20
Lug
2009

Autorità di regolazione: la politica attacca, da noi e negli States

Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, nel girare al Parlamento la relazione annuale del presidente Consob Lamberto Cardia, ha sottolineato con una propria nota la necessità  di interventi improcrastinabili «sull’attuale assetto istituzionale italiano che, rispetto agli altri Paesi membri dell’Unione europea, si caratterizza per un numero elevato di autorità indipendenti, tra cui sono ripartite le funzioni regolamentari di vigilanza». Secondo Tremonti il dibattito che è «di importanza cruciale». Il sistema basato sulla frammentazione delle autorità nazionali è ormai «irrealistico» perchè gli intermediari sono «sempre più internazionali» e i mercati «sempre più integrati». Abbiamo deciso di chiedervi con un sondaggio come la pensate. Io sono dell’idea che occorra stare oggi più che mai molto attenti. L’aria di “rivincita” da parte della politica non mi persuade per niente, e più volte ho già scritto come la penso intorno alle cattive prove offerte recentemente da vertici di Autorità di regolazione indipendenti, dalla Consob all’Antitrust, che mi appaiono troppo pronti a compiacere la politica invece di tutelare l’indipendenza delle decisioni del proprio collegio. È un dibattito che ferve in tutto il mondo, sotto la morsa della crisi la politica mostra crescente insofferenza verso Authorities che, tante volte, non hanno dato buona prova di sé, mostrandosi spesso “prigioniere” dei soggetti regolati. Negli States, soprattutto, il confronto è molto più alla luce del sole che da noi.  Perché lì accademici e intellettuali reagiscono e dibattono. Da noi, tutto tace e i media o restano muti, o plaudono alle… “cardiate”.

La questione diviene molto scottante quando investe innanzitutto il regolatore monetario e la vigilanza sugli intermediari finanziari, questione di cui spesso recentemente ci siamo occupati. In questo fine settimana è stata inviata al Congresso e all’Amministrazione una lettera aperta sottoscritta da otto primari economisti, tra cui il fondatore della scuola delle aspettative razionali Thomas Sargent, Anil Kashyap con cui ho condiviso un corso, e che oggi insegna alla University of Chicago Booth School of Business, Ricardo Caballero del MIT che in questi anni ha approfondito le ricerche di Alesina di ormai più di vent’anni fa sull’effetto che l’indipendenza delle banche centrali esercita sui track records delle loro politiche monetarie. All’appello hanno risposto, a oggi, oltre 180 economisti da tutta America, tra i quali grandi nomi come Robert Shiller ma soprattutto accademici giovani di neppure quarant’anni, formatisi negli anni in cui l’inflation targeting figlio delle aspettative razionali era diventato il mantra di ciò che si imparava nelle università, un mantra che come ho già scritto era “quasi” bipartisan tra neokeynesiani e monetaristi-offertisti, sia pure con i primi assai più pronti a giustificare politiche monetarie più discrezionali, i secondi più convinti del famoso paper di Rogoff del 1985 – The optimal degree if commitment to an intermediate monetary target. Quarterly Journal of Economics 100 (4), 1169–89 – in cui sosteneva che, al di là del confronto tra scuole diverse di appartenenza, le serie storiche mostrano che è sempre meglio scegliere un banchiere centrale assai più conservatore dell’environment politico-accademico, in materia di severe strategie anti inflazione.

L’appello è breve, e sostiene quattro semplici cose. Primo: l’indipendenza piena dalla politica costituisce scudo per giuste decisioni coro l’inflazione di pressi e asset. Secondo: le decisioni nella funzione di lender of last resort – cioè i salvataggi pubblici – non devono essere politicizzate, e ciò può avvenire solo che se il regolatore è indipendente. Terzo: ogni modifica del processo di selezione dei membri delle autorità come Fed e FDIC che porti più vicino alla politica, ne pregiudica credibilità ed efficacia. Quarto: l’attribuzione di nuove funzioni al regolatore, di cui al disegno di riforma presentato dall’Amministrazione in Congresso, deve vedere nell’indipendenza dalla politica il primo metro di giudizio.

Un appello che firmeremmo di corsa, si direbbe. Io, personalmente, non ho dubbi. Eppure anche negli Usa nel mondo più idealmente a noi vicino sono molte le voci che sferzano quell”appello come falso nei suoi presupposti e quanto mai inopportuno: vedi qui Alex Tabarrok su Marginalrevolution, oppure qui Robert Higgs sul blog dell’Independent Institute. La pretesa di “indipendenza” è del tutto velleitaria, dicono, visto che i regolatori “cosiddetti indipendenti” si rivelano più proclivi a salvare le grandi banche di cui spesso da qualche decennio a questa parte sono per altro diretta espressione, e del resto le loro decisioni su tassi e salvataggi sono politiche in ogni caso, dunque meglio tornare alle tesi originali del free banking di Hayek e Mises. Intendiamoci, questi critici sono liberisti puri, non hanno nulla a che vedere con l’ispirazione che muove da noi Giulio Tremonti. Nella teoria, io sono d’accordo con la messa in guardia liberista “pura”. Nella pratica, considerati i rischi assai concreti di peggiori danni che la rivincita politica è in grado di fare, io l’appello lo firmerei lì e lo promuoverei anche in Italia.

