4
Ago
2014

Die hard: l’esenzione Iva di Poste Italiane

Qualche giorno fa, segnalavamo la probabile imminente conclusione di una vicenda che impegna da anni gli osservatori del mercato postale: quella dell’esenzione Iva sulle prestazioni rientranti nel servizio universale e fornite dall’operatore obbligato a garantirlo, cioè dall’ex monopolista. L’art. 32-bis del d.l. competitività, nel frattempo passato all’esame della Camera, sottoporrebbe all’applicazione del tributo le prestazioni le cui condizioni siano state oggetto di negoziazione individuale, secondo il criterio illuminato prima dalla Corte di giustizia e, più di recente, dal Garante della concorrenza.

Alcune perplessità sulla misura sono state esposte dal relatore del provvedimento in Commissione Bilancio, Mauro Guerra – che riprende, sul punto, i risultati dell’usuale verifica tecnica compiuta dal Servizio Bilancio. Vale la pena di citarli per esteso:

la disposizione, limitando l’ambito di esenzione IVA introdotto dall’articolo 2 del decreto-legge n. 40 del 2010, appare suscettibile di determinare effetti negativi di gettito tenuto conto che alla norma che ha introdotto l’esenzione sono attribuiti effetti positivi di gettito utilizzati per la compensazione finanziaria di norme onerose contenute nel medesimo articolo 2.
In proposito si fa presente che il passaggio dal regime di imponibilità IVA al regime di esenzione non consente, ai soggetti che effettuano le operazioni attive in oggetto, la detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti, in via assoluta o pro-quota. Il passaggio inverso, da regime di esenzione a regime di imponibilità, consentendo la richiamata detrazione, determina effetti negativi in termini di gettito IVA.

È davvero così? Estendere il campo di applicazione di un tributo a operazioni prima esenti può ridurne il gettito complessivo? La questione attiene alla particolare configurazione dell’Iva, che – mirando ad incidere unicamente sul valore aggiunto – consente di scomputare dall’ammontare dovuto l’imposta pagata a monte.

Facciamo un passo indietro: sin dalla sua introduzione, la normativa sull’Iva prevedeva un’esenzione per “il servizio postale e il servizio telegrafico nazionale” (art. 10, co. 2) e, in seguito alla riformulazione operata nel 1995, per “le prestazioni relative ai servizi postali”.

Con il d.l. 25 marzo 2010, n. 40 (convertito in legge 22 maggio 2010, n. 73), il legislatore interveniva marcatamente sull’esenzione, mutandone la collocazione topografica (art. 10, co. 1, n. 16) e soprattutto l’estensione, che ora copre “le prestazioni del servizio postale universale, nonché le cessioni di beni e le prestazioni di servizi a queste accessorie, effettuate dai soggetti obbligati ad assicurarne l’esecuzione”.

Per adattare la disciplina dell’esenzione al contesto comunitario e all’apertura del mercato postale a una pur timida concorrenza, ne veniva circoscritto il fondamento oggettivo (il servizio universale; ma, stante il perimetro di questo, non si trattava di una grossa limitazione) e soggettivo (le prestazioni del solo operatore onerato, individuato nell’operatore pubblico); e, per altro verso, vi si ricomprendevano le cessioni di beni e le prestazioni accessorie. L’impatto finanziario di quelle modifiche veniva valutato positivamente, tanto che i maggiori introiti attesi venivano posti a compensazione di ulteriori disposizioni onerose incluse nel provvedimento – segnatamente, l’istituzione di un fondo per le imprese tessili, prevista dal comma 4-quinquies.

Dal punto di vista del metodo, appare opinabile il richiamo meramente formale a una stima legislativa, in luogo di un riscontro effettivo; si consideri, peraltro, che anche in quella sede il Servizio Bilancio aveva sollevato rilievi di tenore comparabile, invitando il governo a fornire “elementi di stima delle maggiori entrate […] al fine di poterne valutare la congruità in termini compensativi”.

A ben vedere, l’appunto sulla detraibilità dell’Iva assolta a monte è solo parzialmente corretto, perché non considera che una quota rilevante dei clienti dei servizi in oggetto di Poste Italiane è costituita da operatori, come si dice, sensibili all’Iva: cioè da quegli operatori che, per quanto qui interessa, utilizzano i servizi postali nella fornitura di beni o servizi a propria volta esenti. Nel campo della posta massiva, per esempio, come ricaviamo dalle recenti indagini dell’Antitrust (procedimento A441) e dell’Agcom (delibera n. 412/2014/CONS), “dei maggiori [30-35] clienti, [15-20] sono enti finanziari o assicurativi, […] [5-10] sono pubbliche amministrazioni”; e la quota di ricavi garantita da operatori sensibili all’Iva si attesta tra il 70% e l’80%.

È vero che, con l’introduzione dell’articolo 32-bis, Poste avrà la facoltà di detrarre l’Iva pagata a monte delle prestazioni non più esenti; ma, proprio su queste ultime, i soggetti sensibili che acquisteranno da Poste sopporteranno un nuovo prelievo che non potranno, a propria volta, scomputare. È, inoltre, evidente, che il prelievo praticato a uno stadio successivo sarà sempre di entità superiore. Ciò significa che, nella maggior parte dei casi, assisteremo non a un calo del gettito Iva, bensì a una traslazione del prelievo da Poste a banche, assicurazioni e amministrazioni pubbliche; e, verosimilmente, a un suo incremento complessivo.

Se, poi, allarghiamo lo sguardo anche agli effetti industriali dell’equiparazione Iva, oltre ai benefici concorrenziali evidenti, va segnalato che la detrazione dell’Iva assolta a monte ridurrà i costi per il servizio universale in capo a Poste e, in seconda battuta, allo stato che è tenuto a rimoborsarli, con ulteriore beneficio per i conti pubblici. La premura di approvare provvedimenti sostenibili sul piano finanziario è commendevole, ma richiede uno studio attento di tutte le variabili in gioco e non deve diventare un pretesto per il mantenimento di privilegi ingiustificabili.

1 Response

  1. Cito il relatore: “la disposizione, limitando l’ambito di esenzione IVA introdotto dall’articolo 2 del decreto-legge n. 40 del 2010, appare suscettibile di determinare effetti negativi di gettito tenuto conto che alla norma che ha introdotto l’esenzione sono attribuiti effetti positivi di gettito utilizzati per la compensazione finanziaria di norme onerose contenute nel medesimo articolo 2.
    In proposito si fa presente che il passaggio dal regime di imponibilità IVA al regime di esenzione non consente, ai soggetti che effettuano le operazioni attive in oggetto, la detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti, in via assoluta o pro-quota. Il passaggio inverso, da regime di esenzione a regime di imponibilità, consentendo la richiamata detrazione, determina effetti negativi in termini di gettito IVA”.

    Non ci si capisce nulla, ma nulla. espressioni totalmente criptiche… penoso, legiferare in questo modo. “leggi e leggine”, diceva Zampetti, che non portano da nessuna parte.

Leave a Reply