17
Set
2009

Meno credito: ciò che le banche centrali NON riescono a impedire, e perché

Negli Stati Uniti, dove a differenza che da noi non comanda l’ABI, da un paio di giorni media e bloggers si interrogano a centinaia su questa chart. Si riferiva a questo, Pietro Monsurrò nel suo post di questa mattina. A produrla e commentarla, sono stati economisti come Tim Congdon del FMI e David Rosenberg di Gluksin Shelf. La massa degli impieghi continua a diminuire negli USA a un tasso dell’1% al mese, per ogni mese da 11 mesi a questa parte. La deflazione del credito si aggiunge a quella dei prezzi, dei salari, degli asset immobiliari. Non  male, se si pensa che tutti intonano la canzone “siamo fuori dalla crisi”. Tra i tanti commenti, mi limito a segnalarne alcuni, come quello di Ambrose Evans-Pritchard sul Telegraph, quello di Tyler Durden su Zerohedge, quello di Mr Practical su Minyanville. Si potrebbe pensare che questi dati interessano solo gli americani. È sbagliato: perché la restrizione di credito, con molta più opacità sui dati, è in corso anche da noi. Di conseguenza, ne de derivano tre importanti constatazioni.

La prima è: la liquidità oceanica pompata sui mercati dalle banche centrali non è in grado di evitare sinora la deflazione del credito.

La seconda: ciò avviene perché, sino a ora, gli operatori del mercato – le banche, essenzialmente – scontano a maggior velocità la svalutazione di collaterali e garanzie degli impieghi, di quanto invece le banche centrali tentino di monetizzare i debiti attraverso le nuove iniezioni di liquidità, pur attraverso tutta la nuova panoplia di strumenti a tal fine posti in essere dall’autunno 2008 a oggi.

La terza: se come sembra le banche centrali non sono ancora affatto in c0ntrollo del moltiplicatore monetario, delle due l’una. Potete pensare che, per quanto modesti e poco energiche siano state le spinte coattive riservate dai regolatori alle banche, comunque la crescente pressione nei loro confronti a ricapitalizzarsi e ad attuare il deleveraging abbia sortito un effetto esattamente opposto a quello di ricreare fiducia. Non è la mia opinione. Oppure penserete, se avete abbastanza coraggio, che è il sistema attuale come lo conosciamo delle banche centrali a fare inesorabilmente acqua, e che occorre cambiarlo dalle fondamenta. Abolirle, direbbe Ron Paul, pensando a Thomas Jefferson e Andrew Jackson contro Alexander Hamilton. Oppure – come pensa John Taylor – adottare un nuovo sistema monetario e obiettivi di inflation targeting ormai planetari, in grado di commisurarsi al mercato aperto mondiale della moneta, per contenere l’effetto erosivo sempre più potente che carry trading e impieghi di liquidità massicci su asset mobiliari prevalgano rispetto alla trasmissione degli impulsi all’economia reale.

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5 Responses

  1. Bruno

    Caro il mio Direttore,

    Che il boom, degli ultimi anni, fosse indotto da un’espenzione creditizia mi sembra abbastanza condivisibile. Per cui auguriamoci che le misure monetarie falliscano e che allo stato attuale la crisi continui facendo chiarezza.

    Perchè se così non fosse, entrando nuovamente in bolla, indurremmo al debito anche coloro i quali ora i debiti non hanno o ne hanno pochi. Per cui è meglio suonare ora il fischietto di fine partita intanto che qualche giocatore è ancor in piedi.

    Io tifo assolutamente per una deflazione poderosa e duratura.

    Bruno.

  2. stefano

    Ha ragione Ron Paul; non solo: io sarei per mettere dentro Greenspan (altro che FED al di sopra della legge) e i suoi sodali. E ovviamente bisognerebbe fare repulisti anche da noi, via la BCE.
    Garantiamo i depositi, niente Tremonti bond alle banche, piuttosto finanziamo direttamente le imprese, niente TBTF (è finita l’estate, e le cicale della finanza è giusto che patiscano i rigori invernali).
    E, soprattutto, giù le tasse. Subito.

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