15
Ott
2012

Auto europea: domino tedesco, Fiat altrove

Approfittiamo dell’ottantunesima edizione del salone dell’auto di Parigi, che si è appena chiusa ieri con le sue cento anticipazioni di nuovi modelli e concept car, per fare il punto su quella che dopo l’accelerazione dell’eurocrisi resta la grande malata mondiale, cioè l’auto europea. Più di mille chiacchiere, i numeri ci aiutano a capire la vicenda Fiat. Insieme al fatto che l’auto europea non è affatto finita, anzi: per i più bravi e capaci, però. La crisi è ancora lungo dall’aver toccato il punto più basso. Se sommiamo le vendite europee nei primi sette mesi dell’anno in corso siamo a 8 milioni e 136mila unità, rispetto a 8 milioni e 700mila nei primi sette mesi del 2011. Di qui le dichiarazioni di Sergio Marchionne in apertura del salone a fine settembre, la piccata risposta dei tedeschi, e l’armistizio successivo con il ritiro di quella che era sembrata all’indomani dell’affondo del capoazienda Fiat una proposta bombastica, e cioè che si dimettesse dalla presidenza dell’associazione dei costruttori europei.

Il punto di fondo è che l’Europa non affronterà l’eccesso di capacità dei suoi oltre 100 stabilimenti in un’ottica continentale, di vero mercato unito, come hanno fatto gli USA nel 2008-2009 consentendo con interventi pubblici la ristrutturazione drastica di Gm e Chrysler. Su questo, Marchionne ha ragione, l’Europa non è capace di considerare l’industria dell’auto in un’ottica di filiera globale, ma continua a credere che ogni Paese debba vedersela a casa sua. Di conseguenza, i Paesi eurodeboli sottoposti a programmi di rientro coatto della finanza pubblica ed ergo a forte recessione vedono sprofondare le vendite a quelle di decenni fa. In Italia ad agosto scorso i volumi erano quelli di metà anni 60, e a settembre siamo penosamente risaliti a quelli del 1974. Tuttavia, al netto di questo difetto sostanziale di una politica comune, comunque vi sono tendenze evidenti sulle quali vale la pena soffermarsi. Perché l’auto europea non solo non è morta, ma mostra di seguire delle strade d’innovazione comunque molto promettenti. Certo, per chi può premettersele, e cioè per chi non ha saltato cicli di reinvestimento e insieme ha capito per tempo che doveva insediarsi in forze nel mercato mondiale leader, la Cina, e in quelli emergenti.

Se esaminiamo le vendite europee per casa automobilistica da gennaio a luglio, troviamo in testa Volskwagen con 1 milione e 24 mila auto, poi Ford con 633mila, Opel con 547mila, Renault con 534mila, Peugeot con 510mila, Audi con 442mila, Citroen 440mila, Fiat a quota 407mila, BMW con 383mila, Mercedes con 363mila. E se esaminiamo i primi dieci modelli più venduti, troviamo al primo posto la VW Golf con 277mila unità e un meno 7% sul 2011, la Ford Fiesta con 204mila pezzi e meno 12%, la VW Polo con 195mila e meno 14%, la Opel Corsa con 175mila e meno 19%, la Ford Focus con 165mila e meno 13%, la Opel Astra con 156mila e meno 19%, la Renault Clio con 153mila e meno 19%, la Nissan Qashqai con 136 mila che è l’unica a guadagnar uno striminzito 0,3%, la Renault Megane a 131mila con meno 15%, infine la VW Passat con 130mila a meno 11%.

La graduatoria attesta una cosa evidente. Nella grande crisi dell’auto europea, i produttori forti nel mercato premium hanno guadagnato enormemente, in termini sia di margini sia di posizioni. Dieci anni fa solo Mercedes era tra i primi dieci marchi europei. Oggi tutti e tre i produttori tedeschi del segmento premium sono in graduatoria, il premium è passato dal 15,8% del mercato europeo al 20,8%. Sarebbe stato apparentemente impensabile, nel 1992, che Audi vendesse più di Fiat e Citroen. Perché è successo? Perché hanno esteso la loro gamma fino a sovvertire la vecchia idea del ristretto segmento premium. La Audi 10 anni fa proponeva 18 modelli, oggi sono 41, e vanno dalla supercar R8 ai SUVs alla A1 che è una familiare supercompatta.

