30
Lug
2013

A 6 anni da inizio crisi, un po’ di cifre: più di 2000 banche salvate tra Usa e Ue, il disastro italiano

Sono passati sei anni, dall’inizio della più dura crisi dagli anni Trenta del secolo scorso. Tra fine luglio e inizio agosto del 2007, infatti, le grandi banche americane ed europee cominciarono ad entrare in fibrillazione manifesta, senza più riuscire a nasconderlo. Ad aprile era esplosa la prima crisi di un gigante immobiliare USA, la New Century Financial Corporation, che aveva rivelato a tutti le prime esplosive avvisaglie dei mutui subprime. Dopo una lunga fase di crescita in media del 15% l’anno dei prezzi immobiliari americani, che aveva reso sostenibili i subprime insieme ai troppo bassi tassi d’interesse praticati dalla FED dopo la crisi Internet del 20oo e l’11 settembre 2001, l’esplosione della bolla immobiliare americana si accingeva a mettere alla frusta l’intero settore di punta mondiale dell’intermediazione finanziaria. Aveva agito in base a una leva finanziaria – il rapporto tra attivi e capitale proprio – troppo alta, superiore a 30 e con punte fino a 50 e oltre. E aveva creduto, grazie a regolatori compiacenti, di annullare una regola elementare della finanza, quella per la quale per ogni prodotto finanziario non può annullare il rischio dell’emittente e il rischio del prenditore, annegandolo invece nella tripla A di un arrangiatore-intermediario finanziario che cartolarizza e nasconde col proprio marchio l’inadempienza potenzile dell’emittente accentuando il rischio di esplosione del prenditore.

La crisi che iniziava allora ha conosciuto sei diverse fasi. La prima, dall’estate 2007 al fallimento di Lehman Brothers il 15 settembre 2008, in cui banche e regolatori hanno tentato di minimizzare le crisi bancarie a catena che dagli Usa si estendevano all’Europa. La seconda, dall’ultimo trimestre 2008 al terzo trimestre 2009, in cui la crisi esplose travolgendo il meccanismo della crescita planetaria, il commercio mondiale, diventando recessione conclamata. La terza, fino a metà 2010, in cui i piani straordinari delle banche centrali, i salvataggi bancari e la nuova governance mondiale del G20 diedero l’illusione del fine crisi. La quarta, i cui primi segni sono a metà 2010 e che avvampa nell’estate 2011, in cui la crisi si tramuta in insostenibilità dei debiti sovrani, e si addensa in Europa. La quinta, nel 2012, con le due risposte straordinarie della BCE, la faticosa evoluzione degli strumenti cooperativi europei, i programmi straordinari d’intervento a favore dei paesi eurodeboli, Irlanda, Grecia, Portogallo e Italia. La sesta è quella che viviamo ancor oggi, con le attuali previsioni di un cambio di segno della crisi che ci colpisce, e la speranza che la caduta di prodotto e reddito possa venire tra fine 2013 e metà 2014. Ma anche con una certa preoccupante decelerazione della crescita degli ex BRICS, dalla Cina al Brasile alla Turchia. Cerchiamo di capire con un po’ di numeri, chi sta a che punto dopo 6 anni di crisi.

Le Borse. Se per gli Usa prendiamo l’indice Dow Jones US 30 delle maggiori quotate, superando quota 16mila poche settimane fa è salito di oltre il 20% sui 13.200 punti di metà 2007. In Giappone, il Nikkei225 era venerdì a quota 14.129, a fine luglio 2007 a quota 18mila. L’Hang Sen 40 cinese, per via della frenata in corso a Pechino, venerdì stava a quota 21.968, a fine luglio 2007 a quota 23.100. Se per l’Europa guardiamo al DAX tedesco,rispetto ai 2770 punti di fine luglio 2007 venerdì scorso stava sotto sia pur di poco, era a quota 2741. Ma Il FTSE MIB italiano venerdì era a quota 16.421, mentre a fine luglio 2007 stava a 39.500, il che la dice lunga sulla gravità del colpo che l’eurocrisi ha portato al nostro mercato finanziario.

