21
Apr
2010

La Fiat di Jaki

Gianni Agnelli aveva 45 anni, quando prese a Vittorio Valletta lo scettro del comando Fiat. Jaki Elkann ne ha 34, all’assunzione della presidenza dell’azienda. La differenza non sta solo nella odierna globalizzazione, in cui il mondo corre più in fretta. C’è una differenza di carattere. E c’è un’occasione che va al di là dell’Italia. Che è mondiale, come mai è avvenuto in oltre un secolo di storia Fiat.

Si chiude così la lunga transizione avviata allorché, sei anni fa, alla scomparsa di Umberto 14 mesi dopo quella del fratello, la Fiat vide le cinque sorelle Agnelli ferme nel no a Giuseppe Morchio, che tentava di sfilare l’azienda alla famiglia. Luca di Montezemolo venne prescelto da Suni come il presidente-bandiera di cui c’era bisogno, per difendere un’immagine allora in profonda crisi. A Sergio Marchionne – l’ultimo grande regalo di Umberto – il compito di svincolarsi dal prestito ponte delle banche, di trasformare in denaro sonante la put offerta a General Motors, e di rilanciare l’auto. Montezemolo ha svolto la sua funzione, innestandovi quattro anni di presidenza confindustriale da abile comunicatore. Marchionne, nel frattempo, ha stupito il mondo. Fino a convincere il presidente Obama ad affidare proprio a lui e alla sua Fiat la Chrysler, il più malato dei giganti dell’auto americana. Ed è proprio per tener fede nel massimo grado all’impegno americano – pesante nei confronti dei contribuenti ed elettori Usa e dei sindacati, gli attuali grandi azionisti Chrysler – che Jaki Elkann diventa presidente oggi stesso, quando Marchionne rivela al mondo i particolari del programma pluriennale di piena integrazione tra le due aziende. Gli eredi Agnelli, della cui catena finanziaria concentrata in Exor nel frattempo John ha preso negli anni pieno governo, si rimettono in prima fila, ora che si procede allo spin off dell’auto Fiat per il conferimento in Chrysler. Anche la Casa Bianca è soddisfatta, dell’impegno pieno degli azionisti Fiat.

A vantaggio di Jaki sta il suo carattere. Serio, timido, poco incline alle ingegnose bizzarrie che si legano al ricordo del nonno. Ma altrettanto cosmopolita, con l’innesto franco-ebraico che gli viene dai nonni, Jean-Paul che fu capo della comunità ebraica più numerosa d’Europa a Parigi, e da Carla Ovazza, di famiglia banchiera e sefardita torinese. Nell’apprendistato da Gabetti e Grande Stevens, John ha imparato a misurare ancor più parole e decisioni, battute e interviste. In un’Italia in cui troppo spesso la prima fila di industriali e finanzieri si misura più con gossip e salotti che con risultati, più per vicinanza o avversione a Berlusconi che per sobrio impegno civile, la sua natura schiva potrebbe far intravvedere la promessa di una duratura, salutare serietà. Ce n’è bisogno, in questo Paese.

Ha deciso anche di impegnarsi in prima persona in Confindustria a fianco di Emma Marcegaglia, per rimarcare che la presidenza Fiat non scioglie ma rafforza i vincoli e l’impegno con il Paese. E sarà questa, la prima e più difficile sfida per John. Con Chrysler, non è una storia paragonabile né alla presa di Citroen che al nonno fu vietata da de Gaulle, né all’alleanza poi sfumata con Ford Europa, che era già difensiva. Né tantomeno alle possibili rese a Daimler o a GM, che balenarono in vapore negli anni di crisi. Per la prima volta in più di 100 anni, al grande risanatore Marchionne e agli eredi Agnelli guidati da John, Obama ha chiesto di diventare protagonisti dell’auto mondiale. Nel segno di nuove tecnologie a bassa emissione, propulsori più efficienti, minori consumi, prezzi più contenuti. E’ una sfida terribile, quella di quasi raddoppiare le vendite di Fiat e Chysler in quattro anni, e di radicarsi in Cina, il primo mercato mondiale dell’auto dal 2009 e per gli anni a venire, con più di sette volte il venduto in Italia e 4 milioni di unità più che negli USA : la Cina dove GM, Volkswagen e Ford sono già molto forti. Ne abbiamo già più volte parlato. I numeri oggi annunciati da marchionne confermano che sarà un’impresa da far tremare vene e polsi.