La domanda giusta da porsi è se questa tendenza possa proseguire asintoticamente. E’ vero che se prendiamo i dati complessivi 2011, Audi nel decennio è migliorata del 28%, BMW del 30%, mentre Mercedes pur restando nella top ten aveva perso il 15%: dati da rapportare a un mercato europeo che nel frattempo al 2011 era ai minimi da ben 17 annie oggi peggiora ancora. Ed è innegabile che le autostrade europee siano oggi fitte di auto dei tre marchi tedeschi al posto delle vecchie Ford Mondeo. Ma il punto è se l’esplorazione di sempre nuove nicchie del mercato da parte delle case premium germaniche valga la candela, cioè resti capace di remunerare investimenti che da due anni a questa parte sono superiori ai margini che si realizzano nei segmenti in cui hanno esteso la propria presenza. Qualche segno si vede già. AUDI e BMW hanno capitalizzato bene nei SUVs, Mercedes ha toppato ed è costretta a inseguire con un SUV derivato dalla nuova compatta classe A.

In altre parole, se finora BMW e Audi hanno ben performato alla sfida della riduzione delle emissioni di CO2 lanciando vetture piccole e Mercedes assai meno, inizia a diventare evidente che in un mercato sottoposto a fortissime costrizioni di volumi la strategia alla lunga può essere sostenibile solo per chi, come Volskwagen, ottimizzando 11 brands diversi a livello planetario è in grado di porre in essere una strategia comunque capace di offrire all’occasione non solo contenimento ma anche taglio dei costi di vendita sui diversi mercati nazionali.

Per i produttori più esposti alla crisi, cioè con più sovraccapacità, meno forza planetaria e debolezza nel segmento premium, come Citroen, Opel e Fiat, la sfida nel prossimo biennio di crisi di volumi resterà impari se non proveranno ad alzare la sfida vero l’alto. Citroen ci sta provando malgrado i suoi enormi problemi in Francia e il duro negoziato col governo Hollande che si oppone alla ristrutturazione: il sottobrand DS nel segmento premium lanciato recentemente alza i prezzi del 12% rispetto ai vecchi modelli che sostituisce, ma alza i margini al produttore del 25%.

Copnclusione: la risposta in Europa ai brand premium, che si sono spostati nel mercato delle compact ad alti volumi e se ne sono portati a casa un terzo in più in dieci anni – dal 9,5% sono passati al 15,6% nel 2011, con le compact premium che sono passate da 382mila nel 2011 a 563mila nel 2011 – per i produttori di tradizionale fascia bassa ha una sola risposta possibile. O riescono a spostarsi a propria volta verso l’alto, oppure aspettare che si esaurisca il ciclo tedesco di espansione verso il basso – come mostra il caso Mercedes – è una gara di pura sopravvivenza, dove vince chi i profitti veri li fa fuori dall’Europa. Ed ecco la vera spiegazione della strategia Fiat di Marchionne, che tanto fa arrabbiare l’Italia, ma che come si vede ha numeri oggettivi dalla sua, povera da molti anni alle spalle di investimenti che altri invece non hanno mancato di fare.

18 Responses

  1. Mike

    Questo è il risultato della scelta, fatta a suo tempo, di avere un unico produttore di auto in Italia. La frittata ormai è fatta. Quanto a Marchionne, fa solo (e bene, dal punto di vista di Fiat) il mestiere per cui è pagato. Facciamocene una ragione.

  2. Giorgio

    Ottima analisi su dati che onestamente non conosco. L’unico cosa che non viene dibattuta a mio avviso e’ se il segmento premium si sia avvantaggiato (come penso io) da una moneta unica o no. Insomma data la correzione verso il basso imposta dalla Germania a tutti gli altri, non e’ che poi si esauriscono anche i clienti? Io penso che stia gia accadendo: le macchine saranno anche premium ma se non me le posso permettere cominceranno a rimanere dal concessionario.

  3. laterzio

    Mi sembra che l’analisi numericodotata di Giannino sia postuma della miglior esemplificazione di Crozza…quando fa rispondere a Marchionne…”e voi che fate?” Un cazzo….

  4. laterzio

    A giannì, quannu vai a futtiri al mercato a tabbeddù d’excellù lasciala intru a fenestra.