Le banche. Se guardiamo agli interventi diretti dei governi e banche centrali a favore di banche e intermediari a qualunque titolo in difficoltà, con salvataggi e nazionalizzazioni destinate poi a tornare indietro valori ai governi in caso di buone vendite e restituzioni di prestiti, e se a questo aggiungiamo anche le garanzie (che rappresentano il più), gli Stati Uniti tra Tesoro e Fed hanno mobilitato fino a metà 2012 – sono i dati più aggiornati del rapporto semestrale sui piani di stabilizzazione, curato certosinamente da R&S di Mediobanca – 2,8 trilioni di dollari, dei quali 562 miliardi in interventi di capitale, 1869 in garanzie, 421 in “altro” cioè prestiti, per un totale di 1678 istituti interessati. A metà anno scorso 1,6 trilioni di dollari erano stati restituiti alle autorità pubbliche USA , dunque l’aiuto netto in corso restava di 1,2 trilioni, e le autorità pubbliche avevano incassato nel frattempo anche 89 miliardi di dollari tra dividendi e proventi vari

Nell’Unione Europea, gli interventi a sostegno di banche e intermediari erano ammontati a 2,7 trilioni di euro (di cui 389 miliardi in capitale, 2,1 trilioni in garanzie, 142 miliardi i prestiti) a 437 istituti. A metà 2012 le risorse restituite o “terminate” ammontavano a 1,5 trilioni di euro, e gli aiuti netti ancora operanti erano dunque pari a più di 1,1 trilioni Se poi guardiamo più ampiamente all’estensione degli attivi delle banche centrali americana ed europea, dovuti ai diversi programmi speciali a sostegno dei mercati e delle banche – come le operazioni straordinarie di liquidità tipo le LTRO della BCE varate a inizio 2012 che “incamerano” alla BCE collaterali a bassa qualità e illiquidi, mentre in Usa la banca centrale compra bond pubblici e prodotti finanziari non solo pubblici – allora dopo “lo scudo” Draghi la BCE dal 2012 batte la FED come estensione dei suoi attivi, superando i 4 trilioni di dollari, cioè ben oltre l’equivalente del Pil tedesco.

L’Italia. Veniamo al nostro conto perdite nazionale. Nella crisi abbiamo perso circa un milione di unità di lavoro “piene”, cioè un milione e mezzo di disoccupati nuovi si sono aggiunti ai preesistenti, con 22,4 milioni di italiani al lavoro rispetto ai 23,5 del 2007. Nel potenziale manifatturiero siamo tornati al livello del 1990, perdendo il 19% rispetto al 2007. Sul 2007, abbiamo perso a oggi circa 28 punti percentuali di produzione industriale. Il reddito reale delle famiglie, al netto dell’inflazione, è tornato sui livelli del 1993-94. La propensione al risparmio è scesa dal 12% del reddito disponibile del 2007 sino a sotto l’8%, e oggi risale verso il 9% perché gli italiani preferiscono risparmiare piuttosto che consumare, con un reddito tanto compresso. Con un commercio mondiale che nel 2013 sale solo del 2,3 o 2,4% rispetto al più 5,7% del 2011, è verissimo che l’export italiano si avvia a superare quota 500 miliardi di valore, ma da solo l’export non ce la fa a sollevare l’Italia verso una crescita, nel migliore dei casi, di qualche decimale di punto nel prossimo 2014. Restiamo sorvegliati speciali per il nostro debito pubblico che ha sforato di brutto il 130% del Pil, e in termini di CLUP (costo del lavoro per unità di prodotto) cioè di competitività, se prendiamo il dato 2000 come 100 per Italia e Germania, Berlino sta nel 2013 solo a quota 107 noi invee siamo saliti impetuosamente a quota 137.

 Il Sud. Se l’Italia insieme alla Grecia è il Paese dell’euroarea che ha perso di più, per come sono strutturate le manovre di finanza pubblica tutte sul versante fiscale, per la stretta del credito e per la sua bassa produttività, il Sud è quello che se l’è vista ancor peggio. Le cifre le ha appena attualizzate lo Svimez. Nel solo 2013 il Sud perde il 40% del Pil più del Nord. Se al Nord il calo dei consumi è a meno 2,8%, al Sud è del 4,2%. Gli investimenti calano dell’11,3% rispetto al meno 5,4% del Nord. Gli occupati saranno quest’anno -2% al Sud, meno 1,2% al Nord. Il 62% dei posti di lavoro persi in Italia dal 2007 sono al Sud.

