13
Apr
2010

Euro-dracma, lo spettacolo continua

C’è stato bisogno di un secondo round all’Eurogruppo, domenica  11 aprile, per tentare di evitare ciò che di nuovo era divenuto pressoché inevitabile, cioè la caduta a giorni della tenuta greca nell’eurosistema. In 48 ore, il giovedì e venerdì precedenti, agli occhi di chiunque segua professionalmente i mercati si era manifestata un’onda tale che con certezza avrebbe infranto il malcerto frangiflutti posto tre settimane prime dai Paesi dell’euro. I  volumi di scommesse sui CDS ellenici erano diventati tanto forti, con il premio al rischio saltato a 440 punti base e il record di spread sul decennale tedesco battuto praticamente ogni ora, che entro il 7 maggio il fenomeno sarebbe divenuto incontenibile. Il mercato purtroppo aveva una data, entro la quale esercitare tutta la sua pressione, la data del voto in un Land tedesco entro la quale il governo Merkel non poteva che continuare a ripetere che in nessun caso si sarebbe proceduto ad alcuna decisione aggiuntiva,  oltre a quella del mese precedente che aveva delineato un confuso meccanismo misto di teorici prestiti bilaterali ad Atene, da parte di ciascun Paese dell’euro in proporzione congiunta al peso rappresentato nel capitale della BCE e in quello del FMI. Naturalmente, i fatti si sono incaricati di dimostrare che i tedeschi sbagliavano, come puntualmente era stato scritto all’indomani del primo faticoso eurocompromesso.

E’ stato così necessario indicare  fino a 30 miliardi, la disponibilità immediata dei prestiti ad Atene, per dare una generale raffeddata  alle scommesse sui CDS e rilanciare i mercati finanziari e la tenuta della valuta comune. I primi giorni successivi hanno mostrato che la nuova diga si mostrava più efficace della prima. Ma state attenti: anche all’indomani del primo compromesso la reazione sul breve era stata del tutto analoga. Tranne poi tornare a scommettere in massa sul default, nel giro di una decina di sedute.

In base al precedente, si può e si deve purtroppo ritenere che anche il secondo eurocompromesso non è davvero più efficace del primo. Non è bastato che Italia, Francia e Paesi Bassi abbiano piegato le resistenze germaniche che non non desideravano spingersi oltre la soglia dei 20 miliardi.  E a fare la differenza non sono nemmeno le reazioni furibonde che sono venute in poche ore dalla Germania: la secca previsione del presidente dell’IFO per il quale la Grecia non eviterà comunque di uscire dall’euro, l’annuncio fragoroso da parte di alcuni eurortodossi della denuncia del salva-Grecia all’Alta Corte  di Karlsruhe – l’equivalente della nostra Corte costituzionale- in quanto contrario alla Grundgesetz, la Legge Fondamentale tedesca.

No, purtroppo è l’inadeguatezza delle regole fondamentali europee sin qui seguite, a far concludere con ragionevole certezza che è più che gusto che il mercato ci riprovi, a forzare l’eurodifesa.  Ci sono anni e anni, di fronte a noi, di crescita molto forte del debito pubblico dei Paesi Ocse e dunque anche dell’euroarea. In quella prospettiva, è del tutto insensato pensare di restare con un Trattato che in un articolo afferma stentoreamente che i Paesi membri del club non rispondono dei debiti di un socio singolo, e in un altro articolo invece prevede che in casi di particolare gravità possano essere varati piani straordinari di sostegno ai soci nei guai, con tanto di indicazione di maggioranze qualificate da raggiungere in seno al Consiglio europeo. Naturalmente , la questione non è tanto la revisione del Trattato. Figuriamoci se nell’emergenza della tempesta a contare è il codice di navigazione: quel che serve è il polso sicuro di chi sta al timone.  In altre parole, serve un’inequivoca attestazione di volontà politica, da parte di tutti i membri del club dell’euro a cominciare proprio dal più renitente: la Germania. Una dichiarazione che attesti in maniera  netta  e definitiva che non conta se si sono ammessi nell’euro con leggerezza Paesi che in realtà non erano in regola coi requisiti, e che hanno addirittura truccato i bilanci per punti e punti di Pil. Quel che conta è che nella tempesta attuale l’euro comune da difendere viene prima delle forche caudine per chi ha cicaleggiato, perché se dall’euro esce la Grecia poi toccherà al Portogallo e poi alla Spagna, e questo non può convenire a nessuno perché significherebbe aver buttato nel pozzo trent’anni, dal Serpente monetario allo SME.

