3
Ott
2011

Inflazione o deflazione?

Da quando è scoppiata la crisi si è parlato o di inflazione o di deflazione, e non solo le analisi degli economisti ma anche i livelli dei prezzi non sono riusciti ad accordarsi su quale fosse l’evoluzione più probabile della situazione dei mercati. Ci sono motivi teorici dietro questa confusione? Sì, e soprattutto ci sono cattive spiegazioni da eliminare per fare un po’ di chiarezza.A ripercorrere brevemente il comportamento del livello dei prezzi (CPI) a partire dal 2007, anno di inizio della crisi, si vede che poco prima della crisi cominciava a schizzare per giungere al massimo prima dell’intensificarsi della crisi finanziaria, per poi crollare improvvisamente per i sei mesi clou della crisi del 2008, e ricominciare lentamente a crescere a partire dall’inizio del 2009, fino ad arrivare ai livelli attuali, vicini al 4%, e in crescita.

A guardare la base monetaria, però la storia cambia: essendo raddoppiata durante la crisi del 2008, e nuovamente aumentata, fino a triplicare, durante il 2011. La moneta bancaria (M1), però continua a crescere lentamente, e da due anni è addirittura inferiore alla base monetaria. La moneta “creditizia” (M2), invece, dopo aver reagito poco al raddoppio della base monetaria, e altrettanto poco alla sua triplicazione, si è ormai fermata da un trimestre.

Ci sono due spiegazioni cattive che circolano sui giornali o in rete: la prima asserisce che l’inflazione è impossibile perché c’è capacità produttiva inutilizzata, il cosiddetto “output gap”, la seconda invece che l’inflazione è inevitabile perché la base monetaria è aumentata tantissimo, e nel dir ciò trascura l’importanza dei mercati finanziari nel processo di espansione dell’offerta di moneta.
L’output gap non c’entra nulla con la deflazione o l’inflazione, altrimenti non ci sarebbero le stagflazioni, come negli anni ’70. I keynesiani hanno la memoria corta, perché nel lungo periodo i loro neuroni evidentemente sono tutti morti, e si sono già dimenticati i disastri che hanno causato trenta anni fa con i loro consigli di policy.
La capacità produttiva inutilizzata è parte integrante del ciclo economico, perché gli errori di investimento non sono sempre correggibili: milioni di muratori e unità abitative, e migliaia di gru da costruzione e betoniere, saranno inutilizzabili per un bel po’, essendo inutili, senza che ciò comporti un output gap. Dunque la mera presenza di capacità inutilizzata non dice nulla sulla possibilità di espandere l’output. Come minimo, deve essere capacità potenzialmente in grado di produrre cose che hanno valore: non, ad esempio, dopo un decennio di boom immobiliare, case.

E poi, per avere prezzi in rialzo non è necessario che ci sia capacità inutilizzata da qualche parte: è necessario che ve ne sia ovunque, altrimenti, come riconosciuto dallo stesso Keynes nella General Theory, i prezzi comincerebbero a salire in quei settori, e se sono numerosi (non “tutti”, ma “abbastanza”) il risultato aggregato si farebbe sentire (e la costruzione teorica di Keynes smetterebbe di essere valida, essendo basata sulla “profonda” intuizione che se i dati cambiano e i prezzi non si muovono, allora il disequilibrio permane).

Del resto, l’inflazione è almeno nel breve termine l’esito più probabile: USA, UK e UE stanno già abbondantemente sopra il 2% che si dice essere il target, almeno in Europa, a cui puntare. Inoltre i fattori di produzione (lavoro escluso) dell’indice dei prezzi al consumo (PPI) sono cresciuti molto più del CPI, sin dal 2009. Saranno contente le imprese a vedere i costi in aumento e i ricavi costanti. Poi ci si stupisce che l’economia non tira… Credo si tratti però solo di una fiammata: il PPI sembra aver arrestato la sua corsa, e la crisi finanziaria del resto sta nuovamente sulle prime pagine dei giornali da diversi mesi.

E qui veniamo all’ultimo fattore: il sistema finanziario. Se le banche e, la finanza in generale, non tirano, la base monetaria rimane inerte, perché non viene “moltiplicata”. Per questo motivo l’inflazione di M0 in Giappone negli anni ’90 non portò ad un aumento di M2, come del resto sta avvenendo negli USA e nell’UE. Senza banche che funzionano, dunque, l’inflazione è improbabile. Se la recessione dovesse ricominciare e dovesse colpire il settore finanziario, gli aggregati monetari smetterebbero di crescere e comincerebbero forse addirittura a scendere, e con essi i prezzi. Dato che è verosimile che la recessione stia ricominciando (ma era mai finita?), la deflazione sarà più probabile nel medio termine dell’inflazione.

