14
Gen
2014

Energia: tutti i danni e le bufale di Destinazione Italia

Tutte le classifiche internazionali suggeriscono che gli elevati costi dell’energia rappresentano un grave ostacolo agli investimenti esteri nel nostro paese. Il decreto Destinazione Italia, all’articolo 1, contiene “Disposizioni per  la  riduzione  dei  costi  gravanti  sulle  tariffe elettriche”. Purtroppo, siamo in presenza di un clamoroso esempio di neolingua. Una memoria dell’Autorità per l’energia sul tema esprime con giusto tatto istituzionale una serie di osservazioni migliorative del decreto. L’obiettivo di questo post è commentare comma per comma le parti energetiche del decreto, però senza tatto.

Gli effetti delle parti energetiche del dl Destinazione Italia, se convertito senza sostanziali modifiche e abrogazioni, sarà quello di far lievitare i costi energetici, aumentare l’incertezza del diritto e creare confusione istituzionale.

Il comma 1 dà mandato all’Autorità per l’energia di tenere conto “delle mutazioni intervenute nell’effettivo andamento orario dei prezzi dell’energia elettrica”. L’ingresso prepotente delle rinnovabili (particolarmente del solare) sul mercato, infatti, ha avuto l’effetto di ridurre i prezzi di mercato dell’energia (al netto di oneri tariffari e fiscali) nelle ore di massima domanda, cioè attorno a mezzogiorno. Questo vanifica gli sforzi degli anni scorsi di spingere i consumatori a “spostare” i loro consumi verso le ore di bassa domanda (quelle notturne) attraverso l’introduzione della tariffa bioraria. L’intenzione del governo, che può apparire lodevole, è purtroppo una triplice sola: 1) il potenziale risparmio è davvero irrisorio; 2) in ogni caso riguarda solo i clienti “tutelati”, la cui situazione andrebbe ripensata globalmente spingendoli sul mercato libero; 3) siamo comunque in presenza di un’invasione di campo rispetto a scelte di natura strettamente regolatoria, sulle quali da tempo l’Aeeg ragiona anche con la consapevolezza che, come le cose sono cambiate rapidamente nel passato, potrebbero cambiare di nuovo nel futuro. Questo comma dovrebbe essere soppresso in fase di conversione.

Il comma 2 interviene sui prezzi minimi garantiti, stabiliti allo scopo di garantire la redditività degli impianti rinnovabili di piccola taglia (inferiori a 1 MW e non oltre  i 2 milioni di kWh annui di produzione). Si può discutere molto sulla scelta di garantire prezzi minimi (che, secondo me, andrebbero completamente eliminati) ma, una volta accettato il principio, ancora una volta ci troviamo sia su un terreno di stretta competenza dell’Autorità, sia di fronte a impegni già assunti. Questo comma dovrebbe essere soppresso in sede di conversione.

I commi dal 3 al 6 introducono un meccanismo di rimodulazione “volontaria” degli incentivi agli impianti rinnovabili, che prevede una riduzione dell’entità degli stessi in cambio di un allungamento di 7 anni del periodo di incentivazione. Si tratta in sostanza di un’operazione di ristrutturazione del debito che però, in funzione della sua natura volontaria, deve essere, alla fine dei giochi, conveniente per chi ne fa uso (seppure con qualche piccola penalizzazione indiretta per chi non vi aderisce). L’effetto della norma sarebbe insomma quello di estendere il costo dell’incentivazione delle rinnovabili, aumentandone seppure in misura ridotta il valore attuale netto. Rispetto ad altre ipotesi considerate nel passato questa è sicuramente preferibile. Tuttavia, ben lungi dal rappresentare una soluzione al problema, si tratta di un mero palliativo non privo di controindicazioni. Se si vuole intervenire davvero sul costo dei sussidi, bisogna avere il coraggio di farlo in modo serio, sia consentendo all’Autorità di imputare ai produttori rinnovabili i costi dell’intermittenza, sia tagliando retroattivamente gli incentivi quanto meno a quei soggetti che possono contare su rendimenti del tutto ingiustificati. Questi commi dovrebbero essere soppressi in sede di conversione.

I commi 7-9 interventono sulle compravendite immobiliari, obbligando ad allegare la documentazione sulla prestazione energetica (comma 7), definendo le relative sanzioni (comma 8), e correggendo nello stesso senso la disciplina del condominio (comma 9). Boh: confesso di trovare terribilmente stucchevole la retorica sull’efficienza energetica, i conseguenti obblighi e i miti sugli enormi benefici connessi ai sussidi fiscali sottostanti (mai visto in vita mia uno studio empirico decente sul tema: anzi, poiché la Ragioneria generale dello Stato possiede tutti i dati sui risultati dl 55%, sarebbe utile che li mettesse a disposizione). Questi commi sono inutili.

