28
Giu
2011

Chicago-blog alla maturità. Il tema storico

Le firme di Chicago-blog scrivono il proprio tema della maturità. Oggi Massimo Nicolazzi svolge la traccia di ambito storico.  Qui (PDF) la traccia.  Qui le puntate precedenti. Col tema di oggi si conclude la serie “Chicago-blog alla maturità”.

Anzitutto “la periodizzazione proposta da Hobsbawm”. Il sandwich è una cosa, e il raviolo al vapore un’altra. Dubito che i cinesi abbiano vissuto il Grande Balzo in Avanti come “una specie di età dell’oro”; ed anche che abbiano vissuto il loro ultimo trentennio come “una nuova epoca di decomposizione”.  La storia nella mente del Grande Professore è eurocentrica (in questo un punticino di contatto con Carl Schmitt sembrerebbe avercelo); e se lui  si autoriduce il campo visivo a maggior ragione anch’io.  Figurarsi se posso pronunciarmi sugli eventi che hanno caratterizzato il mondo negli anni 70. Cominciano che mi muore Jimi Hendrix, e finiscono con la rivoluzione khomeinista. Tu chiamale, se vuoi, decomposizioni.

“Si soffermi sugli eventi che a suo parere caratterizzano gli anni ’70 del Novecento”.  In Italia, suppongo. Dove cominciano con l’istituzione delle Regioni e lo Statuto dei Lavoratori. E finiscono via legge Basaglia con la chiusura dei manicomi (astenersi ironie). Insomma alla faccia della decomposizione qualcosa ci si provava a riformare. Che poi riformare non vuole dire fare meglio; ma solo e appunto “ri-formare”.  Il dopo può essere peggio (ed anche assai) del prima. Però cambiare vuole comunque e sempre andare contro a interessi costituiti; ed una politica che “cambia” dà  un segnale di esistenza in vita. Il resto è minestrone; e da allora e con scarse eccezioni palude.

In mezzo tante cose. E tra tante il referendum sul divorzio. Quasi banale, vista da adesso. Però sono passati quasi quarant’anni, e quel che ci resta della politica fa a gara a dire che se c’è un residuo portatore di cultura laica non è sano e non sono io. La decomposizione insomma c’è stata; però dopo.

E tra le cose i grandi  traumi. Anni 70 ovvero terrorismo. Che aveva da noi terreno di coltura, e fertile. Efferato nelle sue forme. I peccati di sangue non si rimettono, neanche 40 anni dopo. Però nel cordoglio per chi ci è rimasto cerchiamo di non farne quel che non è stato.  L’idea che bastassero i Curcio e i Bonavita, per non parlare di quelli come Sandalo che nemmanco avevano passato gli esami per entrarci, a mettere in pericolo il nostro Stato e la nostra democrazia faceva ridere persino me, all’epoca giovane- pirlino- manifestaiolo- di -movimento. Figurarsi Andreotti, che invece ne capiva.

E indizi, come direbbe il Grande Professore, “di decomposizione, di incertezza, di crisi”?.

Forse anzitutto la fine, o quasi dell’imprenditoria industriale come ce la tramandavano; ed insieme l’incontinenza mai poi curata della cultura della spesa pubblica a fini di consenso.

Anni sessanta. I soldi si fanno ancora con la fabbrichetta che diventa fabbricone.  Dai frigoriferi ai salumi a quel mammut che è la chimica. Poi recedesi. C’è il credito da salvare, parbleu. E soprattutto (?) l’occupazione. Le Partecipazioni Statali come alternativa sociale alla Cassa Integrazione (e poi come traghetto verso la stessa).  La spesa pubblica come salvagente sociale (e medio del reclutamento partitico dei discrezionalmente salvati). Un sistema finanziario a nomina tutta partitica.

Ti ritrovi con un sistema dove oltre il 70% del PIL è spesa pubblica allargata e in pratica il 100% del credito è a controllo politico. Le accumulazioni originarie si fanno soprattutto nell’edilizia (poi altre se ne faranno in settori ad alto potenziale di evasione e di esportazione assistita dalla debolezza della lira, ma questo è solo un tema di maturità e se mai arriverò a fare una tesi prometto che approfondisco). Dove edilizia vuol dire credito dalle banche della politica e concessioni amministrative dalle sue emanazioni locali. Non sono sicuro che vent’anni dopo quelli di Mani Pulite l’avessero capito benissimo.