La base monetaria rimarrà probabilmente inerte ancora un bel po’: l’espansione del credito, finché la finanza è nei guai, è improbabile. Il moltiplicatore monetario è una variabile endogena che dipende da fattori sotto il controllo delle banche centrali come la quantità di base monetaria, i tassi di interesse, e le aspettative future su queste variabili, ma anche da fattori non controllabili direttamente come lo stato finanziario delle banche, la redditività e la rischiosità degli investimenti, l’avversione al rischio degli intermediari. Tutti questi fattori stanno evolvendo verso la deflazione, perché sarà sempre più difficile intermediare e dunque creare credito man mano che l’economia rallenta.

Dovesse però non esserci una recessione, allora ci sarebbe inflazione. Anzi, ci sarebbe stagflazione. L’economia rimarrebbe fragile, ma i prezzi comincerebbero a salire. Molti keynesiani stanno auspicando questo: beati loro, che hanno sempre capito tutto…

PS Tutti i dati si possono trovare su Fed FRED, l’unica cosa buona fatta dalla Fed da quando esiste. M0, M1, M2, PPI e CPI sono le serie BASE, M1, M2, PPIACO e CPIAUCSL del database. Considerazioni simili dovrebbero valere per l’UE, salvo M0 che non è aumentata enormemente per via del ridotto quantitative easing.

12 Responses

  1. Se per inflazione si intende, come intendi tu qui, il rialzo dei prezzi, non serve vedere solo la creazione di moneta centrale ma anche il processo moltiplicativo, o più in esteso quanto la moneta riesce a “girare” e quindi a permettere un maggior numero di espressioni di interesse su merci e servizi. Scoppiata la crisi, l’attività economica si riduce per definizione, il credito si contrae, la moneta in sé circola meno, e meno persone possono andare sul mercato e “chiedere” merci – da qui i prezzi non possono più salire molto; sarebbe anche uno dei modi per far recuperare potere d’acquisto a chi ha liquidità e quindi rilanciare l’economia dopo lo spurgo (se le banche centrali non falsassero continuamente il gioco).
    Forse il problema dell’apparente incoerenza tra politica monetaria ed effetto sui prezzi non sta solo qui. Sì certo, la velocity si è contratta – il deleveraging – ma la storia non può essere solo qui visto che gli incrementi di base monetaria si contano in multipli e non in qualche punto percentuale.

    Va be’ che nel lungo periodo saremo tutti morti – ma nella lunga distanza pure? Allunghiamo lo sguardo. Esiste un problema di prospettiva: il mondo non parte da Seattle, passa da New York, nuota fino a Lisbona, e poi finisce a Atene. E’ un errore molto comune di noi Occidentocentrici, ma c’è tanto altro mondo che sta vedendo i prezzi salire a tassi anche a due cifre, ci sono mercati che sono fiammati in alto… forse guardando a TUTTO il mondo il problema dell’assenza di volgarmente detta inflazione si ridimensionerebbe molto e potrebbe pure rovesciarsi.

    E poi Pietro ti ricordo una cosa: il problema non è l’aumento assoluto dei prezzi, ma l’aumento relativo. Il problema son prezzi che aumentano quando dovevano star fermi, ma sai benissimo che è anche quando i prezzi sono fermi mentre avrebbero dovuto scendere (come doveva accadere sia per la presenza cinese che per effetto della minor attività economica); considerando questo i prezzi SONO saliti già. Un altro errore Keynesiano è fermarsi alla superficie tanto prima di arrivare al fondo di un problema saremo tutti annegati.

  2. Osservatore

    1) il nesso tra output gap e inflazione c’è. Ci sono due tipi di inflazioni, la core e la headline. La core è correlata con l’output gap, e infatti oggi la core inflation è bassa. La headline no, non ha nulla a che fare con l’output gap, ed ecco perchè negli anni ’70, gli anni di shock petrolifero, si verificò stagflazione.
    per la core veda il link sotto, consumer price all items non food non energy
    http://stats.oecd.org/Index.aspx?DataSetCode=MEI_PRICES

    2) al contrario l’energia e in misura minore il cibo costano sempre di più, a causa di fenomeni vari (guerra in Libia e tensioni in MO, speculazioni, boom cinese ecc..) e questo penalizza i consumi e le imprese.

