14
Set
2012

Dell’inutilità delle quote rosa nei CDA

Se a un napoletano (come me) chiedete a bruciapelo se sia il caso di riservare una quota minima di canzoni napoletane al prossimo Festival di Sanremo molto probabilmente vi risponderà di sì. Così, istintivamente. Se poi alla stessa persona chiedete il vero perché di quella risposta affermativa, il balbettio potrebbe immediatamente diventare imbarazzante. Un fenomeno analogo riguarda le quote rosa. Chiedere a delle donne se sono d’accordo credo che inneschi lo stesso tipo di riflesso delle canzoni napoletane.
Se poi discutete delle quote rosa in pubblico tutti si dicono favorevoli, forse perché “è bene” avere un’opinione favorevole. Poi, in disparte, gli stessi che si erano detti d’accordo bisbigliano nell’orecchio che in realtà la pensano al contrario ma che non è il caso di entrare in disputa perché tanto “la legge è già stata approvata” e c’è poco da fare.
Provare per credere, io l’ho fatto ieri davanti a un aperitivo. L’esperimento procede come segue. Si comincia col chiedere a un gruppo di amici, assortiti nel genere (mi raccomando: altrimenti l’esperimento è viziato all’origine per cattiva scelta del campione scientifico): sareste favorevoli a imporre quote minime nei cda riservate alle minoranze etniche (anche questa è tutela della diversity) delle società quotate? La risposta è corale: naturalmente no! Seconda domanda: però sarete sicuramente favorevoli a imporre una quota minima di partecipazione ai diversamente abili, noh? Analoga la risposta: no! Procedete con domande dello stesso tono e la risposta sarà, più o meno, sempre la stessa: NO! Infine, ponete la domanda fatidica: e di quote minime a favore delle donne, vogliamo cominciare a parlarne? A questo punto, scatta il sorriso (si badi: di uomini e donne!) e la voglia di riprendere a bere lo spritz tanto la domanda sembra fuori luogo.
Chi scrive, nell’umiltà del suo lavoro universitario, cerca sempre di inseguire a fatica evidenze scientifiche, e non solo opinioni. E l’evidenza disponibile, ad oggi, dice che dei vantaggi associabili all’imposizione non si ha certezza. Visto che i difensori della legge Golfo-Mosca si fidano solo di ciò che dicono loro, il Parlamento, la Commissione Europea e le non-profit “pro-donne” (Istituzioni per le quali il sottoscritto ha rispetto ma certo non il timore) e non di quello che verificano oscuri centri di ricerca scientifica segnalo, a titolo di esempio, una bella rassegna di Daniel Ferreira su “Board Diversity” (2011) nella quale si dà evidenza di questa incertezza (a voler essere buoni) che ancora circonda il contributo delle donne ai risultati delle società (che poi è l’aspetto che conta, credo). Anzi, è solo dove le donne sono state cooptate volontariamente che si ottengono i risultati migliori.
Inutile dire che le riflessioni precedenti possono provenire solo da chi, come me, ha stima e incanto della Donna e si ostina a non volerle considerare come una riserva indiana ma come l’altra metà (quella più blu) del cielo.

6 Responses

  1. Elena

    Io sono un ricercatore…non mi sento discriminata perché sono una donna!
    Vi prego….risparmiateci le ‘quote rosa’…sono un insulto all’intelligenza. Grazie

  2. Giordano

    grande elena! se si è intelligenti si va avanti, uomini, donne, transgender, triple x, drag queen…… chiunque, basta sia intelligente. @Elena

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