo stabile. Vengono manomessa la rete idrica ed effettuati dei lavori (abusivi) di ristrutturazione che causano un temporaneo blackout per un hotel adiacente, servito dalle centrali termoelettriche ospitate nell’immobile. Soprattutto, la società perde completamente la disponibilità dell’edificio e, con essa, la possibilità di trarne un guadagno.

La Oriental Finance denuncia immediatamente il fatto alle forze dell’ordine.

Incomincia una lunghissima ed inconcludente trafila burocratica: polizia, questore, prefetto, sindaco, tribunale, procura, assessori, gruppi tecnici, comitati e sottocomitati per mesi tengono tavoli, riunioni e incontri e si scambiano opinioni, documenti e informative. Senza, ovviamente, combinare nulla di concreto.

Le cose non cambiano nemmeno dopo che la società – un anno e mezzo dopo l’occupazione – riesce ad ottenere dal g.i.p. il sequestro preventivo dell’immobile. Il provvedimento non viene eseguito e l’immobile resta occupato.

Il giudizio civile

Esasperata dalla vicenda, la società fa causa allo stato e al ministero dell’interno, denunciandone l’inerzia e chiedendo di essere risarcita del mancato reddito che l’immobile avrebbe potuto generare.

Lo stato ed il ministero si difendono accampando una serie di giustificazioni che farebbero ridere, se non offrissero la rappresentazione plastica del (non) funzionamento della pubblica amministrazione in Italia.

E così, il ministero fa presente che la vicenda era stata sottoposta all’attenzione della prefettura. Questa, a sua volta, l’aveva rimessa ad un “gruppo tecnico inter-istituzionale”, composto da esponenti di comune, forze dell’ordine, prefettura e (!) corpo forestale. Il gruppo aveva quindi concordato di portare la questione sul tavolo del comitato per l’ordine e la sicurezza, anch’esso composto di rappresentanti di prefettura, forze dell’ordine ed enti locali. Infine, nella questione era stato coinvolto il comune di Roma. Il tutto, manco a dirlo, senza il minimo risultato utile.

Insomma, avendo coinvolto tutte le amministrazioni interessate, il ministero sostiene di aver fatto il proprio dovere. Il fatto che l’immobile, all’esito del palleggio di fascicoli, delibere e atti giudiziari sia ancora occupato non sembra avere importanza.

La sentenza civile

Il tribunale di Roma riconosce quasi totalmente le ragioni della società.[1]

Il tribunale ammette che l’amministrazione pubblica non sia, di per sé, tenuta ad utilizzare la forza pubblica far cessare un’occupazione abusiva: il relativo potere – osserva il tribunale – è infatti posto dalla legge a tutela dell’interesse generale e non dei diritti particolari dei singoli. Ne consegue che i cittadini non abbiano il diritto di pretenderne l’esercizio in proprio favore.[2]

Tuttavia, l’obbligo di attivarsi c’è, eccome, quando si tratti di eseguire un provvedimento, come un sequestro preventivo, pronunciato a tutela di diritti individuali: esattamente quanto accaduto nel caso di specie.

Dopotutto, se – come osserva il tribunale – un cittadino non può farsi giustizia da sé, è normale che debbano essere le forze di polizia ad intervenire; e, se non autonomamente, quantomeno dopo che lo abbia ordinato un giudice.

In questo senso, il ministero degli interno e la questura di Roma, in quanto articolazione del primo, sono stati ritenuti inadempimenti ai propri doveri nei confronti della società proprietaria e condannati a risarcire il danno, pari ai canoni di locazione non incassati a causa dell’occupazione, che la loro inerzia le era costato.

I giudizi in sede tributaria

In parallelo con il giudizio civile, la vicenda prosegue in sede tributaria.

La società proprietaria chiede al Comune di Roma il rimborso dell’IMU e della TASI versata in relazione all’edificio occupato. La richiesta viene rigettata e la questione finisce davanti al giudice tributario.

Pochi giorni dopo la sentenza del tribunale di Roma, con due sentenze “gemelle”,[3] la commissione tributaria provinciale di Roma esclude che siano dovute IMU e TASI in relazione all’edificio occupato: avendo la Oriental Finance perso il possesso dell’immobile, osserva la CTP, è venuto meno il presupposto dell’imposta. Quindi, nulla è dovuto al comune.

Le sentenze tributarie, richiamandosi ad alcuni precedenti giurisprudenziali,[4] sono forse meno disruptive della pronuncia del tribunale di Roma, ma rappresentano per la Oriental Finance (e per il diritto di proprietà in generale) una seconda importante vittoria nel giro di pochi giorni.

