24
Lug
2010

Tax cuts

Questo breve articolo sulla crisi finanziaria di Deepak Lal sul Cato Journal mi ha fatto riflettere su una cosa. Che differenza c’è tra tagliare le tasse e aumentare la spesa?

Le stime del moltiplicatore del deficit pubblico vanno da 0$ (o meno, almeno nel lungo termine) a circa 3$ di GDP per 1$ di deficit in più. Probabilmente l’econometria non darà mai risposte credibili alla domanda, perché il moltiplicatore non esiste: in alcune situazioni economiche il deficit è irrilevante, in altre può essere o apparire (in abbinamento con altre politiche, magari monetarie) efficace, e tutto dipende dalla microstruttura economica (in larga parte ignota all’econometrista) e non dagli aggregati macroeconomici (tanto “facili” da osservare quanto irrilevanti per capire la situazione economica).

Sta di fatto che non ci si mette d’accordo nemmeno sul fatto se è meglio tagliare le tasse o aumentare la spesa: secondo il modello ISLM, è meglio aumentare la spesa, ma l’ISLM si basa sull’ipotesi che i prezzi (relativi e assoluti) non si muovono e la scarsità non esiste, cioè è un modello di un sistema non-economico.

Il paper afferma che il problema non è la domanda aggregata ma i problemi di solvibilità di un settore privato troppo indebitato. Di conseguenza, l’aumento della spesa è irrilevante, mentre i tagli alle tasse aumentano le disponibilità finanziarie dei privati, scaricandone, aggiungo io, il peso sulla collettività (esternalizzando, cioè, il costo del debito pubblico). In sostanza, chi ha 200,000$ di debito si trova ad avere un po’ di soldi in più in tasca, e ciò aumenta la possibilità di ripagarlo. Il governo federale si ritroverà magari 200,000$ di debito in più, ma questo debito ai margini non è detto che lo pagherà (in futuro) chi è più indebitato oggi.

Non so quanto l’argomento sia rilevante, ma mi sembra molto interessante. Io personalmente opterei per un avanzo fiscale: la recessione potrebbe  non finire presto, e il rischio di trovarsi con un debito giapponese non è nullo. Inoltre la social security è già oggi in passivo e probabilmente è strutturalmente insostenibile: bisognerà pensarci, prima o poi.

5 Responses

  1. michele penzani

    …Il problema è riuscire a capire con chi è indebitato il settore privato, il perchè e il costo intrinseco del perchè…Che in tale costo risieda la risposta a quanto, davvero, ogni unità componente la “microstruttura economica” debba mettere del “suo”?
    …Comunque sia, credo che l’argomento induca meditazioni antropologiche sul prossimo futuro…

  2. Niente di antropologico: è la politica economica che è folle, e il perché è un problema di public choice.

    Il mercato si è comportato proprio come un sistema fondato sul moral hazard in cui nessuno si sentiva pienamente responsabile (ai margini) delle attività rischiose. La cosa si poteva capire con pochissima teoria economica, roba da undergraduate, ma Greenspan e Bernanke evidentemente non hanno capito cosa significa far funzionare il mercato cercando di eliminare le perdite socializzandole

    Se si fossero resi conto di ciò che facevano, o se avessero avuto il coraggio morale di fermarsi, non sarebbe successo nulla.

    Io personalmente sono sufficientemente avverso al rischio da non partecipare al boom, ma per milioni di aziende, investitori e imprenditori evidentemente il fatto di poter contare sulla Fed, sulla FDIC e su F&F quando si hanno problemi ha imposto un eccesso di risk taking che si è accumulato perlomeno a partire da metà anni ’90, se non da metà anni ’80…

  3. dario

    @michele penzani
    Concordo molto gioco hanno le aspettative future.
    Anche in Italia dove la propensione marginale al risparmio è ancora superiore, in base alle aspettative, il comportamento può essere indirizzato al consumo o all’ulteriore risparmio (intendo a livello macro) con impatti , qualitativi e quantitativi diversi sul sistema economico.
    Certo che da noi spreco pubblico e tasse eccessive costituiscono molto più di una manovra economica.
    Per questo, propenderei decisamente per una forte e stimolante riduzione fiscale con conteporanea riduzione della spesa pubblica, nel senso indicato (basta sprechi).
    La strada, per quanto ci riguarda, mi sembra obbligatoria.

  4. Boh
    Credo che la differenza principale sia che lo Stato può direzionare meglio la spesa pubblica che un taglio fiscale; con la prima puoi sostenere un settore preciso, con il secondo più o meno distribuisci il vantaggio.
    Come impatto sul mercato del credito (da cui vengono i veri limiti all’indebitamento) le cose dovrebbero equivalersi: o emetto più titoli di Stato perché spendo di più o perché spendo come prima ma incasso meno, sempre quella quantità di titoli devo piazzare (salvo considerazione dell’impatto di una certa spesa sulla crescita, se mai ha senso parlarne).
    Chiaramente lo stesso discorso vale se invece di “spendere” si vuol ridurre il deficit.

    (contributi in un settore, e più tasse per tutti = privatizza l’aiuto e socializza il costo)

  5. michele penzani

    @Pietro: Sì, è vero, se Greenspan si fosse fermato prima, la situazione attuale sarebbe diversa…Possiamo solo prendere atto delle sue scuse.
    Certamente è facile immaginarsi che ci si troverebbe -oggi- in una realtà di più facile comprensione analitica…Ma se sorge il dubbio della differenza tra taglio-tasse e aumento della spesa, in un sistema non-economico in cui il prezzo dei beni rimane immobile, credo sia attribuibile proprio alla politica del pres. della Fed che si è preoccupato di controllare l’inflazione…Magari al quesito, visto l’articolarsi della realtà produttivo-economica del suo Paese, già pensava che il DP USA l’avrebbero pagato anziani risparmiatori cinesi…

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