31
Ott
2013

Banche: l’invito di Napolitano, 4 guai e le colpe dei regolatori

Ieri era la Giornata nazionale del risparmio, e il Capo dello Stato ha dato voce alla richiesta che si leva da famiglie e imprese italiane, dicendo chiaro e tondo alle banche “riaprite i rubinetti del credito”.
Giorgio Napolitano ha  ragione. Perché la decrescita italiana che prosegue – è di ieri la conferma dell’uscita dalla recessione della Spagna, mentre il trentaduesimo mese consecutivo di calo dei consumi italiani ieri ha depresso l’indice retail dell’intera eurozona – ha due ragioni di fondo. La prima è l’accresciuta pretesa fiscale dello Stato, mentre i redditi scendono (il Pil procapite è attualmente a quota -11% rispetto al 2007). Ma la seconda è proprio la restrizione di credito praticata dal sistema bancario.

Eppure Napolitano al contempo ha anche torto: perché, almeno dal mio modesto opunto di vista, i regolatori bancari italiani hanno messo in atto comportamentio tali da “far conseguire”, per così dire, proprio un indurimento del credit crunch.
La dimensioni del taglio degli impieghi è impressionante. Solo negli ultimi dodici mesi le banche hanno diminuito di oltre 3 punti di Pil, più di 52 miliardi di euro, i prestiti e finanziamenti a imprese e famiglie. Quelli al settore privato sono crollati del 3,5% , da 1.485 miliardi a 1.433 miliardi. E’ da due anni e mezzo, dall’inizio della fase più pesante dell’eurocrisi dei rischi sovrani e cioè dell’esposizione italiana allo spread elevato sui titoli pubblici tedeschi, che il calo si attesta su una media superiore al 3% annuo: dal precrisi, siamo a oltre 150 miliardi di euro di minori impieghi, quasi 10 punti di Pil. Mentre negli anni 2000-2009 i prestiti alle sole imprese erano aumentati del 100%.
Se andiamo a vedere come questa restrizione si distribuisce, le imprese più colpite sono al Nord. Per le imprese, a fine estate, quelle settentrionali registravano una contrazione di prestiti annuale del 3,8% nel Nord e Centro Italia, quelle meridionali del 2,4%. Ma è un dato dovuto al fatto che grandi e medie aziende – che “pesano di più nei prestiti bancari- sono soprattutto al Nord. Se infatti esaminiamo le sole piccole imprese familiari il dato è del tutto omogeneo: anzi il Sud registra un meno 3,8% e il CentroNord un meno 3,7%. Ma sono invece decisamente al Sud le famiglie più “tagliate” dai finanziamenti bancari. Le famiglie meridionali vedono mutui e prestiti al consumo diminuire tre volte più di quelle settentrionali, a inizio autunno 2013 rispetto all’anno precedente con un meno 1,4% rispetto al meno 0,5% del Centro Nord.
Dal 2011 in poi, l’ABI ha sostenuto che il più di questa restrizione di credito deriva da un calo della richiesta, cioè dal fatto che le imprese, colpite dal calo della domanda interna ed erose nei margini, investivano meno (in effetti abbiamo perso oltre un quarto di investimenti, tra pubblici e privati come quota sul Pil dal precrisi, siamo scesi intorno al 19% annuo) e dunque chiedevano meno prestiti. La realtà quotidiana spunta le unghie a questo argomento. Imprese e famiglie nelle difficoltà avrebbero bisogno di più credito, non di meno, e la difficoltà sta naturalmente nel valutare ed accordare il credito a chi lo merita, cioè a chi resta in condizioni di ripagarlo.
Ma il punto è che le banche italiane si trovano ad affrontare quattro diversi pesi, nelle loro ali. Alti costi. Un capitale “corto”, rispetto a maggiori prestiti . Alte sofferenze. E molti titoli pubblici in pancia: troppi.
Aver inseguito nel precrisi un modello di crescita del sistema bancario costruito su troppi sportelli – il rapporto tra popolazione e agenzie era 4 volte superiore a quello olandese, per dirne una – e troppi dipendenti, a seguito di acquisizioni bancarie senza successive razionalizzazioni di produttività, ha prodotto un’esplosione nella crisi. Dal 2008 a metà 2012 sono stati chiusi 700 sportelli, ma da allora altri 1300. E malgrado queste 2mila agenzie in meno siamo ancora a 54 sportelli per 100mila abitanti rispetto a 47 che è la media nell’eurozona. Il che significa anche, naturalmente, migliaia di bancari in meno: ed è per questo che siamo arrivati alla disdetta del contratto bancario, e al primo sciopero generale di settore, oggi dopo 13 anni. Tuttavia il taglio dei costi da solo non riporta in positiva una redditività di sistema che è diventata negativa nell’ultimo anno, rispetto a un ROE superiore al 6% del precrisi. Sempre a proposito di costi: retribuzioni e benefici aggiuntivi dei manager delle grandi banche restano troppo elevati, e istituti come Intesa ancora non tagliano le decine di amministratorin in eccesso derivanti dalla “tenuta in vita” di numerosissimi cda ereditati dalle ex banche “annesse”.

