26
Ago
2010

Una fenice viennese? – 1

Nella prima della metà degli anni ’30, Hayek era una rockstar (come dice il Prof. Boettke), Boehm-Bawerk era citato da tutti, e le teorie di Mises erano conosciute e dibattute. Alla metà degli anni ’40, cambiò tutto, e tutti si dimenticarono degli austriaci, salvo citare occasionalmente Hayek. Poi negli anni ’70 si ricominciò a parlare degli austriaci, ma ancora oggi la Scuola austriaca è una nicchia della teoria economica scarsamente integrata con il resto.  Come si passò dal successo al dimenticatoio in solo un decennio? L’ho scoperto quest’anno all’Advanced Austrian Economics Seminar della Foundation for Economics Education, mettendo assieme vari pezzi di un complesso e affascinante puzzle.

In quegli anni ci furono diversi dibattiti su alcuni quesiti economici fondamentali, gli austriaci persero tutti questi dibattiti, e la professione andò esattamente nella direzione opposta a quella augurata dagli austriaci. Quali furono questi dibattiti?

Negli anni ’30 ce ne furono tre: il dibattito sul capitale (“Vienna vs Knight”), il dibattito sul calcolo economico (“Vienna vs Lange”) e il dibattito sulla macroeconomia (“Vienna vs Keynes”). Gli economisti ne uscirono convinti che il capitale fosse una grandezza omogenea, il socialismo fosse un sistema economico realizzabile, e la macroeconomia fosse una scienza a sé separata dalla microeconomia. Gli austriaci rimasero convinti che era vero esattamente l’opposto, e le due Scuole si separarono radicalmente. Il milieu dell’epoca, scientista, positivista, tecnocratico e statalista, di certo non favorì gli austriaci nel dibattito.

Successivamente, negli anni ’50 ci furono altri tre sviluppi nefasti per gli austriaci: il positivismo (chiamiamolo “Vienna vs Friedman”), il formalismo (chiamiamolo “Vienna vs Arrow”). Dico “chiamiamolo” perché in realtà non ci fu alcun dibattito, gli austriaci erano già spariti dalla circolazione. Infine, c’è la questione del “Vienna vs Pangloss”, dal nome del personaggio di Voltaire, che più che un problema di teoria economica è un problema di visione del mondo.

Esaminiamo brevemente questi sei punti, con un occhio agli sviluppi successivi al 1970, che hanno di fatto ridotto di molto le distanze: se un riavvicinamento c’è stato, quanta strada manca ancora da percorrere per arrivare ad una sintesi più completa?

Dal mio punto di vista il focus è sulla macroeconomia e precisamente sulle politiche anticicliche: le differenze residue – minori che negli anni ’50 ma comunque ancora numerose e rilevanti – influenzano il modo di concepire e spiegare le dinamiche macroeconomiche, e quindi il modo in cui le politiche macreconomiche vengono analizzate e implementate?

Dato che ci sono segni di un ritorno della recessione, e che comunque la ripresa, se mai ci sarà, sarà stentata, analizzare queste questioni in un’ottica macroeconomica è importante e attuale. Non bisogna però dimenticare che la Scuola austriaca non è solo la teoria del ciclo, e, anzi, è soprattutto qualcos’altro: è una visione della microeconomia con applicazioni alla macroeconomia e all’analisi delle istituzioni.

11 Responses

  1. Consiglio la lettura di Meltdown di Thomas E. Woods, è un testo divulgativo in Inglese con un punto di vista austriaco sulla crisi che stiamo vivendo. Ordinabile sul sito del Mises Institute http://mises.org
    E’ un peccato che i testi prodotti da questo think tank non abbiano risalto nel dibattito italiano.
    Per chi poi fosse interessato a discutere esiste un gruppo facebook sulla scuola austriaca in italiano http://www.facebook.com/group.php?gid=67719978504

  2. Ho appena scoperto la scuola austriaca e il Ludwig von Mises Institute e mi fa piacere leggere questo articolo (e che ce ne siano altri a seguire). Pensavo che si trattasse di un’ignoranza solo mia.

    La scuola austriaca non è l’unica pressoché ignota in Italia. Anche Ayn Rand e l’Oggettivismo non sono conosciuti da noi, invece negli Stati Uniti se ne legge anche su riviste generaliste e i suoi libri sono sempre ripubblicati.

    Mi chiedo se questi “buchi” sono una causa o una conseguenza delle differenze tra l’Europa e l’America.

  3. @Umberta Mesina
    La scuola austriaca è poco nota un po’ ovunque, in parte immeritatamente (c’è un’infinità di cose da riscoprire, anzi, il mainstream andrebbe fagocitato dagli austriaci per eliminare certe sue limitazioni), in parte meritatamente (c’è una mentalità di autoghettizzazione e settarismo molto diffusa, in dosi letali per qualsiasi scuola di pensiero).

    Io nel post, e in quelli che seguiranno, parlavo della scuola austriaca come scuola di pensiero economico (in senso piuttosto lato), non come ideologia politica (libertarismo, oggettivismo, etc), che è tutt’altra cosa.