Come si vede, per Italia e Mezzogiorno il bilancio della crisi è ancora assolutamente disastroso. E attenti che ai tassi di crescita previsti, molto moderati rispetto ai nostri partner, bisognerà aspettare il 2022-2024 per rispristinare reddito delle famiglie e Pil del 2007. A meno di cambiare marcia, come una classe dirigente seria dovrebbe fare senza perder tempo. Invece, tutti a pensare alla sentenza di Cassazione sull’ennesimo processo a Berlusconi.

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8 Responses

  1. Giovanni Bravin

    Banchi Italiane in SERIA difficoltà: Banca delle Marche, per citarne una ma non l’unica. Tutti i media tacciono queste notizie, e preferiscono occupare il loro tempo e spazio su un bebé londinese, che FORSE sarà re del UK tra 25/30. Forse, è perché pur augurandogli un ottima salute, può sempre abdicare! Tanti altri argomenti che riguardano espressamente l’Italia, vengono ignorati dai media nostrani e pertanto considero più affidabili i media stranieri quando trattano argomenti italiani.

  2. Marco O

    ho grosse perplessità interpretative su un’avanzata migliore del 30 % in fatto di produttività tra noi e la Germania.
    Nel settore elettrotecnico ed elettronico la competitività tedesca ci ammazzava fin dal 2004 ed oggi è indiscutibile: abbiamo prezzi comparabili solo con una qualità ben più modesta .
    Salvo nicchie molto limitate non c’è partita, come testimoniano molto bene elettrodomestici ed autoveicoli, carpenterie metalliche medio grandi, su alcuni di questi settori poi possiamo metterci il carico di Cekia e Polonia e Turchia e talora pure della Cina per fare BINGO loro si di qualità comparabile colla nostra

  3. Marco O

    Meglio chiarire, non dubito del dato secondo cui i nostri lavoratori sono accreditati di una produttività a 136 contro il 106 tedesco
    Secondo me questo è matematicamente accettabile solo se si ipotizza un inabissamento della nostra economia di un 30% (cioè un 30% di sommersione nei 12 anni) e solo grazie a miglioramenti significativi nel nostro settore alimentare e in quello della “fashion”, malignamente grazie alle acquisizioni straniere (chiedo scusa a Ferragamo e pochi altri, consultare Bulgari per opinioni “off records”)

  4. Massimo74

    @Marco O.
    Uno dei problemi dell’italia dipende anche dal fatto che dal 2000 ad oggi i salari reali(cioè al netto dell’inflazione) sono cresciuti più della produttività,mentre in germania è successo esattamente il contrario(grazie alle varie riforme hartz del mercato del lavoro).Teniamo conto poi che i tedeschi dal 2003 hanno ridotti la spesa pubblica passando dal 48,5 al 45% del PIL,mentre noi l’abbiamo aumentata di 2,5 punti passando dal 48 al 50,5%.Ecco perchè la Germania è mediamente più competitiva dell’italia(ma anche di tutti gli altri paesi della zona euro).Alla fine si torna sempre al solito discorso:senza riforme strutturali e altamente impopolari(che vadano cioè ad intaccare i privilegi delle lobby che grazie alla spesa pubblica godono di una rendita di posizione ai danni di chi lavora e produce ricchezza) scordiamoci di poter tornare a crescere.

  5. Dino Caliman

    Massimo oltre alle riforme da Voi ipotizzate rientra anche una tipo questa? https://secure.avaaz.org/it/petition/Eliminare_gli_abusi_di_potere_nelle_PMI/ Oltre che facilitare le esportazioni in un mercato estero che si va restringendo,grazie ai risparmi delle PMI 18M di lavoratori, e dell’organizzazione statale razionalizzata e resa efficiente. Basta un colpo di reni ed una volontà politica e questi 18M ci fanno uscire dai nostri problemi. I sindacati data la situazione non avrebbero nulla da ridire se il personale esuberante nello stato sia utilizzato,cambiando mansione, per servizi utili alla collettività.

  6. matteo barto

    mi viene da piangere, vengo adesso dal fatto quotidiano, dove un’articolo senza un numero della napoleoni è stato letto da centinaia di persone,
    questo articolo assolutamente completo invece…ignorato dai più
    grazie oscar

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