23
Gen
2014

La primavera incatenata—di Emmanuel Martin e Dalibor Rohac

Ai leader della Tunisia non interessa la libertà economica per il proprio popolo

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Atlas Network.

Agli occhi delle persone comuni del Medio Oriente e del Nord Africa, gli eventi della Primavera Araba sono stati l’effetto tanto della frustrazione conseguente la mancanza di opportunità economiche quanto del malcontento derivato dai regimi autoritari e repressivi della regione. Dopo tutto, le rivolte popolari sono state innescate dall’autoimmolazione di Mohammed Bouazizi, un fruttivendolo tunisino che aveva subito ripetute vessazioni da parte delle autorità locali. Quando i funzionari gli hanno proibito di vendere frutta e verdura, confiscandogli la merce, la sua vita — e quella di coloro che da lui dipendevano — è stata rovinata all’istante.

Sfortunatamente, tre anni dopo, la situazione in Tunisia sta tornando quella di prima. In prossimità della votazione sulla nuova Costituzione tunisina da parte dell’Assemblea Costituente Nazionale, il 9 gennaio si è acceso un animato dibattito riguardante un emendamento all’Articolo 48 della carta, che tratta dei diritti e delle libertà individuali. Tale emendamento dovrebbe includere nella Costituzione la protezione della libertà economica, e prevenire casi di vessazione arbitraria — quella che ha motivato il gesto disperato di Bouazizi — ma anche mettere un freno al dilagante eccesso di regolamentazione di stampo populista che alimenta una corruzione incontrollata da parte dei funzionari pubblici.

Purtroppo l’emendamento è stato respinto nel corso di una votazione tenutasi nei giorni scorsi, con soli 93 voti a favore, mentre ne erano richiesti 109 per l’approvazione. Agli occhi dei suoi oppositori, quale il parlamentare Samia Abou, questo emendamento “imporrebbe un orientamento economico selvaggiamente neoliberista” al paese. Un altro parlamentare, Mourad Amdouni, ha avvertito: “Se questo articolo passa, sarebbe il più grande tradimento perpetrato ai danni del popolo tunisino e della rivoluzione”.

Se si considerano le origini della rivoluzione tunisina, tali dichiarazioni appaiono una farsa. Bouazizi è morto domandando libertà di iniziativa economica. È stata precisamente la mancanza di libertà di intrapresa ad aver soffocato Bouazizi — così come la grande maggioranza dei tunisini.

Un buon 95 percento dello scenario economico della Tunisia è costituito di microimprese, nonostante incredibili barriere in ingresso e ostacoli alla crescita economica del paese. Secondo il report Doing Business della Banca Mondiale, avviare un’attività è diventato più difficile in confronto agli anni precedenti. Ottenere un semplice permesso di costruzione richiede 94 giorni e costa qualcosa come il 256 percento del reddito medio annuale del paese. La Tunisia si posiziona inoltre al 109° nel mondo per l’accesso al credito da parte dei suoi imprenditori.

La ragione per la quale la tradizione imprenditoriale e la libertà economica del Mediterraneo non si sono tradotte in istituzioni e politiche che facilitino la libera impresa è semplice. Un mercato aperto costituirebbe una minaccia per i settori che sono stati nazionalizzati in passato e per i grandi benefici di cui godono il governo e i suoi compari, grazie ai privilegi monopolistici e ad altre forme di protezione governativa. La Tunisia di Ben Ali era caratterizzata da un sistema di favoritismi e clientelismo. Oggigiorno, alcuni protettori sono forse stati sostituiti con altri, ma la logica di fondo di una piccola élite che vive a spese della collettività generale rimane immutata.

La bocciatura dell’emendamento sulla “libertà di lavoro” rischia di compromettere una delle ultime possibilità che la Tunisia ha per riaffermare il messaggio degli eventi della Primavera Araba. Le critiche ad esso sono un errore, se si ragiona nell’ottica che l’emendamento trasformerebbe in qualche modo la Tunisia in una sorta di paese a capitalismo de-regolamentato ottocentesco. L’emendamento, ad esempio, non impedirebbe il diritto di sciopero, come alcuni hanno sostenuto, dal momento che anche quest’ultimo è garantito dalla Costituzione.

Sebbene la Tunisia stia cercando aiuti internazionali e investimenti esteri per finanziare la sua crescita economica, la mentalità antieconomica prevalente all’interno della sua arena politica sta mandando un segnale molto negativo sulla direzione che il paese sta prendendo. Se i policymaker tunisini non riescono a comprendere che lo sviluppo richiede intrapresa ed iniziativa economica, la credibilità del paese di fronte ai creditori internazionali e ai potenziali investitori verrà danneggiata. Col rifiuto di difendere la libertà economica, l’Assemblea Costituente ha tradito esattamente ciò per cui Mohamed Bouazizi ha combattuto — e per cui è morto.

Emmanuel Martin è analista per LibreAfrique.org e direttore dell’Institue for Economic Studies – Europe. Dalibor Rohac è analista politico al Center for Global Liberty and Prosperity presso il Cato Institute. Ringraziamo Atlas Network per la gentile concessione alla pubblicazione.

Leave a Reply