12
Apr
2012

Finanziamento pubblico ai partiti, una modesta proposta

(originariamente pubblicato su Libertiamo)

L’accordo sui finanziamenti pubblici raggiunto dai partiti sembra servire a poco. Le regole sulla trasparenza che verranno scritte in queste settimane danno l’illusione di tenere a bada l’opinione pubblica senza toccare i portafogli dei partiti. Difficile che i partiti arroccati in Parlamento rinuncino loro sponte al bottino che gli è garantito dalla legge sui rimborsi elettorali.

La linea scelta, tuttavia, stride troppo con l’esigenza avvertita dal paese di rigenerare la classe politica e di restituire la sovranità ai cittadini. L’elevato ammontare dei finanziamenti pubblici ai partiti, impropriamente chiamati rimborsi elettorali, fa gridare vendetta al contribuente. Ma non è solo questione di austerity. Gli elettori chiedono di poter scegliere quale politica ci traghetterà alla terza repubblica.

Le norme sui rimborsi elettorali (la legge madre è la legge 157/99) prevedono che i partiti che abbiano ottenuto almeno l’1% dei voti si spartiscano quattro fondi, ciascuno dei quali di un ammontare pari al numero delle persone iscritte alle liste elettorali per la Camera dei Deputati. I requisiti per l’accesso ai finanziamenti sono differenziati e dipendono dai voti e dai seggi ottenuti nelle diverse competizioni elettorali. La soglia più bassa, prevista per l’elezione della Camera, garantisce i rimborsi ai partiti con almeno l’1% dei voti.

In totale, il bottino è di circa 200 milioni all’anno per cinque anni. Fino a pochi mesi fa c’era anche il cumulo dei rimborsi nel caso di interruzione prematura della legislatura. Se, come è accaduto nel 2008, la legislatura si interrompeva prima del suo termine naturale, i partiti continuavano a ricevere i rimborsi riferiti alla vecchia legislatura, che si sommavano a quelli riferiti alla nuova.  In pratica fino al 2011 i partiti hanno percepito i rimborsi per la legislatura 2006/2011 (terminata anzi tempo nel 2008) insieme a quelli della legislatura in corso. Un abominio abrogato, tardivamente, con una delle manovre Tremonti dello scorso anno (l’art. 6 comma 1 del decreto legge 6 luglio 2011, n.98), di cui la stampa nazionale comunque non si è accorta.

È evidente che il sistema non regge. Le riduzioni disposte con le manovre del 2011, che hanno portato a un taglio del 30% dei finanziamenti pubblici, sono poca cosa, di fronte al raddoppio (+100%) della cifra spesa dagli Italiani per sovvenzionare i partiti che hanno concorso alle elezioni del 2006 e del 2008.

Non solo la legge sui rimborsi crea una voce di spesa pubblica incontrollabile; rappresenta anche un ripudio della volontà espressa dal corpo elettorale in occasione del referendum del 1993. In più, cosa ben grave in questo momento, ingessa il quadro politico attuale e alza le barriere agli incomer. Il vantaggio competitivo concesso a chi è già dentro il Parlamento scoraggia l’organizzazione di alternative politiche e di una reale alternanza.

Una proposta: ridare al contribuente il diritto di scegliere se e quale politica promuovere. Un primo modo sarebbe quello di consentire la deducibilità anche delle piccole erogazioni liberali a formazioni e soggetti politici, oggi soggette a detrazione del 19% solo se di entità compresa tra le 50 e le 100 mila euro. Ma oltre a questo c’è un altro strumento da poter utilizzare per contenere la spesa pubblica e consentire il finanziamento della politica su base volontaristica: il 5 per mille. Ad oggi, il contribuente, in sede di dichiarazione dell’Irpef, può formulare una sola scelta e a favore di alcuni soggetti specifici: associazioni di volontariato, organizzazioni no profit, enti di ricerca, università, il proprio comune per i servizi sociali, associazioni sportive dilettantistiche. Il meccanismo non è consolidato nella normativa nazionale. Ogni anno, necessita di una specie di conferma normativa.Inoltre, nel corso degli anni, l’ammontare delle risorse destinabili alle finalità sociali è stato blindato, prevedendo stanziamenti anche inferiori alla quota rappresentata dal 5 per mille del gettito Irpef. Ma anche rendendo stabile il meccanismo del 5 per mille, la spesa è controllabile. Su 180 miliardi di euro di gettito Irpef ogni anno, con il meccanismo a favore del terzo settore, le uscite per l’erario ammontano a massimo 900 milioni. In più, non tutti i contribuenti esercitano la facoltà di scegliere la destinazione del 5 per mille. Solo il 60% esercita l’opzione.

