12
Apr
2013

Google, il cavallo di Troia e la mela di Paride

Poche cose sono certe nella vita: la morte, le tasse, le crociate regolamentari contro Google. A gennaio si era chiusa, con un sostanziale nulla di fatto, l’indagine della Federal Trade Commission sulle pratiche del motore di ricerca; ma il testimone era stato prontamente raccolto dal vice-presidente della Commissione Europea Joaquín Almunia, in un procedimento che promette di chiudersi con un risultato assai meno clemente per l’azienda di Mountain View. Poche settimane fa era stata la volta di un’iniziativa congiunta di sei garanti per la privacy, incluso quello italiano, che ambiscono ad esaminare scrupolosamente l’utilizzo cui Google destina i dati dei propri utenti. È di questi giorni la notizia di un nuovo capito(presuntolo, inaugurato da un gruppo di concorrenti raccolti sotto l’insegna FairSearch e destinato a scrutinare l’incidenza del progetto Android sugli equilibri competitivi del mercato della telefonia mobile.

L’accusa è chiara: fornendo Android ai produttori di telefonini gratuitamente, cioè sotto costo, Google ha monopolizzato il mercato dei sistemi operativi mobili ed estromesso dal settore gli altri fornitori di software; e questa dominanza non è senza conseguenze, perché ai produttori Google non permette di scegliere quali app includere nei propri apparecchi – richiedendo, viceversa, che un’intera suite di servizi venga precaricata su ciascun dispositivo, con un’adeguata garanzia di visibilità. Android sarebbe, insomma, utilizzato da Google come un «cavallo di Troia, allo scopo d’ingannare i partner commerciali, monopolizzare il mercato mobile, controllare i dati dei consumatori».

Manca solo un elemento, nel quadro tratteggiato da FairSearch: la libertà di scelta degli utenti: che è sempre una libertà di scelta relativa, da esercitare tra opzioni concrete, nell’ambito di strutture di mercato definite non dal (presunto) valore intrinseco dei prodotti, ma della loro vendibilità. Forse una libertà limitata, alla luce di certe concezioni utopiche di concorrenza, ma una libertà che ai consumatori non può essere negata. Si ricorderà, del resto, per attenerci al tema mitologico individuato dai critici di Google, che fu il consumatore Paride – e non il regolatore Zeus, che pure ne ebbe l’opportunità – ad assegnare il pomo della discordia, che alla guerra cantata da Omero avrebbe dato la stura.

Il senso di queste osservazioni – è appena il caso di ricordarlo – ha poco a che fare con Google, e molto a che fare con l’idea di mercato che stiamo coltivando. Un mercato in cui attaccarsi alle gonne del regolatore è considerato non solo un metodo tollerabile di rapportarsi alla concorrenza, ma persino una strategia socialmente commendevole: come dimostra l’esistenza stessa di FairSearch, un bizzarro esemplare di associazione contra aziendam, che dà oggi rilevanza palese a denunce opportunistiche che, fino a qualche anno fa, sarebbero rimaste confinate ai corridoi del palazzo. Un’idea tanto pervasiva da contagiare tutti gli operatori: perché se è vero che Microsoft spicca tra i promotori di FairSearch, Google non si tirò indietro quando sul banco degli accusati sedeva Internet Explorer.

Un’idea di mercato, infine, che trova terreno fertile soprattutto nel vecchio continente. Non è un caso che FairSearch abbia sottoposto le proprie deduzioni alla Commissione Europea e non, per esempio, alla FTC – che pure difficilmente si potrebbe tacciare di tenerezza verso i monopolisti. La penosa conseguenza di quest’approccio alla concorrenza è sotto gli occhi di tutti: l’innovazione si fa altrove, perché distruggere il lavoro altrui, quand’è possibile, è certo meno dispendioso che costruire qualcosa in proprio. L’arretratezza dell’Europa nel mercato delle nuove tecnologie è dovuta anche alla pervasività delle sue regole. Questo accade quando la malizia degli uomini trova sponda nella tracotanza degli dèi. C’è da sperare che i regolatori europei si decidano finalmente a scendere dall’Olimpo.

