9
Mar
2011

Patrimoniale: un escamotage ingiusto e dannoso – di Natale D’Amico

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Natale D’Amico.

Lo Stato italiano ha un enorme debito, sul quale l’orologio dell’IBL ci aggiorna in tempo reale, che assomma oggi a circa 1900 miliardi di euro, pari a quasi il 120 per cento del prodotto interno lordo. Questo debito è frutto delle dissolutezze del passato: non dipende unicamente dai comportamenti di chi ci ha governato negli anni recenti, ma risale molto indietro nella storia italiana.Purtroppo l’Italia non si è indebitata per investire – tant’è che il livello delle infrastrutture è penoso – ma per finanziare la spesa corrente.

È lo stesso servizio al debito ad alimentare la spesa corrente: un po’ perché il debito è grande, e quindi il flusso di interessi che devono essere corrisposti è commisurati; un po’ perché l’affidabilità del paese è quella che è, e quindi chi ci presta i soldi non è disposto a farlo se non a un tasso di interesse consistentemente maggiore di quello richiesto per prestare a debitori ritenuti più affidabili, come la Germania.

Questo alto debito, e questo elevato onere per interessi, è vissuto dalla politica come una camicia di forza: purtroppo, purtroppo per il ceto politico, non abbiamo potuto né possiamo, come altri hanno fatto approfittando della crisi, darci alle spese pubbliche pazze; se lo facessimo, i mercati ci travolgerebbero. Ecco allora la brillante idea: facciamo un colpaccio, abbattendo in un sol momento si dice di un terzo il debito. Così recupereremo finalmente lo spazio per fare “politiche espansive”, cioè per ricominciare a spendere allegramente.

Come fare? Lo Stato si indebita verso italiani e verso stranieri; con gli stranieri non possiamo far nulla; ci presteranno i soldi se riterranno conveniente il tasso di interesse che offriamo, altrimenti presteranno i loro quattrini ad altri; ma gli italiani sono sudditi (questa è l’espressione giusta, non cittadini) di questo Paese, soggetti alle nostre leggi; allora possiamo espropriarli di una parte della loro ricchezza per abbattere il debito pubblico. Chiamiamo il furto imposta patrimoniale, e i sudditi dovranno subire.
Quanto la cosa sia ingiusta, non sfugge a nessuno che solo voglia un po’ ragionare.

Anzitutto, un’imposta siffatta colpisce più duramente chi più ha risparmiato. Ad esempio chi, non disponendo di una sufficiente copertura pensionistica pubblica, ha pensato fosse necessario essere previdente; ovvero chi, vedendo le difficoltà nel trovare lavoro dei propri figli, ha pensato di costituire per loro una riserva. Soprattutto, il debito è risultato di una spesa pubblica da cui sicuramente alcuni italiani hanno tratto grandi vantaggi; attraverso l’imposta patrimoniale sono chiamati a pagare il conto cittadini che niente assicura siano i medesimi che hanno tratto vantaggio da quella spesa.

Si consideri che la famigerata imposta sui depositi bancari del 1992 aveva una aliquota del 6 per mille. L’imposta di cui oggi si parla sarebbe estesa all’intero patrimonio, non solo ai depositi bancari, ed avrebbe una aliquota ben maggiore. Se quello fu percepito come un furto, questo sarebbe un furto infinitamente maggiore.

Non solo la patrimoniale sarebbe ingiusta sotto il profilo redistributivo: sarebbe anche dannosa. La gran parte dei contribuenti non avrebbero la liquidità necessaria per pagare una imposta patrimoniale delle dimensioni ipotizzate (un terzo del debito in essere!!! 600 miliardi di euro!!!). Dovrebbero quindi liquidare parte del proprio patrimonio, ad esempio immobiliare. Ma chi comprerebbe gli immobili messi in vendita? Il prezzo crollerebbe. Ed ecco che si materializzerebbe anche in Italia quel crollo del mercato immobiliare, con connesse gravi crisi bancarie, e conseguenti interventi pubblici di salvataggio.

L’esperienza, infatti, insegna che, se i prezzi degli immobili scendono, le banche hanno problemi; e, se le banche hanno problemi, i governi vengono in aiuto. Se si vuol far precipitare l’economia italiana in una crisi che si auto avviti in una spirale senza fondo, si è trovato il modo. Come abbiamo imparato nel corso dell’ultima crisi, i governi sono bravissimi a generare le tempeste perfette.

Riassumendo, una patrimoniale straordinaria sarebbe un’imposta ingiusta oltre il limite del furto, e dannosa oltre il limite del drammatico. Ed allora perché se ne discute? Perché abbiamo ragione di temere che prima o poi un simile intervento suicida venga realizzato?

Il perché lo si è detto al principio: perché il ceto politico, insieme a quel gigantesco coacervo di interessi pasciuto dalla spesa pubblica, vuole che la patrimoniale si faccia; così potrà ripartire la giostra della spesa pubblica, e così chi potrà tornerà a pascersi. La patrimoniale è lo strumento per non tagliare la spesa pubblica, e per mantenere intatte, o addirittura ampliare, le rendite dei beneficiari della spesa stessa.

Chi non si pasce della spesa pubblica potrà sempre essere convinto con la solita retorica delle spese necessarie: necessarie per evitare i tagli alla scuola, i tagli alla cultura, e simili. Tutti dimenticando che mai nei 150 dell’Italia unita in periodi di pace la spesa pubblica è stata tanto alta quanto oggi, in valore assoluto e in rapporto al prodotto nazionale.

