26
Feb
2014

La posta elettronica pubblica certificata: ovvero gli errori da non continuare e da non ripetere—di Mario Dal Co

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Mario Dal Co.

Come noto, a febbraio 2014 si conclude il contratto stipulato per la CEC PAC, ossia la posta certificata che i cittadini possono richiedere gratuitamente per le comunicazioni con la Pubblica Amministrazione (ed essa soltanto).

L’importo effettivamente corrisposto (tetto di 50 milioni, di cui allocati 25 per i primi 4 anni di servizio che si concludono alla data sopra indicata) non è andato oltre il primo acconto, assai inferiore ai 25 milioni, essendosi poi bloccato il processo dal punto di vista amministrativo tra Telecom/Poste e il Dipartimento Innovazione. Quest’ultimo ha poi attraversato le note vicende, rimanendo un’entità indefinita tra riassetto e soppressione. Tali vicende hanno portato ad una sostanziale non gestione dei rapporti anche verso terzi, come insegna la vicenda dei Fondi High Tech. Anche a giudizio di esperti non di parte, il rapporto contrattuale non è stato gestito e ciò ha portato al sostanziale stallo del progetto, che, per altro, soffriva di limiti intrinseci assai rilevanti (vedi i punti  1-3 infra).

Anche per effetto della non modesta comunicazione fatta allora dal Ministro pro tempore  dell’innovazione e della pubblica amministrazione (anni 2009-2010), ad oggi oltre 1,7 milioni di richieste sono state attivate attraverso il sito. Non si ha tuttavia una rilevazione sull’effettivo utilizzo dello strumento: né su quanti cittadini, né su quante amministrazioni, né per fare che cosa. Ciò significa che quegli iscritti rappresentano anche una potenziale fonte di scontento che potrebbe popolare la comunicazione web 2.0 nei prossimi mesi.

È, infatti, opinione diffusa che la CEC-PAC non sia utilizzata e che presenti più problemi che opportunità, nelle condizioni di oggi.

Tra i problemi:

  1. manca l’interoperabilità con le aziende e i professionisti (diverse Pec che non si parlano);
  2. non è uno standard europeo, per cui nelle gare di appalto si sono verificati frequenti inconvenienti;
  3. non è definito, da parte delle pubbliche amministrazioni, un piano di attivazione dei servizi web, tra cui la CEC-PAC rientra, per cui al cittadino non è dato sapere a che cosa serve lo strumento;
  4. non sono state sviluppate le funzionalità aggiuntive previste dal contratto, tra le quali la firma digitale e il non meglio definito fascicolo personale.

Come si vede tutte le criticità indicate portano come corollario a ragionare sullo sviluppo dell’identità digitale sulla base di standard europei, e a non insistere sui servizi del vecchio bando. Esso prevedeva la possibilità di un rinnovo per altri 4 anni, ma questa opzione, allo stato dell’arte, appare impraticabile (oltre che sconsigliabile) per i seguenti motivi:

  • non è stato effettuato il primo collaudo;
  • alle questioni amministrative che hanno bloccato i pagamenti  si aggiungono altre questioni relative alla disponibilità  effettiva (presso l’ex DIT?) dei fondi relativi (sia al completamento dei primi 25 milioni sia all’eventuale rinnovo quadriennale);
  • la tecnologia evolve rapidamente, come dimostra la recente gara CONSIP-SPC  per la posta elettronica (certificata e non) per le PPAA che ha registrato un ribasso di oltre il 70%.

La reazione dell’opinione pubblica, nella fase di avvio della CEC PAC, fu vivace e spesso critica. Al fine di evitare critiche più estese di quelle che vennero esposte in fase di avvio, è opportuno che un monitoraggio del funzionamento della CEC PAC vada fatto quanto prima: per chiarire le responsabilità o, come si dice, per l’accountability.

You may also like

L’emergenzialismo
Punto e a capo n. 18
Autonomia differenziata: più parole che fatti
Digitalizzare la PA: la sfida dei processi e delle competenze

3 Responses

  1. Francesco_P

    L’introduzione della PEC è stata vista come una semplice sostituzione del mezzo con cui trasmettere raccomandate cartacee fra diversi Enti delle Pubbliche Amministrazioni o fra PP-AA e le imprese o i cittadini (CEC-PAC ancora nel limbo).
    Il difetto d’origine è il mantenimento in vita di processi amministrativi assolutamente non integrati fra di loro e totalmente identici alla vecchia organizzazione cartacea. Capita dunque che siano ignorati dati già disponibili presso altre amministrazioni e che le imprese ed i cittadini non abbiano a disposizione un punto unico di colloquio con la PP.AA., debbano presentare più volte gli stessi dati e siano costretti a perdere tempo con diverse amministrazioni che forniscono risposte contraddittorie.
    Non c’è solo un’ignoranza tecnologica o una sottovalutazione delle questioni legate all’interoperabilità del servizio di posta certificata: c’è una profonda ignoranza dei principi dell’organizzazione, del ruolo dei sistemi informatici e del “data modeling”. Vi immaginate se una banca si fosse limitata a sostituire le vecchie schede cartacee dei conti correnti (usate fino agli ’60) e l’imputazione dei dati in back office con successive elaborazioni differite nel tempo? Vi immaginate un’impresa in cui il magazzino deve fornire “a mano” i dati dei carichi e degli scarichi alla produzione ed all’amministrazione?
    Se non si “rivolta come un calzino” tutto il mondo della pubblica amministrazione è assolutamente impensabile di pagare meno tasse per ottenere dei servizi anziché dei disservizi. Il resto del mondo è nel 2014; la PP.AA: è ferma al 1866 e l’introduzione della PEC è stato solo un “cambiar qualcosa per non cambiare nulla”.

Leave a Reply