4
Set
2010

Più stoccaggi per tutti. E per il mercato?

L’Autorità per l’energia ha inviato a Parlamento e governo una segnalazione che solleva alcuni punti molto critici sul decreto stoccaggi, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 29 agosto. Il decreto muove dal presupposto che occorre mobilitare investimenti in nuova capacità di stoccaggio, indispensabile a garantire al mercato del gas (e, indirettamente, all’elettrico) la flessibilità necessaria specialmente nei mesi di maggior domanda. Se, da questo punto di vista, gli strumenti adottati possono essere efficaci, essi rischiano di essere inefficienti a causa delle conseguenze, potenzialmente negative, che rischiano di generare su un altro terreno: quello della concorrenza e del mercato.

Attualmente, esiste in Italia una capacità di stoccaggio di circa 14,3 miliardi di metri cubi (di cui 5,1 adibiti a stoccaggio strategico), 0,4 in più dello scorso anno termico. La disponibilità di punta giornaliera in erogazione è pari a 153 milioni di metri cubi, ancora insufficienti – secondo l’Autorità – a mettere il paese in sicurezza. La larga maggioranza della capacità esistente (13,9 miliardi di metri cubi) appartiene a Stogit, oggi in pancia a Snam e dunque controllata dall’Eni, che è anche operatore dominante sul mercato, mentre Edison Stoccaggi ha 0,4 miliardi di metri cubi nelle sue disponibilità. Diversi progetti, che potrebbero effettivamente cambiare la faccia al mercato, seppure solo parzialmente, sono stati autorizzati o sono in via di autorizzazione (quello più importante per le dimensioni, e dunque il simbolo di questo sforzo, è Rivara), ma si dibattono tra i consueti problemi. Una precisazione: a differenza della rete, gli stoccaggi non sono – tecnicamente – una essential facility. Lo diventano nel momento in cui la situazione è quella che è: cioè l’ex monopolista rimane monopolista in tutti i segmenti determinanti, di cui questo è, ovviamente, uno.

E’ in questo contesto che si cala il decreto stoccaggi. Devo qui fare una confessione: inizialmente, avevo sopravvalutato gli effetti positivi della riforma (infatti il titolo di questo post è auto-polemico). Esso, infatti, come spiegava Federico Rendina a suo tempo,

Nell’attesa di annullare o riproporre in altra forma i tetti sulla vendita in scadenza, i nuovi limiti di “occupazione” degli stoccaggi, ora quasi totalmente controllati dall’Eni attraverso la Stogit, possono essere innalzati dal 40 al 60% in cambio di impegni dell’Eni sulla realizzazione di nuove infrastrutture, o sul potenziamento (ad esempio con sovrapressioni) di quelle esistenti. Ampliandole per almeno 4 miliardi di metri cubi rispetto ai 13 miliardi attuali. Questo con la partecipazione di nuovi investitori (anche le piccole imprese attraverso le loro associazioni o operatori qualificati, fino ad una quota complessiva del 30%, come prevede l’ultima versione del testo) che in cambio ne avranno l’uso effettivo quando saranno disponibili, ma con un anticipo praticamente immediato di “capacità virtuale” tra uno e due miliardi di metri cubi.

Le criticità evidenziate dall’Autorità riguardano essenzialmente due aspetti. Il primo ha a che fare con la flessibilità nella determinazione dei tetti antitrust. In sostanza, si legge nella segnalazione,

il Decreto prevede – all’articolo 3 comma 1) – che ciascun operatore sia vincolato a non superare soglie predefinite in termini di quote di mercato; ove tali soglie sono determinate come somma di due termini, il primo rappresentato dalle quote di immissione ed il secondo rappresentato dalla somma delle ulteriori partite che contribuiscono a determinare la quota di mercato all’ingrosso di un operatore. Ora, sebbene il Decreto non porti gli autoconsumi termoelettrici in riduzione nel calcolo della quota di immissioni, prevede però espressamente che detti autoconsumi siano portati a riduzione del secondo termine che – unitamente alla quota di immissione – contribuisce a determinare la quota di mercato di ciascun operatore. L’effetto netto di questa impostazione di calcolo disomogenea tra i due termini della somma, risulta essere che la disponibilità di gas corrispondente agli autoconsumi – nei fatti – non sarà conteggiata nella determinazione della quota di mercato complessiva ai fini del rispetto delle soglie antitrust per gli operatori, e in particolare l’incumbent.

Calcolare le quote di mercato al netto dell’autoconsumo, quando il maggior importatore di gas è anche un importante consumatore, conduce ovviamente a una distorsione del mercato; anche perché sembra presupporre che il gas autoconsumato sia “fantasma”, ossia che non abbia un costo opportunità; e che gli scopi per cui viene autoconsumato (in particolare la generazione elettrica) siano “isolati” dal mercato, non siano immersi in una competizione che deve essere “equa”. Sullo stesso tema, qui il commento di Federico Testa.