    3) Lei ha ragione a sostenere che c’è un serio rischio di deflazione dato l’inerzia di M1 ed M2. Il punto però è un altro: sic stantibus rebus, la deflazione potrebbe essere accompagnata da una headline inflation (perchè i consumi base, salvo recessione nera, non possono essere compressi più di tanto) e ovviamente dalla stagnazione. Insomma, una stagflazione anni 70. Già ora il Brent, che pure è calato recentemente (100 dollari), costa troppo. A inizio 2007 era 50 dollari !

    4) Lei è sicuramente una persona di grande cultura e intelligenza (non lo dico per piaggeria, ma perchè mi sembra ovvio). Tuttavia i suoi toni nei confronti dei keynesiani sono a mio parere eccessivi. Polanyi, che lei forse non stima ma tanta gente intelligente sì, diceva che gli economisti liberisti peccavano di fanatismo e fervore evangelico…. ecco, toni troppo forti inducono simili riflessioni. Personalmente, trovo utile e stimolante leggere il pensiero degli economisti liberisti, così come dei keynesiani. La verità non è un monopolio di nessuno, nè mio ne suo nè di Mises nè di Keynes nè di Marx. Altrimenti si rischiano i totalitarismi ideologici. Scienze ben più esatte dell’economia, come la fisica, ci obbligano a dubitare anche dei principi fondamentali. Ecco, il dubbio dovrebbe accompagnare l’economista sempre.

  3. @Osservatore

    Ho visto la serie della core inflation su Fed Fred, e a parte avere pochissima varianza rispetto a quella che include energy and food, che è molto più variabile, non ha una correlazione con M0 visibile ad occhio: in sostanza, segue la CPI completa ma variando molto di meno, e rimanendo più bassa. Non ho trovato un output gap, ma visualizzare la core inflation con GDP mostra che non c’è correlazione evidente, mentre almeno c’è una forte correlazione tra la CPI vera e l’output. Dunque la core inflation è in salita ma sale poco. Il CPI segnala lo stato del ciclo molto meglio, evidentemente food and energy sono più ciclici: il petrolio non mi stupisce, perché anche il mais lo è non lo so. Forse sono gli incentivi al biodiesel, ma mi sembra troppo poco.

    2) Non credo. Tutte le materie prime costano di più, e tutte le materie prime sono crollate con la crisi finanziaria. Dunque il legame tra stato del credito e prezzo delle materie prime è forte: non si tratta di shock di offerta episodici come una guerra, almeno non del tutto. Le materie prime sono fortemente sensibili ai tassi di interesse, del resto, e dunque reagiscono allo stato del credito.

    3) Sì.

    4) A volte sono un po’ troppo caustico. Di norma lo sono con tutti, compresi i “miei” (gli austriaci, che sono 50 anni che non combinano nulla di serio in macroeconomia). Trattando di politica economica, i keynesiani sono particolarmente portati a dare consigli pessimi, però se avessi trattato la teoria economica avrei avuto sarcasmo a palate anche per monetaristi, neoclassici, austriaci… la teoria macroeconomia oggi non esiste, l’analista economico deve farsi un’idea indipendentemente dalle mediocri teorie proposte dal teorico. Anche se ho una preferenza per la Scuola austriaca, questa critica vale anche per loro. Comunque ha ragione che dovrei imparare a cambiare tono. 🙂

  4. Osservatore non romano

    @Osservatore

    full approval, great comment!

    Nonostante tutto ritengo utile continuare a leggere, di tanto in tanto, questo blog. Ma è vero tendono ad essere fanatici…

    A volte bastano considerazioni molto più terra terra rispetto alle alte disquisizioni economico-finanziarie dei lor signori: ci dovrebbero infatti spiegare come mai la più grande crisi economica del XX secolo e quella del XXI secolo (si, probabilmente sarà proprio questa che stiamo vivendo) sono entrambe nate negli USA, noto paese socialista, dopo un lungo periodo di deregolamentazione.

    Come anche ci dovrebbero illuminare sul perchè le teorie economiche cosiddette austriache non hanno mai trovato domicilio in nessun paese del globo terracqueo, neppure in Austria a differenza di altre (che comunque sono ben lungi da poter essere considerate perfette o ideali).

    P.s. …mettere in moto anche i vostri ogni tanto….di neuroni intendo…

  5. @Pietro Monsurrò
    l’aumento e la diminuzione degli aggretati maggiori in parte dipende dalla dinamica di M0 (alla fine è una piramide) ma anche dalle decisioni microeconomiche (sai come intendo io il concetto di velocity), per cui si possono formare a seconda della fase del ciclo fenomeni di leveraging e deleveraging; la combinazione di questo e di M0 dà il risultato finale sugli aggregati maggiori. Per ragionare dei prezzi però va messa in mezzo anche la disponibilità di beni e servizi (e i rapporti commerciali o di capitali internazionali). L’esito non è scontato.
    Va da sé che in fase non iniziale della recessione dovrebbe prevalere il deleveraging e una ripresa della produzione, quindi i prezzi devono scendere – e se non è accaduto allora già ci stiamo sciroppando una effettiva inflazione.