Il comma 10 estende i poteri dello Stato “allo scopo di sostenere lo sviluppo delle risorse geotermiche”. Di fatto si tratta di correzioni relative alla procedura autorizzativa e alla ripartizione di competenze tra centro e periferia. Questo comma può essere mantenuto nella sua attuale forma.

Il comma 11 chiude la stagione degli incentivi al carbone del Sulcis. Questo comma va blindato.

Ma i commi 12-14 riaprono tale stagione, e alla grande e con estrema generosità, consentendo alla Regione Sardegna di bandire una gara per la realizzazione di un impianto dotato di CCS, nei pressi del giacimento, con l’obbligo di ritiro da parte della rete di tutta l’energia prodotta e un sussidio quantificato in 30 euro / MWh fino a una produzione di 2100 GWh / anno, per vent’anni. Viene cioè prevista una elargizione pari a oltre 60 milioni di euro / anno per un impianto inutile, alimentato da carbone di pessima qualità, e sostenere una produzione del tutto insostenibile. L’Autorità per l’energia è chiarissima nel dire che, al di là dell’onere finanziario, “la previsione in oggetto non rispond[e] a esigenze del sistema elettrico”. Per giunta, le modalità di erogazione dell’aiuto “rappresent[ano] una barriera a una fattiva partecipazione di questo impianto al funzionamento dei mercati liberalizzati”. Riassumo: sussidi a un’opera ambientalmente dannosa, economicamente insensata, inutile al sistema elettrico e con effetti potenzialmente anticompetitivi. Questi commi vanno soppressi.

Il comma 15 rilassa gli obblighi sui biocarburanti, a loro volta frutto di un’ubriacatura europea ormai archiviata e incapace di stimolare innovazione tecnologica in un settore dove, invece, può esserci e c’è anche in assenza di sussidi. Questo comma può essere mantenuto.

Il comma 16 è, a mio avviso, un vero capolavoro. In otto righe viene completamente squadernata la disciplina (criticabile, e che io stesso ho criticato a suo tempo) della distribuzione locale gas. Con lo stesso risultato, rispetto a gare che teoricamente dovrebbero essere sul punto di essere bandite, delle ben note parole di Massimo Decimo Meridio. La questione è estremamente complessa, e già questo basterebbe dallo scoraggiare un intervento che appare marginale nell’economia del decreto, e che può essere esiziale per un intero settore oggetto di un faticoso processo di messa in ordine. Semplicemente, questo comma modifica in extremis i criteri di determinazione del valore di rimborso che deve essere versato al gestore uscente nel caso in cui la gara sia vinta da un soggetto diverso. L’Autorità sul punto è esplicita: “preme segnalare l’importanza che, in ogni caso, le modifiche normative introdotte, considerata l’imminenza dell’avvio delle procedure di gara, non si tramutino in pretesto per eccessivi slittamenti nelle tempistiche di gara”. Seppure, infatti, in principio la tipologia di intervento disegnata dal decreto non sia necessariamente sbagliata – è necessario valutarne con precisione effetti e conseguenze – essa è chiaramente fuori tempo massimo; senza contare la mancanza di chiarezza della norma stessa. Il comma corregge anche il trattamento dei contributi privati, questa volta in modo ragionevole, in quanto evita il doppio conteggio di una serie di costi nella determinazione del valore di subentro. Questo comma va corretto nel senso indicato dall’Autorità per l’energia.

Prima di chiudere, una considerazione. Annunciando il decreto (una decina di giorni prima della divulgazione del testo) il governo ha sparato fanfare sul suo presunto e miracoloso effetto di “Risparmio sulle Bollette energetiche per 850 milioni di euro”, ottenendo prime pagine e titoloni. Un’attenta lettura dell’articolo 1 del decreto rivela, però, che di questi risparmi non c’è traccia, se non in forme assai incerte o attraverso trucchi contabili (come l’allungamento del periodo di incentivazione delle rinnovabili). Alcuni commi contribuiscono a un aumento, non una riduzione, delle bollette: è il caso del Sulcis. Altri ancora pestano i piedi all’Autorità per l’energia, invadendone l’autonomia e creando confusione. Altri, infine, contengono misure potenzialmente utili ma formulate in modo caotico. Nessuna ha a che fare con l’attrazione di investimenti esteri.

In conclusione, solo poche parti del decreto ha senso che siano mantenute: i commi 10 sul geotermico, 11 sul “vecchio Sulcis” e 15 sui biocarburanti. Il comma 16 dovrebbe essere corretto in coerenza con quanto chiede l’Aeeg. Tutto il resto è inutile o dannoso.