Il diritto alla casa… A spese degli altri

Le sentenze citate, soprattutto se considerate congiuntamente, sono importantissime.

Esse affermano un principio di giustizia fondamentale: dal momento che è lo stato a dover difendere la proprietà privata (essendo esclusa, nel nostro sistema giuridico, la giustizia fai da te), se quello non provvede, si rende inadempiente ai suoi doveri. E, come tale, non solo non può pretendere il pagamento delle tasse, ma deve anche risarcire i danni causati ai cittadini dalla sua inefficienza.

L’idea che lo stato debba sgomberare le case occupate, e che il venir meno a tale dovere sia sanzionabile, può forse sembrare scontata. In realtà, in Italia, questo principio è stato spessissimo disatteso. E ciò nonostante le ragioni per dire no alle occupazioni abusive siano moltissime.

La più ovvia è perché sono, appunto, abusive: le occupazioni (concetto nel quale possono essere ricompresi gli sfratti non eseguiti degli inquilini morosi) ledono con la violenza un diritto, quello di proprietà, che il nostro ordinamento, almeno sulla carta, afferma di voler proteggere. Da questo punto di vista, non sono diverse da un’estorsione o da una rapina. Tanto dovrebbe bastare per contrastarle senza esitazioni.

Ciò nonostante, troppo spesso una parte della politica e dell’opinione pubblica tende, in modo più o meno esplicito, a giustificare chi si prende arbitrariamente la casa di qualcun altro. Dopo ogni notizia di un’occupazione, c’è sempre un politico o un giornalista pronto a dichiarare o a scrivere che si trattava di gente disperata, che le persone in difficoltà vanno capite, che non si possono mettere dei bambini in mezzo alla strada, ecc.. È peraltro curioso che le più accorate difese di questo malinteso “diritto alla casa” vengano spesso proprio da quei partiti, movimenti e associazioni che fanno della legalità una propria bandiera.

Negli anni, è spesso stato lo stesso legislatore ad avallare questa mentalità distorta, ad esempio prevedendo per legge il blocco degli sfratti nel nome di una permanente emergenza abitativa: ai fini pratici, impedire la liberazione degli immobili equivale a legittimarne l’occupazione abusiva.

In realtà, le occupazioni non hanno scusanti né dal punto di vista giuridico, né da quello etico.

Giuridicamente, nel nostro ordinamento un “diritto alla casa” – almeno per come viene inteso dagli occupanti e dai loro ideologi (del genere: ho bisogno di una casa, quindi se nessuno me ne dà una ho il diritto di prendermela) – non esiste.[5]

Da un punto di vista etico, poi, le occupazioni non sono solamente un’inaccettabile prepotenza. Ma, spesso, vanno a danno – e non a beneficio – dei più deboli.

Prendiamo come esempio un privato che sia proprietario della casa in cui vive e di un secondo appartamento che affitta, il quale venga occupato. In un caso del genere, oltre all’ingiustizia subita nel vedersi spogliati di qualcosa in cui si sono investiti i risparmi di una vita, si perde la possibilità di locare l’immobile, e con essa una fonte di reddito che, in certi casi (ad esempio per un anziano), può essere essenziale. Per una persona normale, insomma, subire l’occupazione abusiva dell’appartamento si trasforma facilmente in un vero e proprio dramma.

L’ingiustizia risulta ancora più evidente quando vengano occupate case popolari: in quel caso, la casa occupata viene sottratta a qualcuno che, per definizione, ne aveva più bisogno (e più diritto).

Ma un’occupazione non è meno grave quando riguardi un “grande” proprietario, come ogni tanto si sente sostenere:[6] un imprenditore edile o una società di compravendita immobiliare che si trovi uno stabile occupato perde uno dei suoi mezzi di produzione, non diversamente da quanto avverrebbe se qualcuno sottraesse gli strumenti di lavoro ad un artigiano o i macchinari ad una certa industria. Inoltre, perdendo il proprio investimento, l’impresa perde la possibilità di generare ricchezza a beneficio di soci, dipendenti e fornitori.

Insomma, pensare che occupare le case sia accettabile, purché di proprietà di un odiato “palazzinaro”, è profondamente sbagliato.

Se è certamente vero che esiste un problema di emergenza abitativa, è altrettanto ingiusto pensare che siano i privati a doversene fare carico: mi sono sempre chiesto se chi sostiene questo genere di tesi sarebbe disponibile a subire una rapina, qualora fosse commessa da una persona in difficoltà economiche.

