21
Ott
2009

Sciopero alle poste, una saggia provocazione

La mitica Royal Mail, le Poste britanniche che sono tra le più antiche in Europa, è alle prese con un passaggio mortale. O l’azienda ristruttura profondamente, oppure è destinata all’autodistruzione. La Communication Workers Union ha risposto con lo sciopero generale, di una settimana per cominciare ma con l’idea di protrarlo a oltranza. Fino alla vittoria, come si diceva in altri tempi. L’azienda ha replicato che sta considerando l’idea di assumere subito fino a 30 mila dipendenti interinali, invece di attendere i soliti 15 mila che venivano presi per rafforzare le consegne sotto Natale, per evitare il blocco del servizio provocato dallo sciopero, che produrrebbe la perdita di moltissimi altri clienti, oltre a quelli che sempre più si affidano a imprese private. A dichiarasi “furibondo” con il sindacato è in primis il Business Minister Lord Mandelson. Ricordo a tutti che a Londra è in carica un governo laburista non più guidato dall’odiato “mercatista” Tony Blair, bensì dal suo successore, l’assai più tradizionale  e “sociale” Gordon Brown, per altro a picco nei sondaggi malgrado la massiccia cura statalista per uscire – ? – dalla crisi. Domanda: che cosa avverrebbe in Italia, se si rispondesse così a uno sciopero generale? Ma che cosa c’è di sbagliato e antisindacale, nel voler garantire comunque la continuità di un servizio pubblico – anche in UK esiste il “servizio universale” postale, svolto da Royal Mail – e insieme nel voler impedire che l’azienda vada a carte e quarant’otto? Un interessante studio svolto anni fa da giovani economisti della London School of Economics, ricorda oggi David Finkelstein sul Times, esaminò l’efficienza comparata della scelta che vide milioni di lavoratori britannici scioperare a oltranza, quando negli anni Ottanta avvenne il grande braccio di ferro delle Unions – perso – contro Margareth Thatcher. Il margine di miglioramento salariale di quegli scioperi fu pari allo 0,3% del montante retributivo, e diviso per il numero medio di giorni di paga persi dai lavoratori scioperando, indusse i ricercatori a giungere alla stupefacente conclusione che, prima di arrivare al break even cioè a pareggiare le perdite, i lavoratori avrebbero dovuto lavorare 30 anni senza scioperare. In altre parole: lo sciopero a oltranza è pressoché per definizione una scelta economicamente inefficiente. Risponde a bisogni identitari di chi lo proclama: ma, chi di aderisce, individualmente compie un sacrificio del quale è quasi sempre inconsapevole. A parte il danno inflitto poi agli utenti e all’azienda, naturalmente.

2 Responses

  1. andrea lucangeli

    Chiariamo subito una cosa, Gordon Brown non è Margareth Thatcher, non ne ha nemmeno lontanamente la statura politica.- Detto questo è vero, lo sciopero ad oltranza è una scelta (quasi sempre) suicida perchè drammatizza gli eventi e non porta a nulla di buono per i lavoratori.- Ma – se un governo è già “ballerino” di suo (come spesso capita) – lo sciopero ad oltranza ne mette in luce le fragilità critiche.- Gli utenti? Chissenefrega…

  2. Max

    “O l’azienda ristruttura profondamente, oppure è destinata all’autodistruzione” da questa decisione etrema allora mi chiedo :

    -non è che i dipendenti avevano già fatto rischieste di cambiamento…ignorate dai grandi capi?

    Nel gesto estremo il singolo prende delle decisioni figlie del momento, ma con il tempo diventano meditate.(parlo per esperienza diretta come ex operaio)
    il lavoratore è :
    -un normale utente(cliente finale)
    -imprenditore di se stesso(possiamo metterli nella stessa condizione dei contoterzisti)

    sciopero si sciopero no?adesso è tecnicamente dannoso…..ma a futura memoria( se il futuro è dotato di memoria) serve a politicanti ( destra sinistra centro..) e cittadini/lavoratori per non arrivare a queste situazioni.

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