22
Lug
2009

Fus: integrarlo con nuove risorse o abolirlo?

RaiUno, prima serata di ieri, va in onda “Lezioni di volo”, film di Francesca Archibugi realizzato con il contributo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Se i tagli al Fondo unico per lo spettacolo serviranno a non finanziare più film come questo, allora viva i tagli al Fus. In questi giorni, tutti (dal presidente Napolitano in giù) hanno espresso il loro disappunto per la riduzione dei fondi statali da destinare a teatro, cinema, musica, ecc. Con il decreto anti-crisi in fase di conversione in legge, gli uomini e le donne di spettacolo stanno dando battaglia per inserire nel testo qualche milione di euro da destinare al loro settore. Al momento, il governo sembra fermo sulle sue posizioni: i tagli previsti saranno mantenuti. A dir la verità, il ministro Bondi si sta adoperando affinchè allo spettacolo vengano date altre risorse. Tutti fanno pressioni, ma Tremonti sembra irremovibile. E se non si convince lui allora niente soldi. Le proteste sono trasversali, con gli “addetti ai lavori” (fra i quali molti artisti illustri, come Nanni Moretti e Michele Placido) si sono schierati anche parlamentari della maggioranza (come Gabriella Carlucci e Luca Barbareschi) oltre a quelli dell’opposizione. Come detto in precedenza, anche il capo dello Stato si è messo al loro fianco (seppur in maniera felpata, visto il ruolo da lui ricoperto). 
A prescindere dalla quantità di soldi che ogni anno mette a disposizione, il Fus è lo strumento sbagliato per sostenere il settore. Soprattutto per il fatto di essere un meccanismo troppo rigido e discrezionale. Con il Fus si erogano contributi ai soggetti che richiedono soldi, e che vengono ritenuti meritevoli di ottenerli. Ma mentre i criteri dovrebbero essere oggettivi, le cose evidentemente non procedono in questo modo. E se ogni ogni anno i contributi devono essere redistribuiti, sono quasi sempre gli stessi soggetti ad ottenere il finanziamento. In effetti, come è possibile stabilire la qualità artistica, ad esempio, di un film? Nel caso del cinema, se il criterio dell’opera prima e seconda può essere oggettivo e inconfutabile, quello “dell’interesse culturale nazionale” ricade nella più ampia discrezionalità. Esiste una commissione di presunti esperti… ma allora come è possibile che un film come quello della Archibugi possa essere considerato di “interesse culturale nazionale”? E poi, il 50 per cento del Fus se lo portano via gli enti lirico-sinfonici (possibile che debbano chiudere i loro bilanci sempre in rosso? Non è che invece di una carenza di fondi ci sono problemi di produttività e di gestione legati ai singoli enti?), e anche per tanti teatri il contributo annuale è pressochè garantito. Forse allora il problema non sono i milioni più o i milioni meno che ogni anno vengono erogati attraverso il Fus, ma il Fus stesso. Il sostengo al settore dello spettacolo può essere dato in forme diverse rispetto ai sussidi diretti, eliminando le interferenze di natura politica e responsabilizzando maggiormente i soggetti che operano nel settore. Cosa aspettiamo allora ad abrogare il Fus?

16 Responses

  1. Filippo Cavazzoni

    Concordo. Il giudice è lo spettatore. D’altronde, gli spettacoli si fanno per un pubblico e non per la vanità di un artista. E poi, come dice oggi Zeffirelli (intervistato su Il Giornale), “I buoni show si finanziano da soli”.

  2. Eros Valzasina

    Ti consiglierei di non parlare della qualità degli spettacoli anche perchè non è il tuo lavoro!
    Se non ci fosse questo fondo non ci sarebbero tanti bellissimi film, in ogni caso potrebbe essere utile regolamentarlo e non buttare via i soldi ma questo vale per molte altre cose…
    Forse il film in oggetto è di interesse culturale perchè può far comprendere culture diverse dalla nostra, aiuta l’integrazione, ecc…
    Se il giudice fosse lo spettatore poi in TV avremmo solo reality dato che sono i più visti… il canone rai farà pure schifo ma non quanto la TV mediaset!

