19
Ott
2009

Il dono “utile” di Weimar

L’ho ammetto. Nell’ammirare la Anna Amalia Bibliothek di Weimar mi sono sinceramente commosso. Forse perché quando la solidarietà viene dal cuore, vale due volte di più di quando è gelidamente imposta e, per così dire, non si vede. La lezione che possiamo trarre dalla riapertura al pubblico nel 2007 di questo patrimonio mondiale UNESCO, andato parzialmente distrutto in seguito ad uno spaventoso rogo il 2 settembre 2004, è straordinaria. Non è tanto l’opportunità di lavoro o il nuovo traffico di turisti indirettamente provocati dall’incendio a dover impressionare il lettore (finestra di Bastiat docet), ma il fatto che in appena quattordici mesi siano stati raccolti 12 milioni di euro: semplici cittadini, povera gente, imprese, grandi società e banche. Ciascuno ha voluto dare il proprio contributo al faticoso risanamento della celebre Rokokosaal, costato poco meno di 13 milioni di euro. Se non si considera il restauro dei preziosi manoscritti- ancora in corso e il cui onere finanziario è estremamente più elevato e peraltro non del tutto coperto nemmeno dalle istituzioni pubbliche- si può metaforicamente dire che questo piccolo gioiello è di fatto stato riportato agli antichi splendori dalla gente comune. Gente comune che non ha fatto spallucce delegando in bianco allo Stato e che tantomeno ha osato indignarsi per l’incredibile successo del fundraising, come ha fatto qualcuno in Italia dopo il terremoto in Abruzzo. L’animo umano non è né intrinsecamente buono, né cattivo. E’ per l’appunto umano. L’uomo sceglie. Non necessariamente secondo criteri razionali. Quella cosa astratta nota come “massimizzazione dell’utile” individuale può talora coincidere con “imprese” come questa.

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