10
Apr
2012

Consultazione sulla (non) abolizione del valore legale del titolo di studio / 1

Qualcosa parrebbe muoversi nella discussione in merito al valore legale del titolo di studio, ma certo non sarebbe ragionevole essere ottimisti. Nelle scorse settimane il governo di Mario Monti aveva annunciato una drastica riforma e poi, nei fatti, ha finito per rimediare un’autentica figuraccia, quando varie ore di consiglio dei ministri sono servite solo a rinviare il tutto. In quell’occasione, al premier che avrebbe voluto abolire il valore legale si sono opposti numerosi ministri, determinati a lasciare tutto così com’è adesso. E il risultato è che si è deciso di soprassedere in vista di tempi migliori.

La “Consultazione pubblica sul valore legale del titolo di studio” , a cui si può accedere tramite il portale del Ministero dell’Istruzione, nasce da qui. Non sapendo bene cosa fare, il governo si è inventato questo percorso “deliberativo” che in qualche modo prova a interpellare un po’ tutti – docenti, professionisti, genitori, studenti ecc. – sulla base di quindici semplici interrogativi. La strategia di fondo di chi ha predisposto il questionario, però, è molto chiara.

La struttura dei quesiti, infatti, risponde non già a uno schema binario (favorevole oppure contrario), ma trinario. A ogni domanda si può rispondere sostenendo la necessità che il valore legale sia abolito oppure al contrario preservato, ma anche individuando una posizione più sfumata: in modo tale – è questa la scelta di “buonsenso” suggerita tra le righe – che un ingegnere chimico non possa fare il chirurgo, o che un esperto in diritto amministrativo non progetti ponti o palazzi, e via dicendo. L’intenzione di chi ha predisposto la consultazione emerge in modo assai nitido: spaccare in tre gruppi le opinioni manifestate dai partecipanti alla consultazione e lasciarsi le mani libere, in modo tale da adottare – secondo metodi ben noti – soluzioni gattopardesche.

Dopo aver liberalizzato le professioni senza liberalizzare e dopo aver riformato il mercato del lavoro senza riformare, ci si appresta insomma ad abolire il valore legale del titolo di studio senza abolirlo.

È anche interessante constatare come nei ben quindici quesiti della consultazione nessuno tocchi il tema teorico cruciale: ossia, l’esigenza di liberare il sistema educativo dal controllo statale. L’idea di sottrarre il mondo della scuola e quello dell’università dal controllo che il potere politica esercita su di essi non è neppure presa in considerazione, e l’intera questione del valore legale (che implica programmi ministeriali, sistemi di valutazione, certificazioni dall’alto, parificazioni, ecc.) è confinata in questioni di ordine tecnico-amministrativo.

D’altra parte, sarebbe da illusi pretendere che in un Paese come l’Italia ci si possa davvero dirigere verso un’autentica svolta su tali questioni.

Nelle scorse settimane ho aderito a un’iniziativa dei radicali in tema di abolizione del valore legale del titolo di studio, connessa anche alla richiesta di liberalizzare le rette universitarie. In seguito, ho preso anche parte a un dibattito, nell’università di Siena, organizzato da Radio Radicale e dal Collettivo Studentesco proprio su quelle proposte ed è stato evidente – nel corso della discussione – come una parte rilevante degli studenti (specialmente tra quelli più ideologizzati) sia schierata a difesa dello status quo e contraria a ogni forma di apertura al mercato e al pluralismo.

Chi in un primo tempo ha magari sperato che l’attuale governo, almeno su questo, intendesse seguire le sagge indicazioni formulate da Luigi Einaudi nella sua “predica inutile” su Scuola e libertà temo dovrà dunque ricredersi. Ma speriamo non sia così.

4 Responses

  1. gi

    Ma possibile che quando si parla di una questione così importante come il valore legale della laurea il discorso si debba ridurre sempre all’ aumento delle rette universitarie? possibile che si debba sempre pensare al vile denaro? che c’ entrano le rette con la l’ abolizione del titolo di studio? a questo punto bisogna dare ragione agli studenti che dicono che in realtà dietro alla scusa del valore legale da abolire c’ è l’ intento di alzare le tasse per farli indebitare con le banche. E secondo voi dopo un laureato si accontenterà di 2000 euro di stipendio? dopo ci vorranno almeno 10.000, 20.000 euro al mese di stipendio e l’ Italia già e fritta, poi sarà strafitta, se un ingegnere vorrà almeno 30.000 euro di stipendio al mese, altro che aziende e produttività. Bisogna fare un’ Università telematica e chiudere almeno la metà delle Università, fare le lauree di soli 3 anni o in alternativa formarsi direttamente in azienda. Avere gli istituti tecnici superiori ed Università anche private. Non solo un tipo di Università, ma avere a disposizione tante alternative( università pubblica, università privata, università telematica, università straniere in Italia, istituti tecnici superiori, formazione universitaria in azienda, formazione universitaria da privatista, etc. etc.)

  2. Claudio Di Croce

    L’abolizione del valore legale del titolo di studio non si farà mai e meno che meno da parte di un governo di prof. e burocrati .Se sparisse il valore legale , metà degli studenti meridionali e anche tanti del nord- che aspirano a un ” posto di paga ” nella PA – non frequenterebbero più le università. Per cui dovrebbe diminuire il numero . E i prof. ? Nessuno vuole tagliare il ramo su cui è seduto e dove si trova alla grande .

  3. gi

    @ Claudio “metà degli studenti meridionali e anche tanti del nord- che aspirano a un ” posto di paga ” nella PA – non frequenterebbero più le università”.
    Ed infatti sarebbe quello di cui ha bisogno il Paese. Un buon diploma e poi a lavorare. Si risparmierebbero tanti soldi, i ragazzi inizierebbero a lavorare prima invece di perdere tempo a studiare cose che non gli serviranno mai e che anzi li porteranno fuori dal mercato del lavoro. Il Paese diventerebbe meno burocratizzato, come nei Paesi a tradizione anglosassone. Uno si alza la mattina, si presenta ad un’ ufficio e gli dice mi assumete? no, ok si presenta in un’ altro ufficio, finché trova qualcuno che gli può dare un lavoro. Poi, magari segue lavorando un percorso di ulteriore specializzazione in quello che fa e dopo un po’ di anni inizia a far carriera. Stessa cosa nel pubblico, assunzione con i diplomi e dopo all’ interno ulteriore formazione e rotazione o carriera. All’ estero funziona così, ai vertici ci arrivi anche senza laurea, l’ unica cosa che ti dà la laurea è la possibilità di arrivarci in meno tempo. Se viene licenziato a qualsiasi età poter cercare un nuovo lavoro sapendo che l’ età non è una discriminante. Che ci sarebbe di sbagliato in tutto questo? Se poi vogliono continuare a spendere soldi per rovinare la gente invece che salvarla facciano pure, ma penso che ormai i giovani più svegli abbiano capito che a queste condizioni gli conviene andare all’ estero a formarsi o a trovare lavoro.

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