29
Ott
2011

C’è del marcio in Danimarca. O in Italia? – di Angelo Spena

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Angelo Spena.

L’italica sindrome Namby

Torno da un viaggio di lavoro in Danimarca. Città di Aarhus, la seconda del Paese. Nel cuore della città svettano, tra le banchine del porto, due camini di una grande centrale termoelettrica, suppongo a olio combustibile dall’adiacente parco di serbatoi.Passo per Copenhagen. Conto cinque (cinque!) grandi centrali termoelettriche entro il perimetro urbano, lungo le insenature della costa che penetrano nel cuore del centro storico. (Due delle centrali sono anche celebrate da un libro illustrato per turisti sulla capitale – si badi bene – come elementi vitali, non come archeologia industriale).

Anche qui, ritengo che almeno due centrali possano funzionare a olio combustibile, data la vicinanza di relativi serbatoi. E mi risulta altresì che una delle cinque sia anche inceneritore, funzioni cioè bruciando rifiuti.

Ora io mi domando: anche se Londra ha da qualche anno messo a riposo Battersea Power Station, proletaria spettacolare sky-line di un recente passato operoso, rimangono Stoccolma e Francoforte di cui ricordo fino a pochi anni fa grandi centrali (a carbone – si, a carbone! – sicuramente a Francoforte) incastonate entro il perimetro abitato; prendiamo pure atto che in Danimarca il vento soffia a velocità almeno doppia che in Italia e quindi può contribuire a disperdere gli inquinanti, ma che diamine, possibile che da noi (PDF) non si possa realizzare una centrale neanche (pensate a Civitavecchia, a Porto Tolle) fuori da una città?

È vero, i danesi sono stati tra i primi a introdurre diffusamente gli impianti di teleriscaldamento urbano (il district heating) combinati con quelli di produzione elettrica, e questo richiede l’ubicazione della centrale nell’area dei quartieri serviti. Ma questa non è una scusante, è un’aggravante: dunque a fronte di certi benefici la centrale termoelettrica in città ci può stare! (Per non parlare poi dei medio-piccoli inceneritori di cui è zeppa Copenhagen).
Mi sono sentito disorientato.

Perché in tutta Europa è percepito come normale il fatto che città grandi e piccole abbiano le centrali elettriche dentro il perimetro urbano? E da noi no? Ma tranne gli italiani, sono tutti cittadini di una Europa minore?

Oppure – al di là di combinati disposti e pretesti normativi – è una questione di cultura, per la quale la sindrome Nimby da noi si declina compulsivamente in Namby, Not Around My Back Yard, per mancanza di senso del bene comune o per sfiducia secolare in tutto ciò che è avvertito come altro da sè?

Delle due l’una. Sull’argomento, o c’è del marcio in Danimarca, come sospettava Shakespeare. Oppure in Italia.

12 Responses

  1. Stefano

    e come ben si sa, visto che il 20% dell’energia viene assorbita dalla distribuzione, maggiore è la distanza tra produzione e consumo e maggiore è lo spreco… Inoltre così facendo ci consumiamo anche più territorio… Ma noi siamo ganzi… (meglio degli altri)

  2. Marco

    Bè, sei sicuro che gli abitanti che abitano vicino all’inceneritore di copenhagen siano così contenti? A New York hanno anche una centrale nucleare, ma non è proprio a Manhattan. In Italia ci sono una cinquantina di inceneritori di cui 14 in Lombardia, di cui uno è proprio nel comune di Bergamo e uno in quello di Brescia che non sono poi lontani (poi dipende da cosa s’intende per lontano) dalle abitazioni. Ovvio che per motivi logisitici farli interni alla città non è praticabile. A Savona, passando dall’autostrada, si vede una centrale termoelettrica, proprio nel cuore della città, ma i motivi sono storici. D’altra parte, stare anche a 50-100km di distanza ha già un bel costo in termini infrasturtturali e di mantenimento dell’infrastruttura. Ma se si alimentassero 3 città medie? Le variabili sono infinite. Il punto è che le cose vanno fatte dove esattamente hanno più senso, senza schiodarle da lì per nessun motivo. Si sentono sempre molti truffatori che sfruttano l’ignoranza della gente, promettendo cose impossibili, come spostare determinate infrastrutture da un comune o una provincia a chissà dove, senza mai specificare il dove e il come.

  3. Annibale

    Scusate ma mi sembra che questo argomento sia un po’ superato dai fatti.
    Cito solo alcuni esempi a me vicini o noti.

    Torino : centrale di Moncalieri, centrale di Mirafiori, centrale di Corso Margherita.

    Milano: inceneritore di Figino, inceneritore di fronte all’ ospedale San Raffaele.