  3. Giovanni

    A me “Lezioni di volo” è piaciuto moltissimo per cui sono contento che abbia usufruito del contributo.
    A chi dice che deve decidere “il pubblico” direi che basta vedere la fogna dei palinsesti pensati per assecondarne i gusti per avere una risposta chiara e senza dubbi.

  4. Filippo Cavazzoni

    Il punto è proprio questo: chi ha il diritto di stabilire la Qualità di uno spettacolo?
    E poi, siamo sicuri che senza Fus mancherebbero all’appello tanti bei film italiani? Ad esempio, il Fus nasce nel 1985… il neoralismo parecchi anni prima.
    Palinsesti: non mi sembra che Sky abbia una programmazione scadente (anzi). Mentre la Rai obbliga a pagare un canone e ci propina dei “pacchi” (in tutti i sensi).

  5. Giovanni

    Filippo, io mi riferivo ai palinsesti RAISET. Sky, che fra una cosa e l’altra costa 500 euro l’anno, rimane un’offerta rivolta a un elite e comunque, da vecchio abbonato di Pay Tv (Da Telepiù a Sky) devo dire che la qualità dell’offerta è inversamente proporzionale al numero di abbonati.
    Riguardo la qualità: se un regista nell’arco della sua carriera ha ricevuto riconoscimenti nazionali e internazionali diventa un patrimonio di tutti e come tale va almeno un pò tutelato. Tutto quì.

  6. Filippo Cavazzoni

    Però se un regista riceve premi e riconoscimenti avrà meno problemi a farsi finanziare un film (diventa indispensabile il sostegno dello Stato? Direi di no, quel regista riuscirà troverà più facilmente persone che scommetteranno su di lui). Diverso è invece il discorso per i registi esordienti.

  7. Franco Bocchini

    Da perfetto incompetente – ma da imprenditore – a me pare che potrebbe essere interessante una sana politica di marketing: i fondi supportino la distribuzione delle pellicole, in particolare in altri mercati, anziché la realizzazione. In tal modo l’obiettivo diventa la possibilità che l’opera abbia un pubblico più vasto e, di conseguenza, maggiori incassi per ripagare l’investimento iniziale. Effetto collaterale, non certo sgradito, la crescita di popolarità per gli autori apprezzati e la conseguente facilitazione ad ottenere risorse dal mercato in seguito: un bell’esempio di circolo virtuoso, molto probabilmente a costi inferiori, che non prende le mosse dalla mentalità assistenzialista – viziata, anche, da troppa discrezionalità – ma lascia a chi ritiene di avere buone idee il rischio imprenditoriale di realizzarle, con le risorse che riesce a reperire.

  8. Giovanni

    Queste sono ottime intenzioni e senz’altro in buona fede ma porterebbero solo ai cinepanettoni, “prodotti” concepiti per fare profitto. Il cinema è anche altro. Fellini ( uno dei grandi della storia di questa arte, premio Oscar, Leone d’oro ecc.) ebbe grandi difficoltà a realizzare “la voce della luna” con Benigni-Villaggio. Bellissimo film che vedeva chiaramente il futuro della nostra società. Questo film purtroppo incassò poco e forse qualcuno ci avrà perso dei soldi. E’ stato un errore farlo? L’Italia investe nel suo glorioso cinema 50 milioni di euro l’anno. La Francia 500.

  9. Marco O.

    Non penso che la Francia, con un tax burden intorno al 43-44%, sia propriamente il modello a cui si guarda in questo blog… 🙂

  10. fabio morbidelli

    Qualcuno ricorda che il Fondo Unico dello Spettacolo si chiama Unico perché è Unico.
    La metà del fus va alla lirica e una grande fetta alla prosa che sono spettacolo dal vivo; una parte del fus va al cinema (che per sua natura può fare grossi incassi al botteghino a contrario degli spettacoli dal vivo). Tagliare il fus significa colpire prima di tutto la Musica Lirica e Sinfonica che sono alla base dell’identità culturale italiana e che ci vengono invidiate e imitate in tutto il mondo. Perché si parla solo di cinema?
    Grazie per l’attenzione.
    FM

  11. Filippo Cavazzoni

    Certamente, il FUS riguarda cinema, teatro, danza, lirica, circo… e non solo. Io son del parere che l’industria cinematografica possa vivere anche senza l’intervento pubblico, sulla lirica invece sono più scettico. In ogni caso, questo non vuol dire che il sistema di finanziamento attuale sia positivo (anzi, è un disastro). Una riforma degli enti lirico-sinfonici è la prima da attuare, quella realizzata da Veltroni nel 1996 non ha dato risultati brillanti, tutt’altro.