  5. IVANA

    L’analisi di Giannino è come sempre argomentatissima, per me anche non semplice (forse ha ragione quel signore che il 14 ottobre scriveva che mancano un po’ le quote rosa su questo blog… spero non perchè il nostro progresso culturale sia fermo agli anni 50, forse solo perchè c’è anche da stirare, preparare cena ecc.); ripeto non semplice penso per molti che non studiano attentamente le situazioni come Giannino, per questo lui è ammirevole. Quanto a FIAT in famiglia negli anni abbiamo sempre dato una mano: solo auto della casa torinese, magari Lancia, ci piacerebbe ora che è da cambiare un’ Alfa Romeo. Non so se per un ormai ridicolo senso di amor patrio oppure ci siamo comunque trovati bene…..Però FIAT che si sta acquistando un po’ per volta Chrysler, e pagandola abbastanza poco mi pare, una mano all’Italia non la vuole dare. I profitti che fanno negli Stati Uniti dove hanno anche assunto 5000 persone non aiutano per nulla a fare investimenti in nuovi modelli?? Oppure,come temo, ormai è comunque troppo tardi?

  6. Francesco_P

    Supponiamo che FIAT voglia espandersi. Può farlo in Europa? Può farlo mantenendo testa e stabilimenti in Italia? Credo che le risposte siano scontate.

    FIAT, se vuole continuare ad esistere, deve pensare a continenti diversi dall’Europa. Quella europea è una battaglia persa: persa perché le migliori posizioni sono già occupate dall’industria tedesca, persa perché non ci sono più incentivi pubblici per difendere l’industria autarchica, persa perché il mercato europeo non crescerà più agli stessi ritmi di prima anche ipotizzando una ripresa (ma al massimo ci sarà una “ripresina” dal 2014/15 e non per tutti).

    La FIAT negli anni passati ha ricevuto molto dai contribuenti italiani; la FIAT ha dato molto ai governi passati, compreso il sostegno a iniziative demagogiche come lo stabilimento di Termini Imerese e l’Alfasud di Pomigliano, tipico rottame IRI acquistato a poco prezzo, ma costato negli anni un “occhio della testa” a FIAT. All’epoca si sapeva che erano follie economiche, ma si sospettava che fossero una precondizione per aiuti di Stato erogati in varie forme.

    Prepariamoci ad una riduzione della presenza della FIAT in Italia. La cosa non dovrebbe meravigliarci perché chi è tanto pazzo da investire in un Paese con il 55% di pressione fiscale reale, una burocrazia da museo degli orrori, ingerenze politiche e una giustizia che tende a penalizzare chi fa impresa?

  7. adriano q

    Nell’ultimo anno delle superiori l’ufficiale della Nato entrò un giorno nell’aula.Nasceva il marketing,era tempo di leva e per contratto cercava aspiranti ufficiali.Dopo aver magnificato le future sorti e progressive della marina si dispose a chiarimenti e domande.Fra banalità giovanili qualcuno azzardò:”Perchè l’Italia non ha portaerei?”.Attimo di incertezza.Accenni di panico ma la classe non è acqua,soprattutto se si parla di mare.”Non e previsto dai i compiti assegnati al nostro paese nell’alleanza.”Siamo ancora senza,non voliamo più , la nostra marina è prigioniera in Africa ed in India. Nel nostro futuro radioso dell’Europa tedesca il nostro posto è il ritorno alla terra.Cominciamo a fare quindi ragionamenti conseguenti e rinunciamo agli svolazzi pindarici.

  8. Giorgio Andretta

    @Giorgio
    omonimo, il direttore si è cimentato in un copia/incolla maldestro, se lei vuole essere informato più puntigliosamente è sufficiente che digiti il sito dell’UNRAE.
    Tanto le dovevo.

  9. Gabriele

    A tutti i lettori del blog, vorrei sapere cosa ne pensa Oscar Giannino delle tesi del prof Bagnai o comunque dell’uscita e abbandono dell’unione monetaria.

    Saluti

  10. Alessandro F.

    Ottima analisi di Giannino.
    La quale mi porta ad una sola conclusione :

    I marchi FIAT e Lancia sono spacciati.
    Ormai il divario con i concorrenti è diventato troppo grande ed ogni giorno aumenta sempre più. Nel passato sono stati saltati troppi cicli di innovazione, sono stati elusi troppi investimenti. Questo è accaduto soprattutto nel periodo in cui a capo dell’azienda automobilistica torinese c’era ancora quel signore dal piglio aristocratico con l’orologio indossato sopra il polsino della camicia. Il signore dal piglio aristocratico ad un certo punto si rese conto che l’industria dell’auto stava diventando troppo competitiva e decise di battere in ritirata investendo i suoi danari in rendite sicure (banche, assicurazioni, edilizia) disinvestendoli dal settore auto. Tentò poi il colpo di prestigio finale cercando di rifilare la ormai decotta FIAT agli americani della GM, i quali alla fine pagarono la penale pur di liberarsene.

