5
Set
2010

Da Bric a Bric-Africa. Secondo Kharas, perché no?

Offrendo la sua opinione sui possibili scenari geoeconomici degli anni venire, l’economista Homi Kharas (del Brookings Institution) ha ipotizza oggi su “Il Sole 24 Ore” l’ingresso dell’Africa sub-sahariana tra le aree emergenti. L’idea è che il Bric (Brasile, Russia, India e Cina) possa insomma diventare un “Bric-Africa”.

Non solo lo studioso ricorda che secondo le previsioni dell’Fmi il continente nero nel periodo 2010-15 crescerà più rapidamente del Brasile, ma sottolinea i notevoli punti a favore degli africani, sottolineando in particolare: “grosse dimensioni, crescita rapida, forza del lavoro giovane e in aumento”.

Nessuno, e certamente in cuor suo non lo fa neppure Kharas, può certo nascondersi le difficoltà dell’economia di questa parte del mondo: sistemi politici oppressivi, una scolarizzazione scadente e infrastrutture di scarsa qualità, ma soprattutto una limitata presenza di garanzie giuridiche (su proprietà e contratti, in particolare), insieme a un quadro politico dominato da poteri arbitrari e una terribile incertezza.

Gli elementi di ottimismo, rafforzati dai massicci investimenti provenienti dalla Cina, vanno quindi bilanciati con considerazioni più prudenti. Il riferimento di Kharas alle dimensioni significative di quest’area (dal punto di vista demografico e territoriale) va accoppiato alla considerazione che la costruzione – da parte europea – di Stati nazionali durante l’età moderna ha portato a edificare frontiere commerciali assai alte. E molto dannose alle prospettive di crescita.

Per giunta, è ovvio che nessuna possibilità di uno sviluppo solido e duraturo ci potrà essere entro contesto di guerra.

Uno dei capisaldi della teoria liberale è che l’autonomia individuale è premessa fondamentale della crescita, ma un altro è che non vi è la minima speranza di preservare un orizzonte di diritto – anche minimo – entro un quadro dominato dai conflitti. In  questo senso, va detto che gli europei, purtroppo, non si sono limitati a costruire sul continente africano un ampio numero di Stati nazionali sul modello europeo (in larga misura, macchine da guerra), ma l’hanno fatto inglobando e obbligando alla convivenza etnie diverse e spesso tradizionalmente ostili.

Nonostante questo, è ragionevole aggiungere un altro elemento di ottimismo.

Se raffrontiamo ad esempio Cina, India e Africa sub-sahariana dobbiamo constatare che la più debole e arretrata di queste tre realtà potrà contare, negli anni a venire, su una competizione istituzionale che sarà assai meno presente negli altri casi. In sostanza, se è vero che l’esistenza di più di trenta Stati comporta anche problemi (barriere ai commerci, in primo luogo), essa offre soprattutto l’opportunità di vedere all’opera modelli istituzionali e quindi anche economici differenti. Già ora è significativo che la relativa superiorità delle società di tradizione britannica su quelle di colonizzazione francese suggerisce una serie di considerazioni a intellettuali e politici africani: sul contrasto tra civil law e common law, ad esempio, e sulla loro compatibilità con le tradizioni locali.

In particolare, sarà importante che gli africani sappiano individuare le realtà di (relativo) successo e, in questo modo, adottino progressivamente le soluzioni più adatte. È vero che per fare questo esiste già ora un’ampia gamma di sistemi da studiare collocati fuori dall’Africa. Ma è ragionevole ritenere che una serie di problemi e quindi di soluzioni possibili siano specifici di quell’area e che quindi possano essere le scelte compiute in Ghana o in Botswana a rappresentare occasioni di riforma.

Nella vicenda asiatica, è difficile sottovalutare il ruolo esemplare giocato da realtà come Hong Kong o Singapore: per limitarsi a scegliere casi davvero estremi. Bisognerà allora che gli africani, e non solo loro, sappiano osservare ciò che avviene nei diversi Paesi e inizino a sperimentare – ogni volta che è possibile – quanto è produttiva la libertà economica. Perché c’è soprattutto bisogno di innovatori e modelli di successo.

1 Response

Leave a Reply