Chissà se i tedeschi lo capiranno, che conviene per primi a loro, dirlo con chiarezza prima che il mercato riprenda altrimenti a fare il suo mestiere: che dovrebbe essere, in presenza di informazioni attendibili e non tropo asimmetriche come spesso purtroppo succede, punire i deboli e gli ipocriti.

Non significa affatto bandire l’idea che i Paesi possano fallire: possono fallire eccome, e spesso è più che giusto che accada, e che eventi traumatici alla loro moneta accompagnati da ripudio parziale o totale del debito consentano di ripartire, grazie a energici programmi di ritrutturazione e rilancio della competitività, oltre che ferree regole di finanza pubblica. Ma per una’area valutaria comune europea, ammettere l’ipotesi che possa accadere senza che i soci si sostengano reciprocamente significa solo che l’idea di un mercato comune che non fosse una pura area di scambi più liberi e per il resto ognuno fsacesse come crede, è stata solo una penosa menzogna.

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9 Responses

  1. Ad oggi, si conferma che è certamente stata una penosa menzogna. Quanto alla Grecia, ribadisco la mia visione: solvibilità di breve acquisita, rischi di default di medio termine invariati, cioè altissimi. L’esito più probabile è un debt restructuring con un taglio del 30-40 per cento del valore nominale del debito greco. Resta da capire, se questo scenario dovesse avverarsi dopo l’utilizzo dell’europrestito, che accadrà di quel credito. Verrà negoziato con privilegio del creditore (magari con garanzie aurifere, ma sarebbe troppo per l’orgoglio nazionalistico greco) o andrà “pari passu” con i titoli già emessi? In quest’ultimo caso avremmo il danno e la beffa. Ma forse mi sto portando troppo avanti…

  2. Pietro M.

    I problemi di competitività posti in luce dal WSJ come si sono evoluti? C’è un piano per tagliare i costi del lavoro del 30% (:-D) o il piano si riferisce solo al debito pubblico? Se il problema è il primo, la Grecia è spacciata indipendentemente da ciò che fa il FMI o la Germania. Per un 30% di salari di troppo gli USA si sono beccati 12 anni di depressione… con Hoover che applaudeva alla rigidità salariale per sostenere la domanda e Roosevelt che istituzionalizzava le scemenze del suo predecessore. Figuriamoci che possono fare in Grecia…

  3. Beppe

    Dott. Giannino, continuo ad avere un dubbio.
    Nel suo presente articolo, ma anche in uno di Plateroti del 9 aprile e in diversi altri commenti, si dà per scontato che una debolezza dell’euro sia dannosa per tutti e ancora non sono riuscito a capire le ragioni di ciò. Quel che leggo in giro è che da un default greco ci sarebbero conseguenze per alcune banche francesi e tedesche. Poi immagino che il Portogallo seguirebbe a ruota, con conseguenze simili. Il rischio per Spagna e Irlanda aumenterebbe molto, con un eventuale duro colpo alle banche tedesche. Ma poi? Nessun dato sull’andamento dell’export extra-euro negli ultimi 2 mesi? La mia ditta ha visto un aumento incredibile, che ci sta finalmente dando l’ossigeno indispensabile dopo il 2009. E’ sbagliato pensare che un euro basso cambierebbe i rapporti commerciali nel mondo a vantaggio delle nostre esportazioni? E se l’Italia non è particolarmente esposta ai debiti dei PIGS, non è che noi avremmo un vantaggio netto se la Gracia andasse in default? Esiste davvero un’identità di interessi nell’eurozona?