Dimenticando o non comprendendo che, quando si parla di tagli, non si intende affatto che la spesa è diminuita o diminuirà, ma solo che non è cresciuta o non crescerà come era previsto che facesse. I tagli riguardano spese future, e più spesso futuri aumenti della spesa: chi denuncia un “taglio”, spesso si lamenta solo perché il beneficio che si aspetta di trarre dalla spesa pubblica non è destinato a crescere! Dimenticando che nel complesso le spesa, e quindi le tasse che vengono prelevate dalle nostre tasche, continuano a salire.

Quanto alla pretesa della spesa pubblica per lo sviluppo, non potrò che ripetere le parole con le quali nel 1924 Luigi Einaudi rivolgeva un monito a “coloro i quali chieggono nuove spese, (…) smaniosi di espansioni economiche, di lavori pubblici, di indebitamente cosiddetti produttivi, dimentichi dell’insegnamento forse più eloquente del dopo-guerra in Italia e fuori d’Italia: essere vano sperare il rifiorimento dell’economia privata e della finanza pubblica dai grandi programmi di spese statali a sedicente incremento dell’economia nazionale; ed essere invece la rigida, dura politica del pareggio ad ogni costo la premessa perentoria della ricostruzione economica del paese”.

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7 Responses

  1. Anemone

    secondo me i politici italiani, ladri e corrotti, vogliono la patrimoniale. la sognano pure di notte. ma non hanno fatto i conti con l’aumento del prezzo del petrolio che provocherà una nuova recessione e il default della gracia e/o dell’irlanda. credo che alla fine i nostri politicanti da quattro soldi saranno costretti a rinunciare alla patrimoniale e a ristrutturare il debito.

  2. Armageddon

    Chi ha veramente beneficiato della spesa pubblica in genere tiene i suoi “risparmi” sotto chiave in qualche conto svizzero o monegasco. Al riparo da qualsiasi patrimoniale. E al riparo da qualsiasi tassazione delle rendite, dei capital gain o di quant’altro.
    Gli ex comunisti e i sindacalisti hanno sempre voluto pagare i conti dei loro banchetti con il bancomat del ceto medio.

  3. P. Tisbo

    Ottimo articolo, scritto in maniera estremamente chiara e comprensibile anche a chi, purtroppo, non ha la dimestichezza matematica ed economica dei frequentatori di questo blog. Merita un applauso.

  4. Mauro Ongaro

    Tutto assolutamente condivisibile ma manca però la costatazione che la riduzione del debito sarebbe poi solamente un trampolino per fare esplodere la spesa pubblica e ritornare presto alla situazione attuale.
    Aggiungo una provocazione, patrimoniale si se viene vengono posti limiti al deficit in costituzione.

  5. goldberry

    x Ongaro
    Così come possono venire posti dei limiti legislativi, così possono essere tolti. Vedi per esempio gli Stati Uniti.
    Si può anche fare il discorso che fai tu (patrimoniale sì, se…). Ma finchè i centri di spesa permangono (sindacalisti, politici di ideologia fondamentalmente socialista e corporazioni lobbistiche come confindustria) gli sforzi dei contribuenti finiranno soltanto per alimentare nuova spesa pubblica.
    Lo stato italiano deve liberarsi del debito riducendo la spesa pubblica e dismettendo il patrimonio statale improduttivo. Altre strade sono solo delle prese in giro.
    E soprattutto: BASTA dare spazio come interlocutori a soggetti fondamentalmente bacati e preda di conflitti di interesse quali sono confindustria e i sindacati. I politici devono essere responsabili nei confronti dei cittadini e dei loro elettori. Non devono rendere conto a delle lobby rappresentative di interessi di casta.

  6. Andrea Chiari

    600 miliardi di euro? Non è che l’ipotesi sia artatamente esagerata per spaventare? E se fosse meno? Se i ricchi (in parte evasori) venissero chiamati a rinunciare a qualche consumo o a qualche multiplo di proprietà, ci sarebbe scandalo, con un sistema fiscale che fa ridere (se guardiamo al riparto dell’IRPEF)? Se la patrimoniale invece di contrapporsi all’aumento delle spese fosse invece una componente, parziale, di una manovra comunque necessaria di riduzione del comparto pubblico? Certo, dire che tutto è bianco o nero e rinunciare al grigio delle ipotesi intermedie ed equilibrate, è più facile. Ma questo non è un sito di propaganda, ma di riflessione. Cerchiamo di essere tutti all’altezza.

  7. Alfeo

    Credo che la soluzione sia molto più semplice di quello che può apparire.
    La valutazione annua dei danni in € creati dalle pestilenze italiane è 120 miliardi per l’evasione,60 miliardi per la corruzione, NON VALTABILE MA ENORME il danno creato dalla criminalità.
    Non è impossibile combattere queste pestilenze.
    E’ necessario limitare l’utilizzo del contante max qualche cenntinaio di € in prelievo e versamento. Per ognuno di noi calcolare ad inizio annuo giacenza iniziale (beni immobili e mobili registrati, titoli, saldi cc, etc) e finale. Incrementare la giacenza finale di tutti i prelivi e spese effettuate con moneta elettronica che non hanno contribuito ad acquistare beni registrati. Calcolare la differenza di giacenza inziale e finale e confrontarlo con la dichgiarzione dei reditti. Che ne faranno del denaro guadagnato in nero o del ricavo della corruzione o delle azioni malivitose? Non potranno comprare nulla ne versarlo in banca, i prestanomi non hanno più significato, non sabrerebbero giustificare i loro guadagni. Perchè nessuno propone una ricetta drastica ma efficacia? Potremmo recuperare 5 anni indietro, una somma enorme.

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