24
Nov
2009

Il debito pubblico nostro, gli USA e Tremonti

L’intervento odierno di Giulio Tremonti all’assemblea degli industriali romani ha confermato un paradosso italiano. Scegliendo accuratamente la platea industriale italiana che, in tutto il Paese, ha la massima concentrazione di grandi gruppi pubblici – Enel, Poste, Ferrovie, Eni è di stanza a Milano e per questo si è già presa Assolombarda – il governo è sceso in campo in forze, con Letta e Tremonti. Ma non è questo il punto, anche se non era avvenuto mai altrove quest’anno in Italia. Il paradosso consiste nel fatto che, di fronte a industriali per metà nelle mani del debito bancario, per metà nell’indotto del pubblico, e tutti sotto lo schiaffo dei ritardatissimi pagamenti della pubblica amministrazione, nell’Italia di oggi con una certa abilità – quella del ministro dell’Economia – si finisce per essere applauditi come virtuosi in quanto… sostenitori dell’impossibilità di fare alcunché. L’immobilismo come virtù. Lo slittamento delle scelte come prova di responsabilità nazionale. Il tutto attraverso l’abile artificio retorico di fare apparire chiunque sia su un’altra linea – qualunque cosa proponga – come un malcelato e pericoloso fautore dell’aumento del deficit pubblico. Oggi questo esercizio è giunto al massimo del suo funambolismo. La spesa pubblica è stata infatti dichiarata incomprimibile. La sanità, che pure fino a ieri e oggi stesso – nella parte iniziale del suo discorso – Tremonti aveva presentato come in default nella metà meridionale del Paese, è stata successivamente dichiarata a costo intoccabile, in quanto comunque generalmente meno costosa della mediana europea. Naturalmente sarà un caso, che un bel po’ di imprenditori privati laziali appartengono al novero di coloro che aggiungono la propria cattiva sanità a quella pubblica, e temono altri tagli imposti dal regime commissariale voluto da Sacconi. Il quale evidentemente si è spinto troppo avanti, nel commissariare e mettere sotto stretto vincolo ben cinque Regioni, che costi per prestazioni offerte alla mano smentiscono clamorosamente – secondo lo stesso governo, almeno fino a ieri – quanto oggi affermato da Tremonti. La previdenza è in equilibrio e socialmente più equa che altrove, ha continuato il ministro. Quanto ai contributi alle imprese – quelli che Baldassarri voleva tagliare per liberare risorse al taglio alle tasse –  ebbene essi sono molti meno di quanto sembrino dai conti pubblici, e comunque sono contributi “sani e incomprimibili”, ha aggiunto Tremonti. Tagliare le tasse? Il verbo non è più compreso nel vocabolario del centrodestra italiano. Il ministro ha detto che “la riforma fiscale” verrà annunciata solo a fine legislatura. In campagna elettorale, buona per prendere i voti per l’ennesima volta, mica per essere attuata oggi e giudicata alle urne a fronte dei suoi risultati.

È veramente intellettualmente un po’ dura da buttar giù – non dico politicamente, non entro nella sfera di valutazione individuale, mi limito a quella fattuale e oggettiva – che si bolli come un pericoloso deficista chi invece propone tagli alle tasse per crescere di più – vedi il post di Stagnaro qui sotto sull’odierno report Ocse -,  accompagnati da incisivi tagli alla spesa. Quale scienza economica e contabile mai può far dire seriamente a Tremonti che, con oltre 800 miliardi di spesa pubblica, essa è irriducibile? Accettare questa lectio significa negare ogni spazio alle nostre idee, al liberalismo e al liberismo, affermare la centralità dello statalismo come unica via, addirittura, al rigore che chiede l’Europa. Mr Europe nothing at all, è diventato il motto araldico che campeggia sullo stendardo di Tremonti. E la cosa più dura ancora da buttar giù non è tanto la mancanza di sfidanti procrescita tagliaspesa e tagliatasse – numeri alla mano – tra i politici del centrodestra e del centrosinistra. Quanto il fatto che tra i grandi giornaloni italiani ormai è questo il mantra che passa invitto, senza reazioni adeguate. Le uniche riforme che si chiedono sono quasi sempre davvero quelle che costano di più, mai o quasi – comunque, mai sistematicamente – quelle che risparmiano incisivamente spesa pubblica per liberare risorse da restituire immediatamente a imprese e famiglie. Per questa via, e con un crescita economica di conseguenza depressa – occhio a quanto sottolinea giustamente Stagnaro, sul fatto che il nostro sistema fiscale è più rigido e continua a rapinare più degli altri anche in fase di contrazione del Pil – il debito pubblico non potrà che espandersi, perché il denominatore sul quale si calcola non contribuirà a invertirne il segno.