    Per quanto riguarda il marchio Alfa Romeo ci sono ancora delle speranze, ma Marchionne deve sbrigarsi a venderlo a qualche acquirente capace di garantire investimenti per riportarlo in auge (vedere l’esempio della Ducati ceduta ai tedeschi della Audi-VW)

  11. fra

    Aggiungo che fino a quando ci sarà un sistema finanziario così sbilanciato, vedere investimenti da parte fiat nell’industria saranno sempre più difficili.

  12. Francesco_P

    @Alessandro F.

    E’ mia opinione che i marchi Alfa Romeo e Lancia siano ampiamente spendibili nelle Americhe, in Asia ed in Australia, ma assolutamente NON in Europa. Ovviamente servono modelli pensati per quei mercati e tanto buon marketing per promuovere l’auto compatta, accogliente, lussuosa “voglio-ma-non-posso” e l’auto sportiva-familiare. Niente da fare per L’Europa, dove di marchi ce ne sono già troppi ed il mercato è in conservatore ed in contrazione.

    Soprattutto non si può produrre per quei mercati a prezzi italiani, con un drag fiscale/burocratico del 20-30% su oltre l’80% dei costi rispetto agli USA dove gli specialisti e gli operai stanno molto meglio che da noi principalmente per la minore pressione fiscale (se poi si va in Brasile, Serbia, ecc., anche il costo lordo orario è inferiore).

    Ripeto, in queste condizioni è pazzo l’imprenditore che investe in Italia!

    Infatti le acquisizioni su Ducati, quelle sul fashion, ecc., sono operazioni di acquisto di marchi da portare un po’ alla volta nei propri Paesi fatte in un momento di ribasso dei prezzi, non seri e duraturi investimenti sul sistema Italia.

  13. Alessandro F.

    Francesco_P :
    @Alessandro F.
    E’ mia opinione che i marchi Alfa Romeo e Lancia siano ampiamente spendibili nelle Americhe, in Asia ed in Australia, ma assolutamente NON in Europa. Ovviamente servono modelli pensati per quei mercati e tanto buon marketing per promuovere l’auto compatta, accogliente, lussuosa “voglio-ma-non-posso” e l’auto sportiva-familiare. Niente da fare per L’Europa, dove di marchi ce ne sono già troppi ed il mercato è in conservatore ed in contrazione.
    Soprattutto non si può produrre per quei mercati a prezzi italiani, con un drag fiscale/burocratico del 20-30% su oltre l’80% dei costi rispetto agli USA dove gli specialisti e gli operai stanno molto meglio che da noi principalmente per la minore pressione fiscale (se poi si va in Brasile, Serbia, ecc., anche il costo lordo orario è inferiore).
    Ripeto, in queste condizioni è pazzo l’imprenditore che investe in Italia!
    Infatti le acquisizioni su Ducati, quelle sul fashion, ecc., sono operazioni di acquisto di marchi da portare un po’ alla volta nei propri Paesi fatte in un momento di ribasso dei prezzi, non seri e duraturi investimenti sul sistema Italia.

    Premetto di non essere un esperto del mercato dell’auto pertanto la mia è la semplice opinione dell’uomo della strada.

    A mio giudizio i marchi FIAT e Lancia oramai stanno implodendo.
    Mercati come quelli da lei citati (Americhe, Australia ed Asia) vedono nell’auto italiana soprattutto marchi sportivi e di prestigio come Ferrari, Maserati, Lamborghini e forse Alfa Romeo. Trovo dura, ma veramente dura, che FIAT e Lancia possano avere un riscontro di massa in quei paesi per quanto riguarda il mercato di fascia medio-bassa.
    Se lei prova a chiedere ad un americano, a un cinese o un australiano di citarle il nome di una marca italiana di auto di sicuro 9 su 10 le risponderanno Ferrari, Lamborghini o Maserati mentre 1 su 10 (forse) le risponderà FIAT o Lancia.