    Negli stati uniti pare ci sia una piccola minoranza della popolazione che non è socialista fino al midollo, gruppo politico che da noi è praticamente inesistente sul piano numerico. Però evidentemente non sono sufficienti a fare la differenza, altrimenti come spiegare Bush e Obama?

  4. Alberto

    Un paio di giorni fa ho sentito il ministro Sacconi parlare di “società senza stato”: sarà stato un consapevole omaggio a Rothbard e agli austriaci oppure una frase che gli girava in testa e gli suonava bene ma non ricordava dove l’avesse già sentita?

    In un paese dove il problema è l’evasione fiscale e non l’oppressione fiscale, dove la democrazia è vista come l’affermazione della libertà individuale e non l’opposto, non sono ottimista su una veloce riscoperta della scuola austriaca.

    Del resto, per omaggiare ancora Murray Rothbard, direi: “Sì, ipocriti liberal, è una guerra culturale!”

  5. MassimoF.

    La cosa stupefacente di tutta la vicenda è che la scuola austriaca, all’epoca rappresentata sopprattutto da Hayek, non aveva abbandonato il campo perchè non sapesse come rispondere, ma semplicemente perchè quello che bisognava dire di giusto era stato detto, e bisognava sostanzialmente aspettare che la verità storica si imponesse falsificando le tre posizioni sottolineate. Il dramma è che quando le previsioni austriache si sono affermate, a raccogliere i frutti non c’erano più gli austriaci, ma i monetaristi, che rimanevano e rimangono all’interno della tradizione keynesiana, anche se depurata dall’humus socialista , senza parlare del grandissimo problema rappresentato dal concetto di equilibrio, centrale nella visione Friedmaniana. Purtroppo il lavoro da fare è tanto, e forse impossibile da portarsi a termine, in quanto la resistenza dell’accademia sarà molto forte, ma cosa ben più grave e impegnativa sarà la resistenza culturale. Il pensiero occidentale , perlomeno europeo ( sicuramente italiano ) è pregno di concetti anticapitalisti. Temo , sperando di sbagliarmi, abbia sempre più ragione un austriaco eretico qual’era Shumpeter, il quale aveva visto per primo i germi dell’anticapitalismo all’interno della cultura occidentale e i problemi immensi che avrebbero provocato.

  6. @MassimoF.
    Del resto, morto Mises e passato ad altri interessi Hayek, non c’era nessuno che potesse continuare l’opera. Ci fu Kirzner, e in misura minore Lachmann, ma non scalfirono da soli il consenso degli economisti. Ci fu Rothbard, ma dopo gli anni ’60 smise di occuparsi a livello professionale di economia per fare l’agitprop e il filosofo. Ora ci sono O’Driscoll, che sta fuori l’accademia, Rizzo, Garrison, White, de Soto, Boettke… tutti nomi poco noti ma che hanno fatto buone cose. Ma ce n’è di strada da fare…

  7. Ashoka

    Anche perché come fai a fare ricerca e sviluppare la teoria? In Italia poi è praticamente impossibile perché non trovi nemmeno qualcuno che sia in grado di criticare/correggere/confermare quello che scrivi…

  8. Paolo

    Riprendendo quanto detto da Andrea Benetton, perchè l’IBL in partnership con il Mises Institute non cura la traduzione e la pubblicazione in Italia dei migliori libri editi dal Mises Institute? Potrebbe, per esempio, essere creata un’apposita collana presso la Rubbettino un’pò come è stato fatto con la collana Hic Sunt Leones della LiberiLibri

  9. @Paolo
    Immagino che serviranno oltre un migliaio di copie per libro per rientrare nei costi di traduzione e stampa. Ogni austriaco italiano dovrebbe comprarne venti copie, purtroppo, per arrivare a questi livelli.

  10. Grazie, Pietro.
    Nel mentre che si aspetta la pubblicazione in italiano(che in effetti dipende dal mercato), si possono comunque leggere in inglese gli articoli del Mises Institute (http://mises.org/) e anche seguire i corsi online dell’Academy. Se volete, potete anche fare un test per scoprire se siete austriaci.

  11. stefano fiorenzani

    Il fatto che il dibattito economico, fuori dal cosiddetto mainstream, si stia allargando anche ad ambienti non specializzati è sicuramente un segno evidente della domanda di una ventata nuova, in risposta al conclamato fallimento delle teorie economiche consolidate nel corso dell’ultimo mezzo secolo.
    Purtroppo per una generazione di “economisti” cresciuta a pane e matematica /statistica e con scarse conoscenze del tradizionale dibattito sulla teoria del valore, del capitale e della moneta è molto difficile anche solo accettare un approccio completamente qualitativo come quello che molte volte è proposto dagli austriaci (ma anche da altri non esponenti della mainstream school). A volte è molto più rassicurante rimanere all’interno del solco teorico consolidato, sfidandosi con le armi di un sempre più complicato formalismo, spesso ridondante.
    Concordo con chi sostiene che dovrebbe essere l’approccio austriaco a fagocitare il pensiero mainstream per generare strumenti teorico/economici più adatti al contesto macro e microeconomico attuale. Per fare questo credo però sia necessario che gli austriaci si sforzino di sviluppare le loro idee utilizzando un metodo un po’ più formalizzato che consenta il confronto con altri modelli, la verifica empirica e l’allargamento del dibattito.

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