You may also like

Caro bollette costi energia
Caro bollette e pulsioni anti-mercato. L’Italia spende troppo, le ferite si allargano
tassa extraprofitti
Extraprofitti, un flop annunciato. “Intollerabile elusione” o riflesso della sospetta incostituzionalità della norma?
Rifiutare la neutralità tecnologica: un modo per far male i calcoli
Maratona Pnrr. Transizione ecologica: money for nothing

6 Responses

  1. Luca

    Ciao Carlo, sull’argomento sono parte in causa per via del mio lavoro nel campo dell’eolico ma credo che un paio di cose debbano essere dette.

    Nello specifico dei commi “da 3 a 6”, quelli riguardanti i certificati verdi, intanto si interviene come al solito in senso retroattivo. Le aziende che investono in questo settore lo fanno sulla base di stime dei flussi di cassa futuri che variano dai 10 ai 15 anni, sulla base dei quali chiudono contratti di finanziamento. La maggior parte di questi contratti sono dei leasing, una minima parte dei project finance. In ogni caso sono contratti particolarmente poco adatti a rimodulazioni pesanti dei flussi di cassa in corso d’opera. Nel business model di queste aziende i certificati verdi incidono, ad oggi, per circa il 60% del fatturato ( la parte rimanente è la vendita di elettricità, il cui costo industriale in questi anni di crisi ha subito un drastico calo). Proporre una riduzione di questo incentivo di circa il 40% (questi più o meno i valori che si sentono in giro, ma tanto per cambiare i numeri saranno definiti in un successivo atto…) avrebbe un impatto sul fatturato di oltre il 25%. Basta dare un’occhiata a qualsiasi bilancio di parco eolico o centrale a fonte rinnovabile per vedere che in questi termini nessuno potrebbe aderire all’offerta cd volontaria. Perlomeno non senza dover rinegoziare a monte i propri finanziamenti. Auguri a chi in questo momento intende andare a rinegoziare finanziamenti pregressi con il sistema creditizio italiano.

    A fronte di questo lo Stato pone, sull’altro piatto della bilancia, un allungamento di 7 anni dell’incentivazione “rinegoziata”. Anche ammesso che qualcuno qua in Italia si senta fiducioso che, nell’arco dei prossimi 10/15 anni non venga di nuovo cambiata la legislazione (retroattivamente), si tratta di una scommessa non da poco. Soprattutto dal punto di vista tecnico e di obsolescenza delle macchine, con conseguente impatto sulla produzione.

    Vista in questi termini la proposta non pare proprio in grado di suscitare l’interesse dei produttori di fonti rinnovabili, quindi entra in gioco quella che tu definisci “…piccola penalizzazione indiretta per chi non vi aderisce…”: il divieto di accedere al Ritiro Dedicato o a qualsiasi altro incentivo per dieci anni dal termine del contratto originale. In pratica l’impossibilità di rinnovare impianti obsoleti e l’incentivo ad abbandonare al degrado il parco macchine installato in Italia una volta finito il contratto incentivante.

    A me pare un pasticcio tutto italiano, che non risolverà certamente il problema del costo dell’energia e che andrà a punire ulteriormente il settore delle rinnovabili. E mentre tutti si scoprono liberali e contestano gli incentivi pubblici alla produzione di energia verde, che esistono in tutti i paesi che hanno fonti rinnovabili, nessuno ricorda che il settore più pesantemente sussidiato al MONDO è quello delle fonti fossili. Basti ricordare il regalino di Passera a fine Governo scorso che diede 250 milioni di € ad Enel per compensare un eventuale aumento del costo del gas in caso di inverno 2013/14 particolarmente rigido. Visto che abbiamo ancora in casa le Zanzare mi pare che Enel abbia avuto una discreta plusvalenza. Di soldi pubblici. Di incentivi.

    Un saluto

  2. edoardo beltrame

    riguardo al peak shaving: prendono i dati del 2012 ( media delle ore serali 90 €/MWh ) sul 2011 ( media delle ore serali 81€/MWh) ma non del 2013 ( media delle ore serali 75€/MWh ). sola pilotata!

  3. edoardo beltrame

    sulcis: cosa intendi per blindato ? blindato chi la propone che magari non sa che la regione sardegna con delibera 53/75 del 20 dicembre ha deciso di approvare il piano di chiusura della miniera di carbone nella concessione monte sinni gestita dalla carbosulcis in attuazione della decisione del consiglio europeo ? è imbarazzante!!

  4. Franco Tomassini

    Ho sentito, qualche tempo fa, Matteo Renzi dire, in merito al Sulcis, che il costo, per ciascuno degli operatori di quel sito, è di 75.000 euro/anno. Egli proponeva la chiusura, con risparmio immediato di denaro e la riqualificazione degli operatori verso un’economia che potesse sfruttare le biomasse, a suo dire la vera fonte di sviluppo della Sardegna e facilmente utilizzabili industrialmente.
    La cosa mi colpì per la sua semplicità: è vera, oppure fu una battuta lanciata per farsi un po’ di pubblicità?

Leave a Reply