    Mi risulta che il brand FIAT abbia un buon successo solo in Brasile (dove peraltro la sua leadership è insidiata di brutto dalla Audi-WV) mentre in Cina le auto FIAT non sanno nemmeno cosa siano.

    Certo…niente è impossibile e Marchionne potrebbe decidere di lanciare un piano di rilancio a livello globale dei marchi FIAT-Lancia sfornando modelli a ripetizione e facendo campagne pubblicitarie massicce….ma per realizzare tutto questo lei ha idea di quanti soldi occorrono ??

    Torno a ripetere quanto detto prima, ovvero io temo che oramai i marchi FIAT e Lancia siano in via di estinzione.

  14. gianni perona

    Purtroppo dico cose difficili da accettare: SONO BEN CONTENTO CHE SI PRODUCANO MENO AUTO!

    dopo anni di mercato drogato, dopo anni di incentivi, dopo decenni di inquinamento, è logico aspettarsi una riduzione del mercato auto! PER FORTUNA.
    Nessu mercato puo’ crescere sempre.

    Il problema è che BISOGNA TROVARE QUALCHE ALTRA COSA DA FARE !!
    possibilmente che non inquini, che sia utile a tutti, che produca BENESSERE !! BEN-ESSERE! stare bene per le future generazioni.

  15. giuseppe 1

    @Alessandro F.
    E’ pazzo il piccolo imprenditore che investe in Italia!
    La grande industria ha sempre la strada spianata. Fiat docet.
    Ora, per l’auto in Italia il problema è semplice.
    Fiat si ritira? Avanti un altro alla svelta, se c’è.
    Ma non è certo DR (obiettivamente funzionale a Fiat per Termini Imerese)

  16. marco

    Leggo tanti commenti abbastanza interessanti e veritieri,vorrei poter aggiungere che:
    1)Si parla sempre di stabilimenti fiat auto(dove si assemblano auto) e nessuno,dico nessuno cita i vari stabilimenti Fiat powertrain sparsi in Italia ed in Europa dove di producono e si assemblano i motori auto(che hanno permesso a Marchionne di “conquistare” Crysler) e dove la R&S è sempre esistita(iniezione diretta) e continua tuttora(multiair),ed i motori per Fiat industrial che FPT spedisce negli stabilimenti di tutto il mondo(CNH e Iveco).ergo un plauso alle capacità ingenieristiche che abbiamo da sempre noi italiani anche a dispetto della concorrenza.
    2)Vero che ilmercato si è livellato verso “l’alto”.Logico pensare che in un mercato di sostituzione come quello europeo si cerchi la qualità.Mi si pongono più quesiti.
    a)Riusciranni i cittadini Europei(data la sempre peggior situazione economica) a riuscire a comprare marchi “premium”?
    b)Se compro “premium” indicativamente terrò questo prodotto più a lungo rispetto ad un analogo di minor pregio(esperienza personale).
    3)Infine,il caso Chevrolet di quest’anno.Presente in Europa con una vetturetta di fascia molto bassa(matiz) è riuscita con un discreto SUV a incrementare notevolmente leproprie vendite,a dimostrazione che,se il prodotto ha un buon rapporto prezzo/qualità/estetica non vi è fidelizzazione che tenga.
    Cordiali saluti a tutti.

  17. Rodolfo

    Egregio Oscar, facciamo alcune considerazioni.I’ll gruppo PSA francese ha ottenuto un AIUTO di STATO dal governo francese per la sua filiale finanziaria.GM (gouvernment motor)e’ stata salvata dal governo statunitense.Lancia non esiste piu’,la nuova Chrysler 100(la nuova Delta)e’ sviluppata a Detroit, marchio Dodge oramai condivide piattaforme con l’Alfa Romeo.Parliamo di un gruppo che e’ fallito, la svedese Volvo, la societa’ scandinava fabbricava le migliori auto del mondo negli anni 80 ma, I svedesi sono solo 10 milioni e I tedeschi erano piu’ numerosi,le marche tedesche avevano un mercato molto superiore(in Germania 8 auto su 10 sono marche tedesche),alla fine la Volvo e’ stata venduta ad una societa’ cinese, non credo che la sua qualita’ era molto scadente .
    Ricordiamoci sempre che la Volkswagen ha fatto un investimento in SEAT che si e’ rivelato un fallimento per non parlare dell’acquisto della Chrysler da parte del gruppo Mercedes-Benz.
    Distinti saluti

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