Liberismo e immigrazione: tutti statalisti col c**o degli altri
Quello appena iniziato è un anno storico per Romania e Bulgaria: dal primo di gennaio del 2014, infatti, i loro cittadini possono vivere e lavorare liberamente all’interno dei paesi della UE, senza alcuna restrizione. In Italia non se ne parla, ma in altri Paesi il dibattito sulla questione è accesissimo. Uno di questi è la Gran Bretagna, dove un fronte trasversale di Tories, Labour e Liberal ha lanciato l’allarme già da diverse settimane, temendo una vera e propria invasione.
«Zingari, nomadi e rom stanno venendo a approfittare del nostro welfare, rubare e mendicare», ha dichiarato Philippa Roe, un’importante leader Tory a Westminster. Molti britannici temevano che nei primi dieci giorni del nuovo anno le coste del Regno Unito sarebbero state invase: ebbene, non è successo. Ma l’elemento più sorprendente dell’intenso dibattito che ha interessato l’opinione pubblica d’oltremanica, come ha sottolineato Dalibor Rohac sul Wall Street Journal qualche giorno fa, è la posizione assunta da tanti sedicenti difensori del libero mercato. Scrive Rohac:
Douglas Carswell, un deputato conservatore noto per le sue posizioni fortemente libertarie, ha spiegato che «i migranti che lavorano dovrebbero essere accolti, ma aprire le porte a bulgari e rumeni potrebbe davvero creare problemi». Secondo Nigel Farage, parlamentare europeo e leader dello UK Independence Party, l’unico criterio che dovrebbe essere adottato per permettere o meno agli immigrati di entrare nel Regno Unito e in Europa è la loro capacità di pagare le imposte, contribuendo così all’economia della nazione in cui vivono. Da sedicenti libertari, non c’è niente di male a intraprendere un dibattito sulla generosità del welfare state britannico nei confronti degli immigrati. Ma si commette un grave errore suggerendo di sottoporre l’immigrazione a controlli più severi o a quote.
Molti economisti concordano sul fatto che garantire libertà di circolazione alle persone comporta enormi vantaggi economici, decisamente maggiori di quelli derivanti da un’ulteriore aumento della libertà di circolazione di merci e capitali. Secondo le stime più sobrie, la rimozione di tutte le barriere all’immigrazione potrebbe facilmente raddoppiare il PIL mondiale. La proposta non è aprire le frontiere del Regno Unito, ma rendere l’immigrazione (almeno/soprattutto quella qualificata) più libera di quanto lo sia oggi e, di conseguenza, rendere il mondo un posto migliore.
Ci sono ben poche prove per sostenere l’idea che l’afflusso di lavoratori nel Regno Unito, dal primo allargamento dell’Unione Europea nel 2004 ad oggi, abbia esercitato una significativa pressione al ribasso sui salari o un aumento della disoccupazione tra gli inglesi. Perfino l’economista Paul Collier, dell’Università di Oxford, che si era battuto per rendere le restrizioni in materia di immigrazione più severe di quanto fossero, ha riconosciuto nel suo libro Exodus, uscito l’anno scorso, che «gli effetti della migrazione sui salari dei lavoratori inglesi sono nulla rispetto al polverone che è stato fatto su di essi». L’effetto degli immigrati sul mercato del lavoro, infatti, non è solo quello di competere per i posti di lavoro già esistenti, ma è anche e soprattutto quello di crearne di nuovi, che non esisterebbero affatto senza il loro afflusso.
Né è convincente l’idea secondo cui gli immigrati comunitari metterebbero a dura prova le finanze pubbliche inglesi. Al contrario, studi recenti indicano che gli immigrati dell’Est europeo hanno avuto un impatto fiscale notevolmente positivo in Gran Bretagna. Lo scorso novembre, ad esempio, il Centro per la Ricerca e Analisi delle Migrazioni dell’University College di Londra ha pubblicato una ricerca secondo la quale gli immigrati in Gran Bretagna dall’Europa dell’Est hanno «contribuito a ridurre il carico fiscale dei lavoratori nativi».
Indubbiamente i grandi afflussi di migranti possono influenzare il mercato immobiliare. Una stima recente mostra che il mark up dovuto all’immigrazione, nel mercato immobiliare britannico, faccia aumentare i prezzi delle case del 10%, producendo effetti soprattutto nel sud-est del Paese e a Londra. Tuttavia, il vero colpevole non è l’immigrazione, ma i rigorosi controlli urbanistici che fanno dello stock abitativo della Gran Bretagna il più piccolo, costoso e densamente popolato d’Europa.
Sostenendo controlli sull’immigrazione più severi, i free marketers britannici rischiano di finire per difendere un insieme di politiche profondamente illiberali. Il mese scorso Sam Bowman, dell’Adam Smith Institute, ha paragonato le restrizioni migratorie alle Corn Laws (i dazi sull’importazione di derrate agricole del XIX secolo), sottolineando come il loro effetto sia «vietare alle imprese di assumere e ai proprietari di immobili di affittarli o venderli a persone che hanno avuto la sfortuna di nascere nel posto sbagliato». Il mese scorso il primo ministro David Cameron ha dichiarato che il Regno Unito manterrà le restrizioni migratorie «fino a quando la loro ricchezza non sarà al livello della nostra»: chiunque sostiene di comprendere che il libero scambio genera ricchezza dovrebbe sapere qualcosa di più sul suo funzionamento.
Come diceva Milton Friedman, ogni lavoratore immigrato ha due braccia e una bocca sola. Ma si sa, le sirene del nazionalismo e del protezionismo sono sempre dietro l’angolo, e sono tutti statalisti col c**o degli altri.
Twitter: @glmannheimer