La cosa più semplice sarebbe rendere stabile nel tempo il meccanismo, estendere la platea di soggetti destinatari alle associazioni politiche che rispettino criteri di trasparenza (partiti, ma anche altri soggetti che contribuiscono alla vita politica del paese) e consentire al contribuente di scegliere più di un beneficiario.
In questo modo, la spesa pubblica verrebbe ridotta di circa 150-200 milioni di euro all’anno, il terzo settore vedrebbe consolidata a livello normativo una possibile fonte di finanziamento e i contribuenti potrebbero decidere, sua base prettamente volontaristica, se e a quale soggetto politico contribuire.

Il fatto che la platea di beneficiari non comprenda solo i partiti presenti in Parlamento aumenterebbe anche il pluralismo e favorirebbe il rinnovo dell’offerta politica.

6 Responses

  1. gio

    Sarebbe perfetto per cominciare. L’importante e’ che gli attuali beccamorti non ricevano denaro che si sono decisi da soli di destinarsi.
    E che se non li si vuole finanziare vadano a casa, senza nessun benefit.
    Siccome se li sono decisi da soli, i loro benefit, i nostri tecnici dovrebbero finalmente levare, con effetto retroattivo, tutti i denari che ingiustamente si sono destinati. Ma e’ veramente troppo comodo rubare e non essere neanche perseguibili!! Non ci pagano nemmeno le tasse, loro! Accipicchia!|!!!

  2. Stefano Nobile

    Il finanziamento pubblico ai partiti è stato voluto, dai partiti stessi, in modo di dotarsi di una fonte di sostentamento adeguata all’appetito. La giustificazione, se non ricordo male, è stata quella che con un finanziamento “alla luce del sole” i nostri solerti e valenti politici avrebbero potuto occuparsi del bene pubblico anziché di ottenere finanziamenti di qualunque origine e natura.
    In pratica: mi dai soldi pubblici, non vado in cerca di tangenti.
    E invece la corruzione ha prosperato sempre più.
    E del bene della repubblica i politici se ne sono fregati, e se ne impippano tutt’ora, alla grande.
    Tanto vale togliere loro ogni finanziamento pubblico, senza fare altri discorsi.
    Si facciano dare i soldi dagli iscritti e da finanziatori simpatizzanti, con possibilità di detrarre la cifra intera, anche se pagata in contanti sopra la cifra limite di 1000 euri, anche se pagati in cozze pelose, cocaina, trans e/o mignotte.

  3. Franco

    Ma i soldi (sembra milioni di euri!) che hanno nelle casse i partiti non sono una quota del debito pubblico? Ebbene non è questo debito un problema grandissimo (basta guardare la cifra riportata istante per istante qui sopra; io avrei anche difficoltà ad esprimerla sia a parole che con numeri!) che ci sta causando la maggior parte dei nostri guai? Allora che li tirino fuori, che li RESTITUISCANOOO e paghino i loro debiti a quei poveracci che hanno fatto dei lavori/forniture allo Stato e che non sono stati pagati da anni! Eviteremmo qualche SUICIDIO e ridurremmo, magari di poco ma comunque ridotto, il debito. E per il futuro, per quello che servono o che hanno combimato, chi vuole i partiti se li finanzia: faccia la tessera e paghi per quello che è necessario al partito o facci auna “crocetta” per il 0.5% (così almeno esce allo scoperto per il fisco). Franco

  4. Giannicola Bonora

    Credo che un obiettivo abbia più possibilità di essere raggiunto se è chiaro da capire e facilmente misurabile. La mia proposta è:
    – abbattere del 75% i c.d. rimborsi elettorali.
    – per rendere la proposta appetibile e votabile in parlamento depenalizzare, anche con efficacia retroattiva, qualsiasi comportamento relativo all’utilizzo che viene fatto di questi fondi. una volta dato ai partiti è denaro dei partiti e non è più denaro pubblico. Eventuali distrazioni di fondi vanno regolati come rapporti tra privati, cioè iscritti ai partiti e chiunque ne abbia interesse.

    Disinteressandosi al destino di quel 25% dei fondi si salverebbe il restante 75%. Cosa verrebbe poi fatto dei soldi risparmiati è un problema diverso.

    Questo è un obiettivo chiaro e misurabile. Le proposte di lasciare l’ammontare dei rimborsi elettorali intatto aumentando la trasparenza e le pene per i comportamenti scorretti non pongono obiettivi altrettanto chiari e facilmente misurabili.

    Il discorso non cambia, entro certi limiti, se, in fase di trattativa, si concordasse su una percentuale di abbattimento diversa.

  5. ornella menici

    Gli Italiani sono soci azionisti della società Italia ANZI SOCI DI CAPITALE, i politici eletti sono gli amministratori della società Italia. Se in una s.r.l in una s,p,a gli amministratori rubano o non tengono conto del volere degli azionisti sono perseguibili in tutti i sensi. E’ ORA DI DETRONIZZARLI TUTTI E NON SOLO AL GOVERNO, MA IN PROVINCIA, IN REGIONE E NEI COMUNI.I SOCI DI CAPITALE NON HANNO PIU I CAPITALI. I politici devono restituire all’Italia tutti i soldi presi a sbafo e ripianare il debito.

Leave a Reply