Dice. E i grandi privati? Quelli che a seconda di come li guardi finisci che li chiami indifferentemente capitalisti illuminati o poteri forti?  Quelli già non c’erano da tempo. E gli ultimi che facevano o fingevano industria si arresero in fretta. La produttività crolla. Il prodotto sarà anche buono in progetto, ma appena entra in catena la qualità svapora (Alfasud e Alfanissan docent). Il diritto al (non) lavoro manda in cielo il costo del lavoro. Però sulla puzzonità (vera e presunta) del ”nuovo” operaio si può far leva. Nuovo operaio nuova religione. La nuova religione trova pubblica e definitiva sanzione. Proclama il peccato di investimento; e l’obbligo di operare solo con soldi altrui. Mediobanca è il tempio, Cuccia il Patriarca. E l’accordo con cui Fiat compra dallo Stato Alfa Romeo la celebrazione dell’equilibrio del sistema. Quarant’anni dopo, chiedetevi perché adesso adorano poter investire in infrastrutture o in rinnovabili.

Finisce l’ambizione al primato dell’industria e si installa un sistema di finanza opaca, negoziata anziché competitiva, in perenne commistione di pubblico e privato. Ed insieme si fa regola la mancanza di paletti a qualunque spesa pubblica categorizzabile come “sociale”.

Basta a parlare di decomposizione?  Magari no. Quarant’anni dopo La politica potrebbe ancora non rendere irreversibile il processo. E magari sull’orlo del baratro ti ritrovi un altro Amato che, essendo politicamente irresponsabile (nel senso di non dipendente dal consenso elettorale) ti ruba nottetempo ma ti porta in Europa.

La malattia degli anni 70, fosse solo questa (e se pensi al debito pubblico che ci lascia è già più che tantissima) è forse e seppure con grande difficoltà curabile. Se non fosse per un dettaglio. Gli anni settanta  sono stati il decennio in cui ci siamo fottuti la scuola. Ho fatto la maturità nel 72. Mi sono laureato nel 76. A fine decennio erano già un altro liceo ed un’altra Università. E poi per mancanza di fondi ed esuberanza di organico e distruzione del merito sempre peggio. Non prendetevela con gli insegnanti di sinistra. E neanche con gli insegnanti. E’ stato l’uso della scuola come alternativa alle Partecipazioni Statali. Serbatoio di occupazione in attesa di Cassa. Ed anche ed insieme la fine dell’investire in infrastruttura e ricerca, che la spesa se ne andava in salari. E che se ne vada a picco la formazione.  Mi sono ritrovato or è qualche anno un sussidiario (ai miei tempi si chiamavano così) di mia figlia. Editore uno dei classici editori scolastici italiani. Motto della Rivoluzione Francese “Liberté, Egalité, Humanité”. Ed ampi accenni ad una seconda Rivoluzione Industriale che aveva tra i suoi motori la diffusione dell’uso del caucciù. E’ lo sviluppo naturale del percorso che abbiamo cominciato allora. Con il terrorismo puoi sopravvivere fino a sconfiggerlo. Il debito e la finanza opaca sono forse reversibili. Ma ricostruire una scuola e una ricerca è lavoro di generazioni. Gli anni settanta ci hanno fottuto. Me la sento una colpa anche mia.

P.S. Tre noticine

1. Il libro di Hobsbawm in originale titola Age of extremes – The Short Twentieth Century 1914-1991. Estrapolare per gli studenti una citazione sugli anni settanta senza dirgli che il secolo anche se breve finiva dopo mi pare inutile crudeltà.