    Piacenza : centrale lungo il Po ad un km dal centro

    Probabilmente ci sono altre decine di esempi simili ma quello che mi preme dire è che facciamo presto ad entusiasmarci per i pregi degli stranieri, è umano forse.
    Io credo che se opere simili vengono proposte ai cittadini con trasparenza, rendendoli nel contempo partecipi dei vantaggi (costi dell’ energia negoziati localmente) e controllori della sicurezza degli impianti, si renderebbe questo Nimby Un problema da bimbi.

  4. LucaS

    Volevo soltanto segnalare che ieri si è svolto il test dell’impianto e-cat da 1 mw a Bologna e che apparentemente è stato positivo e il cliente l’ha acquistato. Mi rendo conto che se ne sa ancora troppo poco ma penso valga la pena tenersi aggiornati dal momento che se davvero questa tecnologia funziona avrebbe effetti enormi anche in pochi anni!

  5. Mauri

    @LucaS

    Temo di no. Diversa documentazione sull’autore dell’esperimento e sulla storia delle dimostrazioni (?) scientifiche della funzionalità del sistema si possono trovare presso http://newenergytimes.com/v2/sr/RossiECat/AndreaRossiAndHisEnergy-Catalyzer.shtml.
    Il Nostro poi pare così geloso del proprio esperimento da non divulgarne nemmeno i dati di misura più elementari, non dico per dimostrare, ma quantomeno illustrare un sistema di questo tipo: portata di vapore, portata di idrogeno, consumi elettrici, rendimenti, andamenti temporali, etc etc…

  6. diana

    @ LucaS.

    siamo OT… ma su e-cat rimangono ancora diversi punti oscuri. Resta in ogni caso il problema che, a mia conoscenza, sarebbe prodotto (eccesso di) calore a bassa temperatura con cui non è possibile far girare turbine..

  7. Rinaldo Sorgenti

    Caro Angelo,

    Anch’io ho visitato qualche anno fa la bella cittadina di AARHUS ed ho dialogato con i miei contatti Danesi.
    Da loro, lo sviluppo delle Fonti Rinnovabili si fa (soprattutto con l’Eolico, visto che è il Paese più ventoso d’Europa) ma non dimenticando mai l’esigenza di garantirsi la disponibilità dell’elettricità quando il vento non spira e così hanno come prima fonte di produzione elettrica a casa loro il Carbone.
    Poi, per sopperire ai “black-outs” che provocherebbe l’improvviso calo del vento, sono collegati con la vicina Svezia via cavo e da questa ricevono prontamente l’elettricità che viene a mancare dall’eolico, con quella prodotta in Svezia con il Nucleare.

    Approfitto per trascrivere qui sotto un mio articolo che redassi dopo il penultimo appuntamento degli ambientalisti “pro-Kyoto” nel 2009, che potrebbe interessare chi non l’avesse letto:

    Q U O T E

    Nella verde Danimarca, l’energia non ha colore!
    Il 48% dell’elettricità diffusa nel paese nordeuropeo è prodotta grazie al carbone
    di Rinaldo Sorgenti

    Nello scorcio finale dello scorso autunno le TV ed i giornali ci hanno parlato in abbondanza della XV Conferenza sui Cambiamenti Climatici, quella singolare sindrome che da 20 anni sta pervadendo e saturando l’attenzione di buona parte dei governi e dell’opinione pubblica mondiale.