Altre volte – come sa chi si sia mai trovato ad avere a che fare con un’occupazione abusiva – i prefetti e le autorità si rifiutano di intervenire per asserite ragioni di “ordine pubblico”: troppo gente da sgomberare, troppi bambini coinvolti, troppo pericoloso, e via con le giustificazioni. È una curiosa concezione di ordine piuttosto curiosa quella per cui si tollera l’ingiustizia, purché sia ordinata, e ci si rifiuta di ripristinare la legalità, quando questo potrebbe creare confusione.

Tutto questo senza dire che, in tanti casi,[7] dietro alle occupazioni abusive si è scoperto esserci un vero e proprio racket gestito dalla criminalità organizzata. Tollerare le occupazioni, in certi casi, equivale letteralmente ad accettare l’imposizione del pizzo.

E alibi dopo alibi, il fenomeno delle occupazioni abusive dilaga: gli immobili occupati illegalmente in Italia, nel 2016, risultavano essere quasi 50.000.[8]

L’importanza delle sentenze

Le due sentenze rappresentano un passo avanti importante per chi ritiene che la proprietà non sia un diritto minore, ma un cardine (insieme alla democrazia, alla libertà di parola, al giusto processo, al principio di uguaglianza, alla libertà religiosa) di ogni paese che ambisca ad essere civile.

Se non saranno riformati in secondo grado, infatti, questi precedenti potranno in futuro essere utilizzati dalle migliaia di proprietari di immobili attualmente occupati, che con ogni probabilità hanno finora dovuto fare i conti con l’inefficienza dello stato italiano nelle sue più svariate articolazioni (ministeri, enti locali, forza pubblica, magistratura, ecc.): le quali potrebbero perciò vedersi costrette a fare, una volta tanto, il proprio dovere, pena il fioccare di richieste risarcitorie e la perdita delle entrate fiscali connesse agli immobili occupati.

Certo, non disponendo lo stato di denaro proprio ma solamente di quello che gli proviene dalle tasse dei cittadini, i risarcimenti finirebbero per essere pagati, in ultima analisi, dai contribuenti. Questo rischio esiste senz’altro. Ma l’alternativa – e cioè continuare a lasciare che i proprietari subiscano le occupazioni abusive senza possibilità di difesa – è davvero indegna di un paese che dica di riconoscere e tutelare la proprietà privata.

Inoltre, di fronte al rischio di collezionare condanne su condanne, è ragionevole ritenere che anche le pubbliche amministrazioni più refrattarie al cambiamento, prima o poi, dovranno cominciare ad adeguarsi.

Questa volta, gli alibi potrebbero essere finiti una volta per tutte.

Note

  1. Trib. Roma, n. 21347/2017.
  2. Il Tribunale cita ad esempio l’art. 2 T.U.L.P.S., che consente ai Prefetti di adottare i “provvedimenti indispensabili” a tutela dell’ordine pubblico.

  3. CTP Roma, nn. 25506/2017 e 26532/2017.

  4. Elencati da Trovati, I giudici fermano Imu e Tasi sugli immobili occupati da abusivi, in quotidianoentilocali.ilsole24ore.com, 19 dicembre 2017

  5. Ad esempio, la Corte di Cassazione ha in più occasioni affermato che le occupazioni abusive non possono essere scriminate per l’asserito stato di necessità dell’occupante. Diversamente – osserva la Cassazione – si verificherebbe un totale svuotamento del diritto di proprietà, protetto dalla Costituzione (Cass. pen., 8603/2015). Sul punto si veda meglio quanto scritto da Boccalatte.

  6. Si veda, per esempio, Santoro, Ordine e speculazione, il codice Raggi-Minniti contro gli «abusivi», 1 settembre 2017, in ilmanifesto.it, dove la possibilità dello sgombero dell’hotel Aniene a Roma, abusivamente occupato, viene sostanzialmente assimilata ad un “favore” ai costruttori.

  7. Si vedano i numeri riportati da Buccini, Alloggi pubblici in preda agli abusivi: ecco il racket delle case, in corriere.it, 1 settembre 2017.

  8. Questo il numero reperibile in Case occupate, i numeri del fenomeno, in adnkronos.it, 1 settembre 2017, sulla base dei dati registrati da Federcasa. Si vedano anche i dati registrati da Confedilizia, in https://www.confedilizia.it/conferenza-stampa-sulle-occupazioni-abusive-ed-altro-materiale/, e da Federcase, in https://www.federcasa.it.

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