1
Dic
2011

Il “modello Marchionne” sfida il “modello Italia”

Sergio Marchionne non smette mai di stupire. Parlando negli Stati Uniti circa la situazione italiana, non ha escluso che se l’Euro dovesse “cadere”, Fiat probabilmente potrebbe bloccare gli investimenti italiani.

Quegli investimenti che stanno arrivando in Italia condizionati da un rinnovamento delle condizioni contrattuali.

È noto da tempo che il mercato del lavoro italiano è troppo bloccato, oltre ad essere dualistico, con un’elevata flessibilità in entrata e praticamente nulla in uscita (tranne per i contratti cosiddetti flessibili).

E le relazioni sindacali dovrebbero essere al centro della politica del Governo Monti nella manovra Finanziaria aggiuntiva del prossimo lunedì 5 dicembre.

Sergio Marchionne indubbiamente sta portando avanti da oltre un anno una politica di innovazione contrattuale che è partita dalla”battaglia” di Pomigliano d’Arco.

L’investimento di Fiat per produrre nello stabilimento campano la Nuova Panda, che tra l’altro è entrata in produzione proprio in questi giorni, era subordinata all’introduzione di un nuovo metodo di lavoro e a un nuovo contratto a livello aziendale.

Questo contratto prevedeva una maggiore flessibilità e produttività, essenziale per Fiat per sopravvivere sul mercato globale dell’auto e sopratutto per cercare di portare “in nero” il settore auto italiano. Investimenti in cambio di produttività, dove gli operai hanno un ruolo centrale ed essenziale nello sviluppo dello stabilimento.

Fiat ha annunciato pochi giorni fa di disdire il contratto nazionale poiché vuole implementare il contratto “Pomigliano” a tutti gli stabilimenti italiani.

La “battaglia” di Marchionne si è estesa a tutta Italia, ma in realtà deve essere vista in un’ottica globale.

L’Amministratore delegato di Fiat sta infatti portando avanti la stessa logica anche oltre Oceano, dove tra Canada e Stati Uniti esistono dei differenziali di costi del lavoro non indifferenti.

Per tale ragione Sergio Marchionne ha chiesto di rivedere i contratti di lavoro canadesi di Chrysler e di portarli a dei livelli simili a quelli degli Stati Uniti. Così facendo la casa automobilistica di Detroit potrà continuare a rimanere competitiva anche in America.

E proprio in questi giorni si sta concludendo l’avventura di Termini Imerese.

Lo stabilimento siciliano è stato costruito con la logica tipica di “cattedrale del deserto”, molto in voga fin dalla fine degli anni Sessanta. La mancanza di collegamenti efficienti verso i mercati di sbocco hanno decretato la morte della fabbrica, dato che per ogni veicolo prodotto vi era un costo aggiuntivo logistico pari a circa 1500 euro.

La morte di Termini Imerese era annunciata e nonostante questo i Governi di “diversi” colori e la Regione Sicilia hanno sempre pensato che lo stabilimento fosse eterno.

Sergio Marchionne ha fatto capire che il mondo moderno non funziona così e un’impresa privata, se vuole sopravvivere, deve eliminare le inefficienze produttive.

Il rischio di non fare ciò, vale a dire non andare verso la produttività, è quello che tutta l’azienda fallisca, con la conseguenza di perdere decine di migliaia di posti di lavoro.

Cosa insegna il “modello Marchionne”?

In un mondo dove la competitività è globale, tipico del settore auto motive, è necessario fare le innovazioni necessarie per poter continuare a fare in un determinato luogo gli investimenti.

Il Governo dovrebbe agire velocemente per togliere tutti quei lacci e laccioli che frenano l’economia e gli investimenti, italiani ed esteri, perché solo in questo modo, la crescita potrà tornare ad essere vigorosa.

La recessione che ci aspetta si spera sia l’ultimo esempio di un’economia affogata dal peso eccessivo dello Stato Italiano.

2 Responses

  1. Mi spiace dover contraddire questa analisi che più che industriale ed economica é politica. In realtà sul Sole 24ore di ques’oggi il confronto delle ore , dei costi e dei benefits tra ‘industria dell’auto tedesca ed italiana erano in bella vista e corretti nei termini. A tutto svantaggio dei lavoratori italiani. Ma a prescindere dalle condizioni di lavoro e di salario, é il punto essenziale degli investimenti che differenzia la Germania dall’Italia. Negli ultimi 10 anni il capitale tedesco ha investito in prodotti e tecnologie. Ha raddoppiato gli investimenti immateriali ed in accordo con l’IG Metal il grande sindacato tedesco che siede in tutti i C.d. A di tutte le Case automobilistiche ha concordato una strategia di alti livelli qualitativi di prodotto in cambio di più alti salari.

    Se questa strategia fosse stata copiata dal leader settoriale italiano ,non saremmo qui .L’Italia ed i suoi produttori stanno divenendo sempre più sub fornitori delle aziende tedesche per incapacità culturale prima e industriale poi.
    Questa é la triste verità . Un solo nome e marchio si salva , guarda caso per investimenti compiuti e non annunciati ; BREMBO. Ma purtroppo di Bombassei ce ne sono pochi. E nonostante non condivida certe sue ideologie ,lo preferisco, come prossimo presidente confindustriale a Squinzi ,per evidenti aperture culturali.

  2. FGA si lamenta che non vende in Italia abbastanza. Come mai i produttori stranieri vendono benissimo in Italia e SENZA gli aiuti governativi che vanno alla FGA. Cassa Integrazione Guadagni ed altro!

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