2. La maturità (?) 2011 è in media per nati nel 1992. E’ segreto di Pulcinella che quando gli va bene ai figli nostri a scuola riescono a dare l’informazione privilegiata che fuvvi una seconda guerra mondiale, e (al netto di lodevoli eccezioni) si fermano lì. La scuola sta chiedendo al “candidato” di dirle che cosa sa di ciò che non gli ha insegnato. Internet, giornali, libri, mamma e papà.  Magari a qualcuno è venuto in mente di scrivere, per insegnamento familiare, che una caratteristica degli anni 70 era che all’epoca i servizi d’ordine sapevano (volendo) fare il loro mestiere. Adesso neanche loro.

3. Dove si dimostra (1+2) che quelli che fanno i temi al Ministero sono figlie sono figli della scuola che è venuta dopo.

6 Responses

  1. Raffaele

    Mi sento in dovere di esprimere i miei complimenti a Massimo Nicolazzi per la lucidità di questo pezzo.

  2. Francesco

    @Massimo Nicolazzi
    Sono di classe ’83 e grazie al cielo la maturità non ho dovuto affrontarla quest’anno 🙂 Gli esami però se vogliamo non finiscono mai. Penso che oggi ci si trovi proprio davanti ad un esame bello grosso. Abbiamo ancora la forza/la voglia di tirare avanti il Paese? Di “ri-formarlo” indipendentemente dalla politica, provando almeno ad influenzarla?
    Non vorrei fraintendere le sue parole, Massimo, ma da ciò che scrive mi pare di capire che ci siano ben grosse tracce di decomposizione/decadimento nel suo tema, negli anni 70 – e di riflesso – oggi. Non so, io negli anni ’70 non c’ero…e negli anni 80 capivo poco. Però mi è chiaro che indipendentemente dalle cause bisogna valorizzare quello che si ha oggi. A partire da noi comuni persone piuttosto che affidarsi alla politica, peraltro espressa da noi. Per cui se a posteriori devo dare un giudizio, direi che le cause non stiano nel sistema scolastico (che è difettato d’accordo), o nella sparizione dei grossi industriali, quanto nelle persone che al tempo c’erano e non hanno fatto molto per impedire un declino.
    Le stesse persone che oggi, mi pare, piangano sul latte versato e diano troppo per scontato che le “nuove generazioni” siano generazioni perdute che non sanno nemmeno riconoscere le guerre mondiali, figurarsi provare ad invertire una decomposizione (ma a tal proposito, lo stesso Mingardi, non è forse del 81?)

  3. “2. La maturità (?) 2011 è in media per nati nel 1992. E’ segreto di Pulcinella che quando gli va bene ai figli nostri a scuola riescono a dare l’informazione privilegiata che fuvvi una seconda guerra mondiale, e (al netto di lodevoli eccezioni) si fermano lì. La scuola sta chiedendo al “candidato” di dirle che cosa sa di ciò che non gli ha insegnato. Internet, giornali, libri, mamma e papà. Magari a qualcuno è venuto in mente di scrivere, per insegnamento familiare, che una caratteristica degli anni 70 era che all’epoca i servizi d’ordine sapevano (volendo) fare il loro mestiere. Adesso neanche loro.”

    Quando è toccato a me fare la maturità, l’insegnante di Storia aveva terminato il programma alla fine degli anni ’90, tanto che svolsi proprio un tema storico sulla caduta del Muro di Berlino. Inoltre avevamo trattato, ed alcuni (tra cui anche il sottoscritto) letto, “Il secolo breve” . Insomma il tema a carattere storico non sarebbe stato poi così impossibile. Non sempre la scuola è così pessima come la si vuole dipingere.

  4. Andrea Chiari

    Possibile che nessuno si ponga il problema di scelte di temi fatte a Roma, centralmente, da un gruppo di esperti ministeriali, stampate in gran segreto e portate in giro per l’Italia da staffette di Carabinieri e autorità prefettizie varie (ma ben conosciute in anticipo, naturalmente, dagli amici degli amici). Oggi, con tanto di parlare di federalismo e di autonomie? E se le scuole potessero gestirsi la selezione e la promozione dei loro studenti con una autonomia rispettosa dei vari percorsi scolastici? Tanto, per trovare il lavoro, discutere in tanti milioni del secolo breve non serve a niente.

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