Mi è venuto in mente quanto ha scritto Paul Krugman, per convincere gli americani che tutto sommato bisogna spendere ancora di più, perché se l’Italia ce la fa senza problemi a convivere con un debito pubblico ben superiore al 100% del Pil, a maggior ragione ce la può fare l’America. La miglior risposta è quella, durissima, che gli ha riservato Tyler Cowen oggi su MarginalRevolution.

A high deficit often is an unfavorable symptom of bad politics, even if you think the high deficit is economically OK on its own terms.  It’s a sign that you have dysfunctional institutions and decision-making procedures, as indeed they do in Belgium and Italy.  I believe that the not-always-swift American voter in fact understands high deficits — correctly — in this light.  They don’t hold theories about “crowding out,” rather they sense something in the house must be rotten.  And so they rail against deficits, as do some of their elected representatives.  It’s a more justified reaction than the pure economics alone can illuminate. When water regularly overflows from your toilet, you want the toilet fixed, whether or not the water is doing harm.

Proprio così. Vale non solo per Krugman, ma anche per l’amato Giulio nostro. Proporre deficit aggiuntivo non è affatto alternativo all’immobilità su una spesa pubblica monstre, come vorrebbe far credere Tremonti. È la stessa cosa, quando il debito e le tasse sono spaventose come da noi. È spurgo che trabocca dal water, hai voglia a dire che la cosa migliore è non far nulla.

You may also like

Punto e a capo n. 25
Taglio del cuneo fiscale: utile, ma non risolutivo
PNRR: spendere meno, spendere meglio
Riforma del fisco: Il buon senso che si fa strada e i dubbi che restano

9 Responses

  1. Sono d’accordo su quasi tutto. Di sicuro, nessuna scienza economica può fare dire al Ministro quello che dice, anche perchè il Ministro economica non ha, da tributarista, alcuna idea di cosa sia la scienza economica. Giustificare la totale inerzia del governo difronte alla crisi con l’argomento del debito pubblico è argomento piuttosto debole, come credo di aver dimostrato altrove (http://paolomanasse.blogspot.com/2009/01/lo-strano-caso-del-ministro-tremonti.html, su la voce,info e RGEmontor.com). Unico appunto a Giannino. La tesi di di Tkler è totalmente illogica: se è vero che la cattiva politica (Italia, Belgio) spesso produce deficit, ciò non implica affatto che i deficit, soprattutto se temporanei e in periodi di recessione, generino cattiva politica e/o siano sbagliati: è un non sequitur. Risparmiare in “good times” e spendere in deficit in bad times (si chiama tax-smoothing (Barro (1979)) è quanto di più neoclassico si possa pensare!

  2. Christian

    In attesa di tirare lo sciacquone…

    questa volta non mi limito alle cinque stelle, lo scrivo direttamente:
    articolo esemplare!

  3. Riccardo

    Stupendo! La cosa drammatica caro Giannino, é che nessuno a Palazzo, in maggioranza od opposizione ha mai condiviso e tantomeno attuato tali idee.