  12. Marco B.

    Il FUS serve a dirottare sulla qualità quei soldi che stando solo alle logiche di mercato finirebbero solo in film commerciali, in questo caso non avremmo avuto tanti film belli delle ultime stagioni. Il problema di tanto cinema italiano di qualità è che mancano le sale per il tipo di prodotto finale, un film come Questione di cuore della Archibugi, ad esempio, sconta a livello di botteghino il fatto che in Italia stanno scomparendo le sale dai centri storici, e sui multisala non vige nessuna legge che li obblighi a proiettare film diversi, qualsiasi boiata commerciale può invadere fino a sei sette schermi (è successo davvero…). Sarebbe giusto obbligare per legge i multisala a proiettare solo un film per sala e allo stesso tempo far acquisire le sale cinematografiche del centro dallo stato o da enti no profit… o comunque obbligare i proprietari a non poterli trasformare in appartamenti o negozi. In questo modo sarebbe garantito quel contatto con il pubblico che sempre di più è negato alle buone pellicole nostrane (e in genere a tutto il cinema dessai in generale).Poi per quanto riguarda il FUS provate a calarvi in un imprenditore: buttereste un milione e mezzo di euro per produrre l’esordio di un regista con una sceneggiatura bella e dura che non fa ridere e non guarda al facile consumo?Ci vuole un po’ di realismo prima di dire “togliamo il finanziamento!” Prova ne è questo famoso product placement introdotto dal governo per poter agevolare l’entrate dei privati nel finanziamento del cinema. Consiste nella possibilità di fare pubblicità (occulta) nei film, ebbene le grandi società investono solo in cinepanettoni e film discutibili…

  13. sandro

    Lavoro in uno degli enti lirici, al Carlo Felice di Genova, che di certo non è il più beneficiato dal sistema.
    Comunque, a prescindere dall’analisi piuttosto superficiale e per alcuni versi anche grottesca di Cavazzoni, tanto per darvi conto di una delle ragioni del bilancio in “rosso” delle fondazioni bisognerebbe chiedersi come mai un cantante o un direttore possano prendere dei cachet stratosferici.
    E’ il mercato, direte voi, così come è il mercato a far sì che Ibrahimovic possa pretendere 10 milioni l’anno. Col risultato che le casse delle varie società sono vuote o in pesante passivo. Per cui, invece di vedere 300 lavoratori (per parlare del mio teatro) che “mangiano soldi”, provate invece a pensare che anche qui in fondo i costi sono i vari Del Piero, Totti, Ronaldo ecc. ecc. E quindi che facciamo? Mandiamo a casa per colpa loro il giardiniere, il magazziniere, il porta secchi e il raccattapalle?
    E la soluzione di questo problema a chi spetta? Al giardiniere, al magazziniere o alla FIFA?
    Infine: prima di esprimere giudizi sempre definitivi e onniscienti, magari proviamo a documentaci un pò meglio e a fare qualche ragionamento a 360°, no?

  14. Filippo Cavazzoni

    I cantanti e i direttori “di richiamo” sono anche quelli che permettono di riempire i teatri e, magari, di tenere più alti i prezzi dei biglietti. Ad ogni modo, (sempre per fare un paragone con il calcio) si può vincere un campionato anche con una squadra come il Verona.
    Qui (http://brunoleonimedia.servingfreedom.net/Focus/IBL_Focus_140_Cavazzoni.pdf) si fa un’analisi meno superficiale (è evidente come in un post di un blog l’analisi non possa essere troppo approfondita). Sul fatto che sia anche grottesca mi sembra che i numeri parlino chiaro, o i numeri non hanno valore?

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