A questo, dovrà pensare il piano di Marchionne. Ma in Italia allo spin off dell’auto come alla chiusura di Termini Imerese, la reazione dei più è pensare che, semplicemente, la Fiat sta alzando la tende per diventare americana, irriconoscente dopo un secolo di aiuti di Stato. A questo dovrà invece rispondere, coi fatti, la presidenza di Jaki. La testa e le tecnologie dell’auto dovranno restare italiane, come nelle macchine agricole e nei veicoli industriali che, separati dall’auto, acquisteranno valore. In tal modo, il nuovo presidente Fiat potrebbe diventare compiutamente ciò che, finché si preparava al grande salto, non poteva ancora essere: il simbolo di una nuova generazione di giovani imprenditori italiani, capaci di essere associati nel mondo a un’idea seria e determinata di un Paese non più asfittico e malato. Me lo auguro. Fino a oggi, il secolo e oltre di storia Fiat ha abituato a far pensare a qualcosa di molto meno positivo, purtroppo. E cioè a un gruppo che ha tentato sino a globalizzazione ben avviata di tesaurizzare il più del proprio mercato protetto. Solo oggi, comincia davvero la storia di una Fiat meno italiana e globalizzata. Ha bisogno di teste e decisioni ben diverse da quelle del cabotaggio coi governi e le banche italiane.

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4 Responses

  1. GP

    Io da consumatore non capisco: in questi anni di Marchionne non ho visto nuovi fantastici e innovativi prodotti, ho visto tanta finanza, ho visto una Chrysler che neppure la Mercedes è riuscita a salvare e che chiede aiuto alla Fiat (ma avete visto i due modelli presentati a Detroit? una delta marchiata chrysler e una fiat 500…elettrica! ma dove esiste???), ho visto uno spin-off che parla solo ad investitori (della serie chiedo altri soldi), vedo presidente un giovane uomo timido, che parla pure male italiano (universita in italia? siamo sicuri?) scelto solo perche figlio di…. Tante parole, tante cifre, ma il prodotto? Ah scusa, la Mito, la Delta e il restyling della Croma! Dall’altro vedo una Apple dove poca finanza tanto prodotto e tanti geni…Esagero nel confronto? Sara ma la Fiat di oggi, oltre a dei bei conti (ma anche la parmalat aveva bei conti..) mi sembra sia molto fumo (e Marchionne di fumo se ne intende! Bell’esempio di schiavo del fumo. E anche come guidatore di ferrari non mi ha impressionato). Spero proprio di vedere l’arrosto, perche alla fine siamo sempre noi italiani ad avere pagato la bella vita degli agnelli negli ultimi 40 anni…

  2. gregorio

    Se si vuole contare qualcosa nel villaggio automobilistico globale occorre investire. Non in dichiarazioni pubbliche, automobili griffate e slogan logorroici sul “made in Italy” … No in TECNOLOGIA. Qualche dubbio?
    La Germania, pur di assicurarsi la supremazia futura in un mondo auto non più sospinto da motori a scoppio, si appresta ad unire le proprie migliori menti sotto un unico tetto: vedi articolo http://www.handelsblatt.com/unternehmen/industrie/nationale-plattform-ex-sap-chef-kagermann-wird-mister-elektroauto;2570216

    Bada bene, personaggi che nella vita quotidiana sono acerrimi rivali.

    In Italia? … costruiremo Panda a Pomigliano. Le Alfa? Una seccatura richiedono troppo valore industriale aggiunto. È il sistema Italia che non esiste è troppo comodo appellarsi ai miracoli dello “zio Sergio” e del suo management.

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