20
Set
2013

La riforma del catasto tra speranze e realtà

Il DDL sulla legge delega per la riforma del sistema fiscale comprende anche la riforma del catasto fabbricati.

Una delle novità riguarda il valore patrimoniale degli immobili, che sarà determinato dal valore di mercato per metro quadro in base alla localizzazione e alla tipologia dell’immobile (rilevati, probabilmente, dall’Omi  – Osservatorio immobiliare dell’agenzia del Territorio -, dell’Agenzia delle Entrate). A tale valore si applicano dei coefficienti correttivi relativi a ubicazione e tipo di immobile, che danno vita a un algoritmo che potrebbe modificare anche in modo sostanziale il valore del metro quadro iniziale. Moltiplicando il valore così ottenuto per numero dei metri quadrati rilevati secondo la metodologia catastale, si ottiene il valore patrimoniale.

Di conseguenza viene modificata la rendita catastale (la base per calcolare le imposte), calcolata in base ai redditi da locazione medi. Ai valori locativi annui espressi al metro quadrato si applicherà una riduzione derivante dalle spese di manutenzione e adeguamenti tecnici di legge (pari, in media, al 47-52 per cento). Quindi, la rendita catastale sarà data dal prodotto tra il valore annuo al metro quadro e la superficie.

Tramite questa riforma si intende rivedere la struttura di calcolo delle imposte sulla casa (come l’Imu e i suoi succedanei) senza aggravare la situazione per i contribuenti.

Una delle principali modifiche è il passaggio dai vani catastali (il vano è una stanza di misura variabile a seconda della provincia o del comune) ai metri quadri. Prima la rendita catastale era data dal prodotto tra numero di vani e tariffa d’estimo corrispondente a una certa categoria e classe catastale dell’immobile, determinata in base a determinate caratteristiche (sia proprie dell’immobile, come quelle costruttive, che estrinseche, quali la presenza di servizi). Tuttavia, nelle città c’erano moltissime categorie e classi ed erano fonte di diseguaglianza tra mercati (le case nei centri storici erano soggette a un’imposizione fiscale più bassa rispetto alle case in periferia, per esempio).

In seguito alla riforma, invece, come spiegato sopra, all’interno di ogni comune si individuano dei piccoli territori – microzone – omogenei, sulla base di caratteristiche prestabilite. Quindi si definisce un «valore medio di mercato» per ogni ambito di microzone e tipologia immobiliare, a cui si applicano i coefficienti correttivi relativi a ubicazione e tipo di immobile, dando origine all’algoritmo che determinerà i nuovi valori dei metri quadri.

Si consideri, però, che  neanche il riferimento ai prezzi di mercato è una panacea, proprio perché mancano mercati immobiliari dinamici (solo 1.200 comuni, coinvolgenti quasi il 70 per cento delle transazione, presentano una sufficiente vitalità, secondo i dati della Voce.info).

Il rischio, poi, è che la rivalutazione (potrebbe sfiorare il 60% secondo il Corriere) porti le imposte sugli immobili a livelli insostenibili, data l’attuale situazione economica, deprimendo ulteriormente il mercato (riduzione dei prezzi di vendita e allungamento dei tempi di acquisto con un calo delle compravendite al di sotto delle 420mila unità, secondo Nomisma).

Sarebbe opportuno che le nuove formule tenessero conto dell’intera gamma di variabilità degli immobili presenti nei vari ambiti territoriali: eppure l’Omi non contempla, tra gli altri, alberghi, case di cura, laboratori, capannoni industriali ecc.

Vi è poi, in base alle attuali formule di calcolo, un problema intrinseco relativo alla variabilità tra valore/reddito censito, rispetto al corrispondente valore/reddito di mercato, che potrebbe far lievitare le basi imponibili. Una possibile soluzione è quella adottata da alcuni Paesi, come la Spagna, che hanno abbattuto il valore di mercato ai fini fiscali del 30%. Se si rivedono le aliquote al ribasso, allora è possibile che i proprietari degli immobili in centro (che oggi, a catasto, sono stimati tre-quattro volte meno rispetto al mercato) arriveranno a pagare di più, e quelli degli immobili in periferia un po’ meno.

Poiché le imposte sui fabbricati sono basate sulla redditività dei beni, per garantire l’obiettivo di una maggior perequazione, sarebbe opportuno rivedere il sistema estimativo nella parte riguardante la determinazione delle rendite rispetto a quella riferita ai valori.

Nel complesso, le alternative a disposizione (alcune sono analizzate da la Voce.info) presentano tutte dei trade-off, relativi a iniquità tra zone e comuni o all’interno della stessa zona o comune.

Una riforma del catasto è, oggi, indispensabile. Si tenga però conto che richiederebbe almeno 4-5 anni, per avere il tempo di attribuire a ogni unità delle diverse categorie il corretto reddito netto che potrebbe produrre in condizioni ordinarie e il corretto valore, allineare archivi censuari e archivi cartografici e raccogliere tutti i dati e le informazioni, oggi non disponibili, relativi all’intero patrimonio edilizio.  Si consideri, ad esempio, che l’Omi prevede intervalli di quotazioni per tipologia di abitazioni (ville, abitazioni civili, oppure economiche, eccetera), e non per singole abitazioni.

Se, quindi, una riforma del catasto è auspicabile è necessaria, il rischio è che non si disponga ancora dei dati necessari per farla bene. Prima di riformare, è necessario costruire e mantenere aggiornata una base di dati sufficientemente vicina alla realtà.

 

1 Response

  1. Mike

    Fare una frettolosa riforma del catasto dei fabbricati, nei termini illustrati nell’articolo, in un momento in cui ci sono valori immobiliari drammaticamente in picchiata (tranne le solite eccezioni : immobili intrinsecamente di pregio, immobili ubicati nei centri storici delle grandi città, ecc.) e un tasso di morosità degli inquilini mai visto nella storia di questo disgraziato paese, solo perché lo Stato, che continua ad avere le mani bucate, vuole assolutamente fare cassa per compensare la diminuzione del gettito fiscale derivante dal PIL decrescente, significa solo una cosa: voler progressivamente confiscare, per via fiscale, il risparmio degli italiani tradizionalmente accumulato sotto forma di immobili, abbatterne ulteriormente il valore più di quanto non abbia già fatto l’IMU sulle seconde case, uffici, capannoni, ecc. e, probabilmente, uccidere definitivamente il mercato legale delle locazioni. Se è ciò che vogliamo, andiamo pure avanti così, fino all’inevitabile default.

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