    Eppure, se ci si fermasse ad analizzare la storia recente e passata del clima del nostro pianeta, non sarebbe difficile riconoscere che tali cambiamenti, talvolta per periodi ed intensità ben maggiori – sia in positivo che in negativo – si sono avvicendati varie volte, con cadenza decennale o secolare, dalla notte dei tempi fino ai giorni nostri.
    Parlandone con gli esperti veri e i professori delle varie discipline scientifiche (ambiente, clima, geologia, atmosfera, ecc.), costoro confermano che questa è la realtà e ne attribuiscono le cause alla natura. Poi, però, ci sono anche centinaia o migliaia di studiosi che si occupano dell’argomento e che da un paio di decenni hanno deciso d’individuare nell’attività dell’uomo la causa quasi assoluta e scatenante di tali fenomeni. Un bel rebus, non c’é che dire… Comprensibili, quindi, anche gli slogan che si accompagnano a queste ipotesi, tra i quali: principio di precauzione, sostenibilità, rispetto per le generazioni future.
    L’essere umano è maestro nel disciplinare concetti ed espressioni, talvolta assolute ed eclatanti, che possono andar bene in tutti i casi, soprattutto se confinati a realtà astratte e/o emotive. Dopo tutto, qualsiasi sacrificio diventa tollerabile, anche il più oneroso, se sull’altro piatto della bilancia si mette – anche solo ipoteticamente – il destino dell’umanità.
    E così passano in secondo luogo anche problemi gravi e concreti come la fame e la malnutrizione di molte centinaia di milioni di nostri simili, per ‘banali’ problemi di distribuzione delle risorse e delle tecnologie che, seppur ben conosciute ed ormai abitualmente impiegate in tutti i Paesi sviluppati del pianeta, non arrivano però a questa larga componente degli abitanti della terra.
    Nei mesi scorsi, sui maggiori quotidiani nazionali, diversi commentatori ci hanno parlato di Copenaghen – dove si è svolta l’oceanica (per afflusso) Conferenza – con aggettivi suadenti e dai colori tenui e verosimiglianti alla natura, quali, per esempio, la capitale verde d’Europa, lasciando intendere che la stessa sia la migliore interprete dei precetti sopra evocati: benessere, sostenibilità e cautela. Perché non crederlo?
    Ma se davvero stanno così le cose, è significativo notare come nella ventosa Danimarca l’energia elettrica è prodotta per il 48% da carbone (peraltro tutto d’importazione), per il 22% da gas, per il 18% da eolico, per il 3% da olio combustibile, per il 9% da altre fonti (principalmente smaltimento rifiuti). Ma come, la capitale verde d’Europa è tale nonostante il nero “Carbone”? E la CO2, ed i cambiamenti climatici e l’anomalo aumento della temperatura, apparentemente senza precedenti da migliaia e migliaia di anni?
    Dopo un po’ di stupore e naturale perplessità, arriva uno sconosciuto che voleva prestare bonario soccorso al nostro smarrimento e ci svela che alcuni curiosi ‘ficcanaso’ sono andati a rovistare tra gli archivi informatici di reputate università inglesi ed americane, che hanno fatto dell’argomento il loro cavallo di battaglia – nella speranza di giungere a prestigiosi riconoscimenti, infatti generosamente elargiti quali oscar cinematografici per l’attore Al Gore, premio Nobel collettivo (per la pace, non per la fisica…) all’organismo ONU che si occupa di questi “studi” (l’IPCC), benemerenze varie e molteplici, eccetera. Hanno inoltre scoperto che queste avrebbero taroccato i dati e le evidenze scientifiche, così da far apparire i loro grafici e modelli climatici previsionali, del tutto in linea con le loro catastrofiche previsioni. Il cosiddetto Climategate, cioè lo scandalo del clima, addomesticato!
    Certo, non è semplice cancellare d’un colpo vent’anni di paure, d’ammonimenti da “santa inquisizione” (che non è purtroppo stata una favola nei secoli passati), di oceaniche manifestazioni strombazzanti, e riordinare le idee senza rimanere smarriti.
    Alla fine il buon senso, fortunatamente, prevale e allora c’è una regola semplice ed efficace che in questi casi può aiutare a decidere da che parte stare e che consiste nel guardare nel “giardino” dei nostri vicini (tedeschi, inglesi, spagnoli, olandesi… ed anche danesi) per osservare come questi ultimi producono l’elettricità che consente loro di conservare un ambiente salubre e piacevole, di mantenere il benessere e di sviluppare l’occupazione, senza compromettere il loro habitat congeniale. I loro numeri sono i seguenti: 30% da carbone; 28% da nucleare; 22% da gas; 3% da olio combustibile; 10% da idro; 3,3% da eolico e solare; 3,7% da altre (principalmente rifiuti e biomasse).
    C’è un altro concetto che credo d’aver capito: la prossima volta che qualcuno mi parla di previsioni catastrofiche ed irrazionali, lo guardo e sorrido, poi vado a documentarmi da seri esperti e professori autorevoli (ora che Internet ce l’ho anch’io), ma anche dal vicino amico agronomo (che stupido non averci pensato prima!), che sa bene quale è il ruolo e l’importanza della CO2 per la vita di noi tutti su questo meraviglioso pianeta e mi tranquillizzo. La prossima volta non mi lascio più fuorviare a mio stesso danno…

    U N Q U O T E

    Approfitto anche per segnalare anch’io un acronimo utile ed opportuno, soprattutto quando si consideri quanto precaria e rischiosa sia la condizione italiana in termini di produzione elettrica:
    L’acronimo è: “Bimby” – Best in my back yard!

    Pensateci e ditemi se non sarebbe finalmente utile pensare ed esprimersi in POSITIVO.

    Bando al NEGATIVISMO ed alle speculazioni, davvero dannose!

    Saluti.

  8. massimo

    Io credo che dato il clima più rigido della Danimarca lassù sfruttino il calore residuo delle centrali termiche per riscaldare la città.

  9. riccardo

    Direi che è per una sfiducia secolare in come vengono gestite queste infrastrutture; se una centrale provoca un qualche danno nell’ambiente circostante, chi paga?

  10. Enrico

    @Stefano
    veramente terna dice che il trasporto consuma il 6% circa, e dalla legge di joule il massimo spreco sono i trasporti a basso voltaggio, non quello ad alto ed altissimo voltaggio…..

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