2
Lug
2014

Capacity payment: la fine del mercato elettrico per come lo conosciamo?

Con un decreto ministeriale firmato dal viceministro dello Sviluppo Economico Claudio De Vincenti, è stata approvata la nuova disciplina del mercato della capacità elettrica. Si tratta di un cambiamento profondo nel disegno di mercato, che segna in modo forse irreversibile, nel nostro paese, la liberalizzazione elettrica.
La vicenda del capacity payment è lunga e, per certi versi, paradossale: difficilmente, però, a questo punto la corsa verso la rivisitazione del nostro mercato elettrico poteva essere fermata. Il progetto è stato concepito nel 2011, e ha avuto un’evoluzione tortuosa e non priva di rallentamenti. La vera svolta è stata l’emanazione del decreto “Destinazione Italia” del 23 dicembre 2013, che di fatto innescava la slavina. A quel punto i passi erano segnati, come conferma peraltro l’urgenza con cui l’Autorità per l’energia ha gestito l’ultimo documento di consultazione, poche settimane fa, il quale delineava gli orientamenti finali del regolatore.
L’introduzione di un mercato della capacità comporta, se non un ribaltamento, quanto meno un significativo cambiamento di strada rispetto all’impostazione che finora ha caratterizzato il mercato elettrico italiano: da un mercato dell’energia, infatti, esso è destinato a diventare sempre più un mercato della capacità produttiva. Il che implica che il modello di fondo si allontana da quello della concorrenza nel mercato, per avvicinarsi a quello della concorrenza per il mercato. Gli studiosi sono divisi sul tema: tuttavia appare evidente che a guidare l’introduzione del capacity sono motivazioni più politiche che tecniche, ora vagamente nobili (prevenire problemi di sicurezza e adeguatezza del sistema e i conseguenti picchi di prezzo) ora più prosaiche (soccorrere un settore termoelettrico messo in ginocchio dal calo della domanda e dal boom delle rinnovabili sussidiate). Nel complesso, però, i mercati della capacità si avvicinano molto alla definizione che ne ha dato Benedict De Meulemeester: “soluzioni costose per un problema che non esiste”.
Tra le tante ombre, si distinguono però alcune luci (o almeno alcune penombre), nel senso che le cose potevano andare molto peggio. Anzitutto è apprezzabile la scelta originaria dell’Autorità – se capacity deve essere – di demandare le modalità di remunerazione della capacità a un sistema di aste anziché a un meccanismo amministrato, anche se il beneficio derivante dalla procedura competitiva rischia di essere vanificato dall’introduzione di un cap e soprattutto (nelle concrete condizioni in cui si trova l’Italia) di un floor. Secondariamente, ha fatto bene il governo a mettere una serie di paletti: in particolare, la valutazione di adeguatezza della capacità (da cui dovranno derivare i contingenti messi a gara) dovrà tenere conto “degli effetti positivi derivanti dallo sviluppo delle reti e delle interconnessioni con l’estero”. Inoltre, come peraltro aveva evidenziato l’Istituto Bruno Leoni nella sua risposta alla consultazione dell’Aeegsi, viene chiarito che le aste devono essere aperte alla partecipazione della domanda, così come viene enfatizzato il requisito della neutralità tecnologica. Infine, sulla determinazione di cap e floor viene introdotto un vincolo legato in qualche modo a un’analisi dei costi e dei benefici.
In altre parole, forse la macchina del capacity era in uno stadio così avanzato da non poter essere più messa in discussione, e in quest’ottica l’esecutivo sembra essersi orientato alla minimizzazione del danno. Certamente, però, rimane il fatto che da ora in poi il mercato elettrico, pur con tutti i suoi limiti evidenziati anche nell’Indice delle liberalizzazioni, non sarà più lo stesso. Ammesso che, tra sussidi alla produzione, regolamentazione dell’offerta, ingessature varie della domanda, e ora anche capacity market, si possa ancora parlare di mercato.

4 Responses

  1. alberto

    Commento a latere: anche in UK le aste sono non discriminatorie rispetto alla tecnologia e la CE dice la stessa cosa, che trovo sbagliata. Aste ‘per tecnologia’ (come succede in LatAm) consentono al consumatore di riappropriarsi (di parte) della rendita inframarginale. Nel caso UK peraltro, si e’ scelto di fissare il clearing price delle aste con l’SMP: altro errore secondo me, poiche il pay-as-bid avrebbe consentito prx piu bassi; nel casi italiano o tedesco la sovracapacita’ e’ tale che probabilmente i prx inizialmente rimarranno bassi independemente dal sistema di fissazione del prx, ma in futuro i potrebbero alzarsi anche di molto. In UK il rischio che i prx delle aste siano vicini al NETCONE e’ invece gia adesso un rischio reale

  2. Bob

    Certamente una prosa meno ermetica farebbe capire il nocciolo della questione in maniera meno bizantina; mi permetto di obiettare che un po più di semplicità nell’esposizione non guasterebbe….potrebbe riscriverlo in termini più semplici e chiari? O sta trasmettendo un codice Enigma? Che sistema di cifratura adotta?

  3. Ennio

    Bob. Sono perfettamente d’accordo. Si leggono articoli lunghissimi che alla fine dicono poco e nella incompressibilita’. Scrivere poco e chiaro come faceva il grande Montanelli!

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