Va detto che anche la decisione di coinvolgere gli “utilizzatori finali” del gas nella realizzazione di stoccaggi ha un che di paraculesco: concilia l’apparente desiderio di salvaguardare la posizione dominante dell’Eni “comprando” il consenso dei consumatori con una forma di sussidio mascherato, e in questo modo sbarra la strada ai concorrenti (e, paradossalmente, trasforma sempre più gli stoccaggi in una sorta di monopolio “innaturale”, sottraendoli alla concorrenza e rendendo necessaria una regolazione intrusiva, pesante, complessa e conflittuale).

Infine, l’organismo presieduto da Alessandro Ortis “pizzica” il governo su un passaggio solo apparentemente formale. Dice il decreto che il ministero dello Sviluppo economico “anche avvalendosi dell’Autorità di regolazione, presta assistenza all’Autorità garante [della concorrenza] per le verifiche degli impegni assunti” (corsivo aggiunto). Secondo l’Autorità per l’energia,

La previsione secondo cui l’attività di assistenza del Dipartimento per l’energia del Ministero dello Sviluppo Economico a favore dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato avviene “anche avvalendosi dell’Autorità di regolazione”, peraltro non prevista dalla legge delega, appare decisamente confliggente con la natura e le funzioni di una Autorità di regolazione indipendente, che non può configurarsi come il braccio tecnico od operativo di alcun Ministero, né tanto meno di un suo Dipartimento, condizione che verrebbe invece a realizzarsi nei fatti.

L’autodifesa del regolatore non è una questione di stizza inadeguata, o un sintomo di eccessiva sensibilità (anche perché l’attuale collegio è in scadenza a dicembre). C’è, piuttosto, un velato messaggio “culturale”, che richiama indirettamente le lunghe polemiche che negli scorsi mesi hanno investito l’Autorità proprio in virtù della sua indipendenza e del tentativo, conscio o inconsapevole, di menomarla, vuoi col blitz (fallito) per commissariarla, vuoi col pasticcio sui finanziamenti, vuoi con la tassa impropria che il Tesoro ha imposto sugli operatori (e sul mercato) attraverso il prelievo dal suo bilancio. Il punto, molto semplice ma, apparentemente, troppo difficile per essere digerito nel nostro paese, è che la relativa “indipendenza” garantita dall’autonomia finanziaria, un processo di nomina forzosamente bipartisan, e le regole che sovrintendono al funzionamento dell’Autorità e al comportamento del collegio durante e dopo il mandato, fornisce al mercato un orizzonte di certezza che una politicizzazione più accentuata farebbe venir meno. Per queste ragioni, è bene non solo che l’Italia mantenga questa indipendenza nel rispetto delle norme comunitarie, ma è bene che lo faccia soprattutto alla luce di quello che è lo scenario politico che abbiamo sotto gli occhi.

Di qualunque cosa stiamo parlando nel settore energetico – nucleare, rinnovabili, elettricità, gas – le parole chiave sono: certezza e stabilità. Se questa certezza e questa stabilità vengono demolite – non importa se tutte assieme o un pezzettino alla volta – non possono che derivarne conseguenze negative per gli operatori del settore e, indirettamente, per i consumatori industriali e domestici. E ciò anche quando essi (alcuni di essi) vengono blanditi con forme più o meno mascherate di sussidi.

Il decreto stoccaggi è un tentativo parzialmente apprezzabile di intervenire su un segmento che richiede attenzione e cautela, ma in alcuni passaggi rischia di fare più male che bene – o di barattare un bene comunque importante (garantire nuovi investimenti) con un male di lungo termine (proteggere il monopolio esistente). Correggerlo sarebbe un gesto di responsabilità e maturità.

You may also like

Punto e capo n. 46
La riforma fiscale: dopo il cattivo esempio i buoni (?) consigli
Quest’estate andremo tutti al cinema?
Taglio del cuneo fiscale: utile, ma non risolutivo

1 Response

  1. gengis

    La critica è più che corretta. Non ha senso che se io vendo gas ad un centrale di terzi sia mercato, e se lo vendo alla mia centrale sia autoconsumo. Fu peraltro così dall’inizio; e si vocifera (…) che se così non fosse stato l’Eni non avrebbe mai cominciato l’avventura elettrica (grazie alla quale ha ridotto i volumi di gas che avrebbe dovuto subito liberare).
    Sull’apprezzabilità ho qualche dubbio. L’effetto economico netto è di consentire un accesso parziale e diretto (seppur inizialmente virtuale) degli energivori finali al gas estivo. Che è scelta in favore loro e del Grande Operatore (che già solo virtualizzando ha maggiori opportunità di offrirsi anche come fornitore); e a sfavore dei distributori intermedi e dell’idea stessa che si possa concepire uno stoccaggio merchant.

    Quanto sia bene (lo può essere…) e quanto sia male dovremmo forse discuterlo dentro questi paletti

Leave a Reply