29
Lug
2009

TBTF: Fitch fa i conti ai nuovi mostri

Mentre noi qui chiacchieriamo coi nostri post intorno alle generalità della questione TBTF – gli intermediari finanziari che non possono essere lasciati fallire e che vanno salvati coi denari dei contribuenti, nonché come impedire che si arrivi a tale situazione – Fitch ha rilasciato ai suoi clienti uno spettacolare report in cui fa i conti in tasca all’intero mercato americano dei derivati, a data giugno 2009. È un’ottima base di partenza, per capire le dimensioni intatte del problema, a due anni esatti dall’inizio della crisi finanziaria. Il 99,7% dell’intero ammontare di attività e passività “derivatizzate” è interamente concentrato tra gli intermediari finanziari, ma solo cinque di loro ne totalizzano l’80%. Se ci chiediamo chi siano davvero i TBTF, a prescindere dalle grandi banche di deposito, è di loro che stiamo parlando. Le Big Five sembravano sparite, nella settimana dopo il 15 settembre 2008 che iniziò con il fallimento di Lehman Brothers, e che vide l’estinzione delle banche d’investimento, mangiate da banche di deposito o trasformate esse stesse in banche commerciali. Invece ci sono ancora. Eccome se ci sono! Cinque aziende, nei cui libri il valore nozionale dei derivati pesa per la bellezza di 280 mila miliardi di dollari! E’ una stima che fa apparire datata e troppo contenuta quella che a dicembre 2008 era stata fatta dalla BRI di Basilea, secondo la quale l’intero mercato dei derivato Over the Counter era intorno ai circa 600 mila miliardi di dollari, con un valore di mercato lordo (somma di assets e liabilities “derivatizzata” a valori di libro) intorno ai 34mila miliardi di dollari. Vale la pena di leggere in dettaglio.

Partiamo da questa tabella, che offre una stima del peso dei derivati per tipologia di settore nel quale operano le aziende che se ne servono. Come si vede, i derivati energetici, sulle commodities e sui tassi di cambio per le materie prime e i semilavorati industriali sono robetta: oltre 295mila miliardi su 296mila miliardi di dollari in valore nozionale sono tutti concentrati tra gli intermediari finanziari. Il che significa che nel comparto energetico il più dei derivati serve davvero – almeno attualmente – a scudarsi dall’andamento erratico di prezzo delle commodities, rispetto a chi sosteneva che il ruolo della pura speculazione è ancor oggi assai maggiore della pura tecnica di copertura. Ripeto il caveat “almeno attualmente”, perché in realtà le aziende energetiche ammettono che nell’83% dei casi in passato hanno usato i derivati non per l’hedging dei prezzi ma a puri fini speculativi. Qui, forse e almeno al momento, la lezione dell’estate 2008 e del barile a quasi 150$ sembra introiettata dagli operatori.

Dopodiché passiamo a quest’altra tabella , che ci consente di apprezzare dove davvero si concentra il problema finanziario. Come potete vedere, sul totale dei 295mila miliardi di dollari di nozionale in derivati concentrato nel settore finanziario, JP Morgan ne ha per 81,7 mila miliardi,  Bank of America per 80mila, Morgan Stanley per 39,3 mila miliardi,  Citigroup per 31,5 mila, e, fuori dalla classifica, naturalmente Goldman Sachs: fuori classifica perché sinora si è clamorosamente rifiutata di comunicare a regolatori e mercato il valore lordo dei propri derivati – a due anni dall’inizio della crisi! –  e ha svelato solo il numero contrattuale delle relative posizioni. Ma Fitch stima che il nozionale in derivati a carico di GS sia pari ad almeno 47,8 trilioni di dollari.

Infine, Fitch si produce  nel più difficile. In questa tabella, fa il conto dell’esposizione netta rispetto al lordo di mercato in derivati, per ciascun grande intermediario nei cui libri i derivati pesino più del 5% del totale degli asset.  La terrificante conclusione è che, per quattro delle Big Five resuscitate, il rischio è superiore ai 100 miliardi di dollari a testa: 137,3 per BofA; 131,2 per JP Morgan; 112,2 per Citigroup;  104,3 per Goldman Sachs; solo Morgan Stanley si ferma – per così dire – a quota 80 miliardi di dollari.

La conclusione di Fitch è devastante: in caso di nuovo cigno nero, l’esplosione di questo mezzo trilione di dollari di rischio puro e netto sui derivati farebbe apparire il fallimento di Lehman un mortaretto per bambini.

6 Responses

  1. bill

    Come diceva Sofia Loren in un datato spot: “Aiutateme!”. Sono un promotore finanziario, e mi viene voglia di consigliare ai miei clienti di investire in aziende che producono lattice. Col quale si confezionano degli ottimi materassi..

  2. oscar giannino

    ….e non solo, visto che col lattice si evitano anche contagi di malattie pericolose…. forse bisognerà indossarlo nelle conference call di alcuni primari istituti, continuando così

  3. Giorgiob75

    Purtroppo la consultazione, l’analisi e in particolare la comprensione di questi dati é roba per pochi…quei pochi che i giornali non considerano un incentivo per pubblicare determinate notizie.

    Molto piú facile pubblicare il proclama di Obama che dice che la crisi é alle spalle e che i prezzi delle case hanno ripreso a crescere…mentendo perché ignora volutamente il dato Seasonally Adjusted e guarda quello NOT Seasonally Adjusted che fa comodo ai suoi scopi.

    Taciamo pure il fatto che a distanza di 2 anni dalla scoppio ufficiale della crisi, non é stato preso nemmeno un provvedimento strutturale per evitarne il ripetersi. Oltre alle montagne di carta regalate alle banche, che non hanno ripagarto il favore né in termini di trasparenza, né eliminando certi odiosi bonus, non é stato fatto altro.

    Intanto oggi apprendiamo che i sussidi di disoccupazione hanno fatto +25 mila arrivando a 584 mila, sopra le attese che erano per 575 mila.
    Ma di questo il popolino non deve interessarsi.

  4. bill

    Ho sentito al volo stamane da un TG le dichiarazioni di Tremonti rilasciate ieri. Ho inteso abbia detto che la crescita economica di tanti paesi esteri si è basata soprattutto sulla leva finanziaria, e il relativo gonfiarsi dei mercati con quotazioni falsate da tutto ciò.
    C’è pure del vero.
    E’ quando invece parla dell’Italia che mi lascia perplesso: il nostro paese avrebbe una crescita (?) sana, basata sulla produzione, sull’economia reale insomma. Ammesso che si possa parlare di crescita, in realtà noi abbiamo uno stato che da sempre la affossa, perchè colpisce le imprese, in specie quelle produttive, ergendosi a socio occulto delle stesse con un’imposizione fiscale da manicomio criminale (mi hanno appena detto quanto devo pagare di Irpef, e mi è venuto un coccolone..non per la cifra in sè, ma per il semplice motivo che il reddito di sei mesi di attività serve per pagare le tasse sul reddito dei sei mesi precedenti. E’ ridicolo e assurdo, e nessuno dice niente..).
    Concludendo: là avranno una crescita in qualche maniera virtuale, ma qua abbiamo un declino reale che toglie, non certo da oggi, dalle tasche dei cittadini oltre la metà del proprio reddito per dilapidarlo allegramente nel nulla, se non per distribuire brioches ai camerieri delle consorterie partitiche ed economico-finanziarie, e delle varie corporazioni.
    Non sono sicuro su quale sia la situazione più invidiabile.

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