Sul capitale bancario, dopo il travagliato aumento di capitale in più tranche di Unicredit, a inizio dell’eurocrisi, i regolatori italiani hanno usato prudenza. Hanno preferito cioè non chiedere alle banche aumenti di capitale anche superiori ai requisiti minimi di capitale imposti dagli accordi di Basilea, per evitare che le fondazioni bancarie perdessero il controllo degli istituti di credito. Ed è anche per questo che oggi, prossimi all’inizio dei controlli su capitale rischi che saranno condotti per la prima volta dalla Bce, una decina di banche italiane corrono il rischio di non superare l’esame, a cominciare da Mps sul cui aumento di capitale da 2,5 miliardi appena imposto dall’Europa occorre intrecciare le dita, viste le condizioni in cui si trova.

Nella crisi tutti diventano cattivi pagatori. Per questo le banche italiane devono mettere capitale a riserva per fronteggiare l’esplosione dei crediti deteriorati, giunti alla cifra di 140 miliardi lordi: le banche preferiscono dare i numeri al netto ma ciò non toglie che quella è la cifra, e secondo Accenture il costo di questo rischio per le banche italiane, cioè le perdite per le rettifiche sui crediti, dal 2007 a fine 2012 è aumentato del 339 per cento.

Infine, un’altra ragione che “accorcia” il capitale bancario rispetto alla necessità di garantire prestiti a famiglie, è la contropartita che i regolatori pubblici hanno chiesto alle banche per non farne mutare il controllo proprietario: e cioè oltre 400 miliardi di titoli pubblici attualmente in portafoglio agli istituti di credito. Siamo il Paese dell’eurozona in cui la “repressione fiscale” a danno del sistema bancario nazionale è stata la più forte: persino più che in Grecia e Spagna.
Si poteva fare diversamente? Sì, con una grande bad bank alla spagnola, chiedendo aiuti europei, o se non lo si voleva fare usando le garanzie – le garanzie, non la liquidità – di Cdp a questo scopo, invece di usarla per replicare l’IRI e acquisendo aziende per farle restare pubbliche. Ma politica e Bankitalia hanno preferito di no. Qualcosa di diverso potrebbe fare anche la BCE, se compisse più operazioni sul mercato aperto (perfettamente cosnentite da Trattato e Statuto) “aiutando”, cioè, i finanziamenti non bancari, perché noi dipendiamo troppo dalle banche (il 92% dei finanziamenti a privati viene di lì) rispetto a qualunque altro Paese avanzato.

Una cosa è certa. La BCE ha comprato 100 miliardi di titoli pubblici italiani e prestato 250 miliardi alle banche italiane a costo praticamente zero. Ma tutto questo ha prodotto benefici al debito pubblico, mentre famiglie e imprese gemono.

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1 Response

  1. marco

    FACCIAMOLA UN PO’ PIU’ SEMPLICE
    siamo un paese culturalmente e moralmente arretrato ed abbiamo quindi strutture paleolitiche dal punto di vista sociale, scolastico, sindacale e imprenditoriale e quindi finanziario
    per essere finanziati imprenditori e consumatori devono essere controllati
    se si rifiutano delegano il controllo a un terzo discreto (sperano) che si chiama BANCA, pare poco ingerente ma DEVE essere almeno DIFFIDENTE,… MA… col vertiginoso turnover dei direttori di filiale a seguito del consolidamento bancario si è perso un po’ di radicamento e qualche furbetto ci ha ricavato più del lecito dando alle banche le più numerose sofferenze mentre alcune cene o telefonate giuste han dato le sofferenze più monstre (per dire Alitalia o Fondiaria).
    MA! SINO A QUANDO MERITOCRAZIA ed ETICA saranno solo due etichette VUOTE r i c o r d a t e v i CHE è semplicemente GIUSTO ed economicamente EFFICIENTE che SIA e continui ad essere L’INFERNO le parole non servono ci vogliono FATTI

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