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4 Responses

  1. Alberto Mingardi

    Leggendo il bellissimo post di Oscar Giannino mi viene in mente che servono davvero, citacchiando Benjamin Constant, dei “principi intermedi”, che servano ad “adattare” le idee in cui crediamo alle circostanze in cui viviamo. Senza, il rischio e’ quello di una controproducente sterilita’. Per cui anche a me sembra che l’ “indipendenza” sia una finzione, ma dopotutto la sua stessa esistenza come “finzione”, come “formula politica”, risponda a delle domande che se non ci sono, vuol dire che la societa’ e’ gia’ scesa giu’ per una brutta china. Ad ogni modo, per una sintetica illustrazione del pensiero dei “realisti”, segnalerei anche Jerry O’Driscoll su ThinkMarkets ( http://thinkmarkets.wordpress.com/2009/07/16/what-fed-independence/ ), per cui “it is not the critics of the Fed who threaten its independence, but the Fed’s own actions. Its intervention in the economy is unprecedented in size and scope. It is inevitable that those actions would lead to calls for further Congressional oversight and control. The Fed is a creature of Congress and ultimately answerable to that body”.

  2. mario fuoricasa

    Tremonti solleva un problema, ma non credo che abbia le idee chiare e se le ha non le può confessare in pubblico. Quel che penso é che le Autorities in Italia sono solo un tentativo, un esperimento di revisione del nostro ordinamento istituzionale. Purtroppo questo tentativo, così come concepito é destinato a farci patire. Ci vuole molto coraggio a inserire le Autorities in un quadro costituzionale che ne definisca gli ambiti, poteri e quindi anche le responsabilità. Oggi queste entità godono di un po’ di potere esecutivo, un po’ di quello legislativo o perlomeno regolativo, e un anticchia di quello giudiziario.
    Di fatto dipendono dagli ordini o poteri attualmente costituiti.
    Un Ordine aggiuntivo pertanto sembrerebbe necessario, ma solo se di rango costituzionale perchè:
    – il Governo possiede imprese quotate in borsa, può imporre adempimenti che mettono a rischio le libertà costituzionali senza dimenticarci che é anche un gran debitore;
    – la Magistratura non riesce a trattenere i segreti di un procedimento e, per i reati perseguiti dalle Autorities inoltre servirebbero professionalità cosi specialistiche e sempre in costante aumento che sarebbe consolatorio se si dedicasse ai reati ordinari e a dirimere le questioni civili;
    – Il sacrosanto Parlamento per le attività specialistiche dovrebbe liquidare “dopo un rigoroso esame” norme sotto dettatura .
    Per garantire rapidità di intervento, indipendenza, e professionalità i soggetti appartenenti alle Autorities dovrebbero rispondere a norme penali civili ed amministrative diverse dai cittadini comuni. Nell’esercizio delle loro funzioni data la particolare diligenza necessaria dovrebbero accettare di rispondere ad un corpus di norme ad hoc che possano anche limitare i diritti civili ordinari con carriere distinte ed incompatibilità ben dettagliate ed anche incarichi a tempo.
    La soluzione sembrerebbe quindi quella di dividere la chiave dal lucchetto.
    Una autority deve poter investigare, prendere provvedimenti cautelari immediati, eseguirli con la perizia specifica, comunicare e cooperare con soggetti internazionali. Deve tenere informato il Governo, il Parlamento e la Magistratura per quanto attiene alle loro competenze.
    Da questo “Ordine di Garanzia” dovrebbero dipendere le Autorities. Sarebbe uno Stato nello Stato? Non so! Oggi è gia così e senza garanzie e molta confusione. Chi controllerebbe dei controllori così specializzati? Meglio non farsi questa domanda.
    Ok firmo anch’io l’appello.

  3. Luciano Pontiroli

    Non conosco bene le intenzioni di Tremonti, ma mi sembra che le autorità indipendenti non abbiano dato buona prova nei momenti critici: Bankitalia e Consob continuano a produrre regolamenti ed istruzioni, che spesso ingessano l’attività dei soggetti vigilati ed aumentano i costi di transazione, ma non riescono a prevenire le frodi al mercato (Cirio, Parmalat, BPLodi), eppure ambiscono a cumulare sempre maggiori competenze; l’AGCM mostra una tendenza ad invadere la sfera d’azione di altre Autorità e ci vuole un parere del Consiglio di Stato per ribadire che la vigilanza sugli intermediari finanziari non le spetta.
    D’altro canto, rimango ancora perplesso di fronte al cumulo di funzioni all’interno delle Autorità, che promuovono le indagini sulle violazioni ipotizzate, le conducono a conclusione e adottano le sanzioni … alla faccia della terzietà ed imparzialità della P.A.
    Credo che una riforma e semplificazione delle Autorità sia auspicabile: in particolare, mi sembra opportuno che la vigilanza sui mercati finanziari sia affidata ad un’unica Autorità (al massimo a due: Bankitalia e Consob). Certo, il timore che la politica ne approfitti esiste … ma lo stesso Giannino riconosce che ciò già avviene.