  4. Enrico Castro

    @Beppe: Il problema è che a loro volta i titoli delle banche tedesche e francesi sono posseduti dalle altre banche europee (tra cui ad esempio le banche italiane che hanno un cospicuo portafoglio di titoli di banche tedesche); pertanto il default della Grecia avrà delle pesanti ripercussioni sull’intero sistema bancario europeo con conseguente stretta creditizia.

  5. mario fuoricasa

    …In Irlanda hanno tagliato gli stipendi mediamente del 30% e ridotto i dipendenti pubblici, mentre alle nostre latitudini encefalogramma piatto.

    mario fuoricasa

  6. Il problema tedesco è che si sono comportati come dei levantini, ossia nel modo approvato da questo articolo.

    Ragionando soprattutto come nell’ultimo paragrafo, non sarà mai tempo di lasciare chi sbaglia al proprio destino; per colpa di questa stessa mentalità si è lasciato che il Trattato di Maastricht fosse reso lettera morta dalle violazioni di tutti i paesi membri, ponendo le basi per la speculazione sulla Grecia. La speculazione al rialzo, intendo, in atto da 15 anni, non quella al ribasso, di cui si parla soltanto perché impedisce alla classe politica di avere la botte piena e la moglie ubriaca.

    Potrà sembrare un paradosso, ma coloro che hanno scommesso contro la Grecia non sono gli speculatori: sono gli unici che hanno espresso una posizione basandosi sui fondamentali economici. I veri speculatori sono coloro che hanno scommesso sulla retorica politica. Per dieci anni, infatti, nessuno si è mai preoccupato della speculazione di coloro che hanno acquistato debito greco ad ogni prezzo, scommettendo sulla dimostrata codardia dei politici, incapaci di prendere decisioni dolorose sino a quando non è troppo tardi.
    E’ stato questo ragionamento che ha creato la bolla sui titoli di stato della periferia europea, se di bolla si può parlare. Dal punto di vista degli acquirenti, è perfettamente razionale: infatti, il Pantalone tedesco adesso è costretto a pagare per i propri errori ed il lassismo nell’imporre disciplina di bilancio. Salvare la Grecia non aiuterà nessuno: permetterà soltanto di continuare a fingere che tutto vada per il meglio, sino all’ennesima crisi.

    Esiste un unico modo per far fare al mercato il proprio lavoro: lasciarglielo fare, da subito. Altrimenti, torneremo sempre in situazioni simili a quella che stiamo vivendo adesso.

  7. Beppe

    Enrico Castro :
    @Beppe: Il problema è che a loro volta i titoli delle banche tedesche e francesi sono posseduti dalle altre banche europee (tra cui ad esempio le banche italiane che hanno un cospicuo portafoglio di titoli di banche tedesche); pertanto il default della Grecia avrà delle pesanti ripercussioni sull’intero sistema bancario europeo con conseguente stretta creditizia.

    Ah, quindi dici che il problema è il solito effetto leva e che l’aumento delle esportazioni extra-euro non va confrontato con i crediti in pericolo in Grecia, ma con un loro multiplo?
    Ok, grazie mille per il chiarimento.

  8. Stefano

    Un default della Grecia, a prescindere da cosa succede nell’interazione tra le banche e i loro clienti, dovrebbere essere una pericolosa impennata del rischio percepito anche sui paesi quali Portogallo, Spagna, Italia…. Tutti dovrebbero pagare di piu’ nel tentativo di rifinanziare il proprio debito…..innescando una spirale di tagli di spesa pubblica/aumento tasse che indebolirebbe la ripresa (?) economica di una bella fetta della nostra cara Europa.

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