  4. oscar giannino

    caro paolo, certo che sui deficit hai ragione, ma infatti Tyler Cowen – mio errore di battitura nellòa fretta, ne faccio troppi – ha scritto deficit ma si riferiva a Italia e Belgio in quanto paesi titolari di grandi debiti pubblici protratti nel tempo, non ai deficit protempore che poi rientrano! Insomma nella fretta non sbaglio solo io….

  5. bill

    Purtroppo è tutto vero: sono quindici anni che si agita lo specchietto del taglio delle tasse, e invece la pressione fiscale aumenta. Certo, c’è chi propone una bella patrimoniale ogni quarto d’ora e chi toglie l’Ici, ma sicuro: stiamo parlando di niente.
    D’altronde, diciamolo chiaramente: mezzo paese campa su questo. Secondo voi, c’è in Italia qualcuno che osi sfidare lo status quo?
    PS: scusate l’ignoranza, ma esistono “deficit pro tempore che poi rientrano”? Sarò alquanto scettico, me in generale ne dubito fortemente. Da noi in particolare, accetto scommesse..

  6. andrea lucangeli

    Urge una modestissima “difesa d’ufficio” del povero Tremonti che da “tributarista” (è forse un’offesa?) è condannato a non capire ed alla conseguente immobilità….- L’articolo di Giannino ed i post precedenti sono formalmente ed esemplarmente corretti, e del tutto condivisibili, SE il Trem fosse il Padreterno con conseguente potere assoluto di decisione….MA non è così.- La realtà è “solo leggermente diversa”.- Il nostro povero Giulio si trova stretto (se non stritolato) da poderose forze contrapposte: da un lato il partito del rigore (Europa e Lega in testa) che col fucile spianato lo tiene d’occhio in tutte le sue mosse.- D’altro lato il partito della spesa allegra (Prestigiacomo & Co.) che vorrebbe un allentamento dei cordoni della borsa per poter fare “politiche più incisive” (?).- Altra fazione è quella “elettoralistica” (in vista delle regionali) capeggiata dai “sottopanza” del PDL che mugugnano perchè hanno paura di perdere voti (= poltrone).- Poi c’è il “PDL del Sud” (Poli Bortone, Miccichè) che proprio non sopporta Tremonti.- E poi ancora ci sono “i professori” (Brunetta, Baldassarri & Co.) che danno i voti e propongono “soluzioni” fantasmagoriche…..- Infine “la giunta economica del PDL”, una sorta di comitato politico per “imbrigliare” Tremonti , dettargli “la linea” e tenerlo sulla retta via economica…..- Un delirio.- E’ già tanto se un povero ministro dell’economia riesce a sopravvivere a queste “pressioni” (e non dimentichiamoci che c’è già un precedente, con la testa del Trem voluta allora da Fini…).- Immobilismo? Qual’è l’alternativa? Dimissioni di Tremonti e….tutti a casa (cioè al voto)…..per il bene del paese…..

  7. pietro

    Confesso che faccio fatica a scrivere qualcosa in disaccordo con Lei , Dr. Giannino.
    Eppure io sono convinto (!) che possano esistere situazioni in cui
    non fare nulla non sia un male. Ovvio quando il fare qualcosa, per esempio,
    migliora una situazione oggi ma la peggiora nel lungo termine (più debito, più interessi,
    magari a tassi maggiori..).
    Mi/Le chiedo. E’ così semplice aiutare degli esportatori se il mercato importatore
    è fermo ? Beh, si può dire, abbassando le tasse ai produttori li si rende
    più competitivi. Ma abbassare le tasse ai produttori alzandole ad altri ?
    Non mi pare un’idea eccezionale. Oppure creando nuovo debito ?
    Beh anche questa non mi pare eccezionale. Rimane il taglio della spesa
    improduttiva. Sbaglio o equivarrebbe a licenziamenti (se elimino lavori
    inutili, uffici inutili, enti inutili). Mi pare che una legge voluta dall’On. Calderoli
    quache cosa abbia già fatto. Si può fare di più ? In Italia ?
    Buona fortuna.

Leave a Reply