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6 Responses

  1. Ho letto, ma non ricordo dove, che una delle cause del progresso tecnologico europeo dal 1200 al 1600 rispetto alla civiltà cinese o ottomana, stava anche nella sua “divisione” politica. Il Cristoforo Colombo di turno, cacciato dai portoghesi, si recava dagli spagnoli… e molti intellettuali, architetti, inventori vari potevano prosperare avendo tante “corone” a cui chiedere protezione e finanziamenti. Mentre in Cina se l’imperatore diceva NO era no, in Europa c’era sempre un Rodolfo di Boemia capace di supportare anche l’idea più strampalata. E le idee innovative nascono dalla “selezione naturale” di tante idee.
    Oggi invece un certo appiattimento potrebbe essere pericoloso per il progresso.

  2. elegantissimo

    Con la sottoscrizione dell’ACTA(trattato di gradimento conto la contraffazione), da parte delle maggiore multiutility e società monopolistiche mondiali, Google dovrebbe ritornare la maggior parte degli utili a Massimo Marchiori di Padova(docente di matematica all’università), perchè, suo, l’algoritmo che permette a Google di funzionare. Ceduto completamente gratis ,ai titolari del famoso motore di ricerca, ora impongono ogni sorta di monopolio. Rivediamo i trattati previsti anche nelle procedure esecutive della UE e poi vediamo se questi personaggi (strapieni di dollari) vengono ad imporre le loro logiche.

  3. Roberto 33

    Mi dispiace ma non sono d’accordo, perché non è vero che sul libero mercato, in assenza di regole, vinca sempre il migliore. In realtà non appena qualcuno diventa monopolista su un settore di mercato, in quel settore vince sempre e solo lui.
    La cosa funziona solo se la totale libertà è bilanciata da un forte controllo antimonopolistico, che dovrebbe prevenire le azioni che vanno contro la libertà di impresa: vendere sottocosto (dumping), includere tutto in un solo prodotto (bundling), erigere barriere commerciali o tecniche all’integrazione, acquisire aziende per distruggerle.
    Oggi, in tempi di predominio ideologico del liberismo, l’antitrust non è più di moda ma ricordo che l’industria IT come la conosciamo oggi è figlia di feroci battagli portate avanti negli anni 70 dall’antitrust americano contro il produttore allora dominante.

  4. Alessio Chiaramonti

    …e non solo.

    Questo è uno dei nostri mali fondamentali, dove l’estro regolamentatore prevale regolarmente su una pacata visione liberista di cui avremmo molto, molto bisogno.
    Dal divieto di balneazione se lo specchio d’acqua non è controllato, ai limiti di velocità a 10 all’ora, all’obbligo di presentare il DURC alle pubbliche amministrazioni (finalmente rimosso) – basta dare quello che viene percepito come “il peso della responsabilità” a qualcuno, sia un vigile urbano o un ministro della repubblica, che subito scatta la necessità di mettere regole (al solo fine di deresponsabilizzarsi).
    Sull’altro lato c’è una massa sempre più compatta che ritiene l’insegnante responsabile della stupidità del figlio, il medico colpevole della morte del nonno ottantenne, l’amministrazione delle strade per un incidente stradale fatto a 100 all’ora su una strada urbana.
    …il gatto si morde la coda (invece di correre dietro al topo).

  5. Daniele

    @elegantissimo Tecnicamente l’algoritmo non è di Massimo Melchiori questo fa parte di una sorta di propaganda interna al nostro paese, ma il paper del page rank è stato fatto dai fondatori di Google e il brevetto è dell’università di Stanford in concessione esclusiva a google. Massimo Melchiori ha dato il suo piccolo contributo e per questo è giustamente citato nel paper di Google.

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