7
Mag
2015

In Italia non rischi mai di avere ragione fino in fondo, sopratutto quando vinci contro la Pubblica Amministrazione.

Da più di dieci anni un mio amico è dipendente dell’Università come ricercatore confermato a tempo indeterminato. Nel 2012 ha deciso di partecipare alla procedura che il Ministero dell’Università ha indetto per valutare l’idoneità di ricercatori e studiosi ad assumere il titolo e le funzioni di professori associati ed ordinari. Il mio amico ha presentato titoli, pubblicazioni scientifiche e curriculum per sottoporsi al giudizio di idoneità per professore di seconda fascia (professore associato). All’esito della valutazione la commissione nominata dal Ministero lo ha ritenuto non idoneo con un giudizio sommario poco lusinghiero. L’unica consolazione, nell’immediato, è stata quella di essere in buona compagnia, visto che più del 60% dei candidati non è stato giudicato idoneo e considerato che persino un Presidente di sezione ed alcuni membri del Consiglio di Stato sono stati giudicati (con vero e sacrosanto scandalo) non idonei all’insegnamento del diritto amministrativo, di quella disciplina, cioè, in virtù della quale gli stessi magistrati decidono decine di casi al mese scrivendo altrettante sentenze definitive.
Smaltiti gli effetti emotivi della bocciatura, il mio amico ha deciso di rivolgersi al Tribunale per fare valere quella che sin da subito gli è apparsa una grave ingiustizia sul piano personale ed un oltraggio su quello professionale. Armatosi di santa pazienza ha presentato un ricorso al Tar del Lazio con sede in Roma (perché del Tribunale capitolino è la competenza in questa materia) e, non essendo egli residente entro i confini del compianto Stato pontificio, ma trattandosi di cittadino del troppo bistrattato ex regno delle due sicilie, ha dovuto affrontare non poche spese per l’avvocato e per presenziare nell’ordine: ad un’udienza cautelare, che il Tribunale ha mostrato di non gradire, ad un udienza di rinvio, che in un vero processo italiano non può mai mancare, e, infine, ad un’udienza di discussione all’esito della quale finalmente il ricorso è stato introitato (si, avete letto bene, si dice così, introitato) per la decisione.
Per fortuna c’è un giudice anche a Roma, tanto è vero che il Tribunale ha riconosciuto che l’amministrazione universitaria l’ha combinata davvero grossa, dimenticandosi addirittura di valutargli i titoli e le pregresse esperienze lavorative all’interno della stessa università. Il giudizio di idoneità deve essere pertanto ripetuto e siccome gli esseri umani sono schizzinosi ed ipersensibili è meglio, dicono in sostanza i giudici, che a rivalutare il mio amico, questa volta si spera correttamente, provveda una diversa commissione composta da professori ordinari differenti da quelli che lo hanno già valutato una prima volta.
Giustizia è fatta. Al netto della possibilità che il Ministero decida di impugnare la decisione di primo grado innanzi al Consiglio di Stato, chissà, magari davanti al collegio composto dai candidati ritenuti non idonei all’insegnamento del diritto amministrativo, i quali nel frattempo sono risultati però vittoriosi contro il Ministero proprio davanti a quel Consiglio di Stato dove lavorano, il mio amico può ritenersi per ora soddisfatto. La parcella dell’avvocato ed i costi per le numerose trasferte romane sono stati soldi ben spesi in definitiva; denari però che, nonostante la vittoria in giudizio, non gli saranno rimborsati dalla pubblica amministrazione che lo ha violentemente preso a pesci in faccia. Il Tribunale amministrativo, infatti, ha ritenuto di compensare le spese del giudizio perché il mio amico, pur essendo stato costretto a rivolgersi alla giustizia per tutelare il suo diritto ad essere giudicato correttamente, ha scritto un ricorso troppo lungo, ha impiegato troppe pagine per spiegare il torto che ha subito dallo Stato e così, quello stolto, dicono i giudici, ha violato il principio della sinteticità degli atti di cui al secondo comma dell’art. 3 del codice del processo amministrativo. Per tale motivo l’amministrazione che lo ha trattato da suddito e non da cittadino non gli deve rimborsare alcuna spesa processuale. Niente. Come dire: hai ragione, ma parli troppo e dunque non ti pago. E di un giustizia sin troppo giusta non è proprio il Paese questo.
@roccotodero

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