  4. OTC

    Secondo me i signori che ragionano delle “giuste decisioni contro l’inflazione dei prezzi e degli asset” non hanno imparato assolutamente nulla dalla recente crisi economica. Vogliamo una buona volta discuterne le cause ? Cause che nascono da lontano, o meglio dal lontano 15 agosto 1971, quando Nixon di fronte alle richieste di conversione dei dollari custoditi alla Banque de France dichiarò di fatto bancarotta rifiutandosi di pagare con l’oro di Ft. Knox.

    “The abandonment of the gold standard made it possible for the welfare statists to use the banking system as a means to an unlimited expansion of credit.” (Alan Greenspan, Glod and Economic Freedom, 1966)

    Non potrebbero esserci parole migliori di per spiegare quanto accadde (anche se nel 1971 vigeva Bretton Woods, ovvero il dollar-standard): infuriava la guerra in Vietnam, e per finanziarla gli USA avevano speso troppo, quindi era necessario usare il sistema bancario per espandere il credito in maniera illimitata.
    L’economia si muove in cicli espansivi e recessivi, mentre la politica ha bisogno di un’espansione continua e duratura, dove tutti vivono (e votano) felici e contenti.
    E per ottenere tale obiettivo la politica non si fa alcuno scrupolo a manipolare ed alterare le regole del mercato, come appunto fece Nixon nel 1971.
    Cominciamo dalle Banche Centrali, enti inutili e pericolosi, che hanno lo scellerato compito di stabilire in maniera sovietica i tassi a breve termine. In un sistema economico libero il prezzo di qualsiasi asset, denaro compreso ovviamente, dovrebbe essere determinato dall’incrocio di domanda ed offerta, e non da un consesso di apprendisti stregoni.
    Ed infatti i risultati si sono visti proprio nella recente crisi: quando i risparmi delle famiglie (offerta di moneta) erano al minimo che cosa ha fatto la FED (e la BCE) ? Hanno pensato bene di manipolare al ribasso il prezzo del denaro verso i minimi dal dopoguerra, provocando una colossale manipolazione del mercato del credito, sovraindebitamento, speculazione, misallocazione di capitale e tutto quanto abbiamo visto di questi tempi. Questo per ottenere che nel breve periodo l’economia in bolla creditizia desse l’illusione di prosperità.
    E mettiamoci l’altro ingrediente, diretta conseguenza della scelleratezza di Nixon del 1971, il moral hazard: in un sistema monetario non convertibile, le banche di fatto possono sempre essere salvate dalla Banca Centrale. Questo provoca l’eliminazione del rischio d’impresa per un particolare settore produttivo (produttivo è una parola grossa se rapportata alle banche, “parassita” sarebbe più opportuno), distorcendo in maniera colossale il mercato (qualcuno si è mai chiesto perchè negli anni d’oro il ROE delle grandi banche era circa il doppio di quello degli altri settori?). Ed ecco che le banche garantite implicitamente dallo Stato hanno assunto rischi impropri, hanno privatizzato profitti colossali e quando sono arrivate le perdite, ci ha pensato lo Stato/BC a ripianarle.

    In conclusione, non c’è bisogno di alcun ente di vigilanza. Un vigilante supremo esiste già: si chiama libero mercato. Basta ripristinarlo.

    Quindi andrebbero immediatamente abolite le BC (e quindi restituire al mercato la determinazione dei tassi a breve e dell’offerta di moneta): i tassi non sarebbero mai scesi a livelli troppo bassi e non ci sarebbe stata alcuna bolla sui mutui subprime.

    Inoltre (come suggerisce Maurice Allais, Nobel per l’Economia nel 1988) il “narrow banking”: le banche dovrebbe essere divise categoricamente in istituti di deposito (garantite dallo Stato, che raccolgono i depositi e li investono in titoli sicuri a breve termine) e banche di investimento (che fanno raccolta ed investono come vogliono, ma che possono fallire come qualsiasi altra impresa): non sarebbe stato necessario spendere centinaia di miliardi di $ per salvare i parassiti e gli speculatori di Wall Street.

    Autorità, garanti, ecc hanno l’unico effetto di aumentare il monte stipendi che lo stato deve pagare. Sinceramente, non se ne sente il bisogno.

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