  6. @Osservatore non romano
    Se le considerazioni terra terra bastassero a spiegare il mondo, facciamo fuori tutti gli scienziati, tanto ci basta sapere che il sole sale e scende, che ci frega sapere che siamo noi a girarci intorno e che tutti siamo sparati in una direzione del cosmo?

    A volte si confonde il concetto di deregolamentazione con la divisione tra banche commerciali e istituti finanziari o “di credito”, e si guarda comunque solo alla finanza. Il settore finanziario ha da anni una regolamentazione in crescita, prevedendo sempre maggiori vincoli procedurali e quantitativi per la concessione del credito, il dimensionamento del trading, la determinazione delle condizioni, ed i vincoli di capitale. Esistono pure vincoli di composizione dei portafogli speculativi, e il tutto è vigilato in ogni paese da almeno due enti statali, per non parlare delle regolamentazioni scritte delle singole Borse e degli accordi internazionali ISDA su scambio e valutazione dei derivati. La divisione dei segmenti bancari è uno specchietto per le allodole.
    Mentre la regolamentazione cresce, le crisi si fanno più frequenti; questo non lo vuol vedere nessuno.

    Le ultime crisi non sono nate negli USA, sono problemi mondiali che solo sono diventatui evidenti prima negli USA perché è l’economia più finanziarizzata e quindi “veloce”: i cambiamento avvengono prima e più forti; la meno finanziarizzata Italia infatti si trascina e basta…
    E comunque il tutto è venuto fuori per primo nel settore a maggior presenza statale, l’immobiliare USA pieno di sostegni aiuti incentivi e regolamentazioni perché si sviluppasse quanto più possibile.

    L’austrismo non viene adottato da nessun Governo perché semplicemente postula un Governo minimo e la fine delle Banche Centrali; se tu fossi una classe politica adotteresti una filosofia che vuole la tua riduzione quando non la scomparsa?

    Mettiamo pure considerazioni terra terra, ma mettiamocele tutte!

  7. Pietro Monsurrò

    Osservatore non romano:

    non leggi a sufficienza questo blog, evidentemente.

    C’è gente che parla di queste cose dal 1999. Un tizio che conosco lo aveva già scritto a Gennaio 2006…

    http://2909.splinder.com/post/6811789/greenspan

    Io ne avevo parlato già un anno fa:

    http://www.chicago-blog.it/2011/02/07/le-cause-della-crisi-finanziaria/

    Per un’interpretazione più dettagliata:

    http://brunoleonimedia.servingfreedom.net/Mises2009/Pietro_Monsurro–Mises2009.pdf

    Sul mito poi che gli USA sono liberisti (debito 100% del PIL, deficit 10% del PIL, Fed scatenata da trent’anni a salvare i suoi amici banchieri, 30 anni di bailout e protezioni dei mercati finanziari…) non so che dire… ragionare per slogan non è il mio forte e non so controbattere ad un luogo comune privo di fondamento. Ma ho scritto qualcosa a riguardo negli ultimi post del mio blog. Gli USA stanno in pessima salute: vittime di una forza incontrollabile e distruttiva, la politica della democrazia corporativa.

    http://www.linkiesta.it/blogs/mercato-e-liberta

    Poi non se se te ne si accorto… la crisi c’è anche in Europa (purtroppo non vengo adeguatamente remunerato per spargere queste informazioni segretissime). E ha colpito le economie con conti pubblici più disastrati rispetto alle altre.

    Noi abbiamo neuroni da mettere in moto all’occorrenza. Tu ne hai?

  8. potresti chiarire se, quando parli di possibile deflazione dei prezzi, intendi anche i prezzi delle commodities? (eventualmente distinguendo tra energia, agricoltura e metalli preziosi)

    Secondo la teoria austriaca del ciclo economico, non mi pare che il periodo di “bust” sia associato a un crollo dei prezzi delle commodities, ma al contrario ad un aumento. Infatti il malinvestment si rivela proprio nel momento in cui le aziende si accorgono che non possono completare i progetti iniziati; e il motivo per cui non possono essere completati è proprio che i prezzi dei fattori della produzione (tra cui le materie prime) sono saliti in modo da loro imprevisto.

    Invece la tua analisi sembra implicare un crollo dei prezzi delle materie prime, ed il motivo non mi è chiaro. Ti sarei grato per una spiegazione accessibile a un non-economista 🙂

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