4
Set
2017

L’esercito dei guerrieri dei pezzi di carta

 

Nelle lontane e dorate estati degli anni ‘60 i giovani erano “l’esercito del surf”, mentre i giovani di questa estate 2017 si dividono tra “esercito del selfie” ed “esercito dei guerrieri dei pezzi di carta”. Questi ultimi hanno recentemente vinto la loro battaglia contro il numero chiuso nelle facoltà umanistiche dell’Università degli studi di Milano. A stabilirlo è stato il Tar del Lazio che ha accolto il ricorso dell’associazione degli studenti Udu (Unione degli studenti).

Gli studenti associati parlano di vittoria storica contro tutti i test di accesso e contro quegli atenei che hanno introdotto programmazioni dell’accesso, ora giudicate illecite. Gli studenti ricordano di aver denunciato come la delibera adottata violasse la normativa nazionale, in particolare la legge 264/99 che garantisce il diritto allo studio.  “Avevamo denunciato come la sordità dimostrata da chi doveva rappresentare tutta la comunità accademica aveva segnato un pericoloso precedente, oltre che un danno per il diritto allo studio di migliaia di studenti che volevano scegliere liberamente il corso del loro futuro”.

Ma si tratta veramente di questo? Di una limitazione alla libertà di decidere del proprio futuro e del diritto allo studio sancito nella carta costituzionale? Gli studenti preannunciano altre battaglie dello stesso tenore e sarà un autunno ( tanto per cambiare) caldo di manifestazioni, cortei, atenei occupati insomma il solito copione di chi vorrebbe studiare ma è molto impegnato a gridare che vuole farlo.

Sulla questione del numero chiuso nelle università si contrappongono ideologie, sostenitori e detrattori della costituzione, insomma, il consueto marasma che confonde non poco le idee. E soprattutto, dato che per gli studenti uniti l’università è un bene comune, ne deriva una pletora di luoghi comuni. Come quello secondo il quale la Costituzione garantirebbe il diritto allo studio e l’accesso all’università a chiunque, per cui i test d’ingresso e, comunque, i sistemi di verifiche anteriori all’iscrizione alle università, sarebbero del tutto incostituzionali. L’art. 34 della nostra costituzione distingue l’istruzione aperta a tutti, da quelli che sono i “gradi più alti degli studi”. La scuola aperta a tutti è l’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, obbligatoria e gratuita. È chiara ed inequivocabile la distinzione tra scuole ed università o comunque altri “istituti di alta cultura” e le accademie.

L’art. 33 della costituzione al quinto comma sancisce che “E’ prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale”. Tutti questi esami sono finalizzati ad accertare se lo studente abbia  acquisito ciò che gli è stato insegnato fino a quel punto. I cosiddetti test di ingresso universitari, invece, mirano ad accertare se lo studente sia idoneo e portato per il corso di studi successivo, cosa che è considerata ragionevole e naturale in moltissimi Paesi.

Il terzo comma dell’art. 34 della costituzione contiene un principio importantissimo: “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Questa precisazione è fondamentale perché chiarisce che “i gradi più alti degli studi”, appunto, non sono aperti a tutti, ma aperti a tutti quei “capaci e meritevoli” che, anche se senza mezzi, avranno il diritto di dimostrare, e proprio con strumenti di accertamento come, per esempio, i test, la loro idoneità allo specifico corso di studi superiori. Il richiamo costituzionale a capacità e merito è dirimente rispetto a qualsiasi incomprensione sul tema. Quindi l’accesso per tutti all’università non è un diritto, ma tutti hanno diritto di dimostrare le proprie capacità e meriti tali da comprovare l’idoneità ai corsi superiori di studi, indipendentemente dalle condizioni economiche.

L’idea che facoltà universitarie pubbliche incondizionatamente accessibili a tutti siano un bene è, poi, nei fatti, smentita dalle stesse classifiche : le migliori università mondiali, europee ed anche italiane adottano tutte il numero chiuso.

A ben vedere il problema e la polemica sollevata dai test di ammissione, lambisce una questione ben più profonda e cioè perché gli studenti confondano, in realtà, il diritto allo studio con il diritto alla laurea universitaria. Nessuno di loro protesta mai, né scende in piazza, per la libertà di programmi nella scuola dell’obbligo, di insegnamenti, per un’offerta formativa più libera, più ricca e variegata, e non compressa nelle morse assai strette dell’istruzione di stato, ma reclamano tutti la possibilità di ottenere il famigerato pezzo di carta, fosse anche la pergamena di una laurea in filosofia tibetana all’università di Nonsodove, e solo ed esclusivamente per il conseguimento di un diploma di scuola superiore.

I soldati dell’esercito dei sostenitori del “più lauree per tutti” sono oggi le vittime predestinate di quanto aveva sempre stigmatizzato, del tutto inascoltato, Luigi Einaudi, anche in sede di assemblea costituente, nel dibatto sulla stesura dell’art. 33 della carta costituzionale:

Dichiaro che voterò contro questo emendamento perché ritengo che questo articolo consacri non la libertà della scuola, ma la sua schiavitù. (…) Se la lingua italiana vuol dire qualche cosa, questo vuol dire che lo Stato o qualche organo pubblico stabilirà quali siano i programmi, quali siano gli insegnamenti che devono essere impartiti, programmi ed insegnamenti a cui tutti gli ordini di scuole pubbliche e private si devono uniformare. L’articolo significa letteralmente, per quello che dice, che si consacra ancora una volta il valore legale di quello che è il pericolo, la peste maggiore delle nostre università, il valore giuridico dei diplomi, dei titoli di dottorato e di licenza, che si rilasciano coi vari ordini di scuole. Mi si consenta di fare appello alla mia quasi cinquantennale esperienza di insegnante: ciò che turba massimamente le università è il fatto che gli insegnamenti, invece di essere indirizzati alla pura e semplice esposizione della verità scientifica, sono indirizzati al conseguimento di diplomi di nessun valore, né morale né legale. Poiché questo articolo consacra ancora una volta il valore legale a tutti questi pezzi di carta, io voterò contro”.

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