22
Nov
2009

“Non aes, sed fides”, ovvero il guanto di Jacko e l’inflazione alle porte

Un lancio di agenzia (la fonte è la Reuter) ci racconta che “il guanto bianco indossato da Michael Jackson quando nel 1983, per la prima volta, eseguì il Moonwalk – il suo celeberrimo passo di danza – è stato venduto ieri all’asta per 350.000 dollari”. Il testo prosegue in questo modo: “Ottimo risultato anche per la giacca indossata da Jackson nel ‘Bad’ tour del 1989, venduta a 225.000 dollari. Insieme ai cimeli del Re del Pop, che era il pezzo forte dell’asta – che si è svolta all’Hard Rock Cafè di New York, in Times Square – sono stati venduti centinaia di oggetti legati alla storia del rock’n’roll”.

Prescindendo dalle preferenze musicali e dal giudizio morale che ognuno può esprimere sul divismo, una cosa si può affermare con la ragionevole convinzione di essere dalla parte della ragione: che chi ha comprato questi cimeli del pop musicale contemporaneo al fine di trarne un beneficio economico (altra cosa, ovviamente, è se gli acquirenti sono autentici fan) non pensa di fare il “cassettista” di lungo termine. Il guanto di un cantante non è un quadro di Tiziano, e se oggi Michael Jackson è un mito per molte persone, è probabile che la sua fama sia assai minore tra vent’anni, e quasi nulla tra mezzo secolo. Con prevedibili conseguenze per la quotazione dei pezzi ricordati.

Da questo bisogna dedurre che acquistare quel guanto o quella giacca siano stati pessimi affari? No, non si può dire. Tutto dipende dal timing, dal fattore-tempo, perché è possibile (anche se è arduo fare vaticini in materia) che questi oggetti possano essere rivenduti tra sei mesi o tra un anno a un prezzo ancora superiore. Probabilmente, tra quanti operano in tale settore molti sarebbero pronti a sottoscrivere quanto sopra si è detto in merito al probabile deprezzamento di lungo periodo di quei capi d’abbigliamento del cantante americano, ma in questo contesto il lungo periodo conta poco.

C’è allora un’analogia tra il guanto di Jacko e larga parte dell’economia finanziaria.

In fondo, fino al recente crash che ha squassato i mercati, gli operatori di mercato hanno realizzato significativi profitti vendendo e comprando all’interno di un sistema fatto letteralmente impazzire dall’interventismo pubblico e soprattutto dalla politica monetaria, all’origine di bolle a ripetizione. Che la situazione, prima o poi, sarebbe saltata erano i parecchi a saperlo, ma in fondo tutti confidavano nel poi. Esattamente come chi oggi opera in modo speculativo nel vestiario dei divi, ci si illudeva che un dato titolo o una data valuta potessero reggere a sufficienza. È però il gioco del cerino, in cui ognuno passa all’altro la piccola fiammella e sa bene che, ad un dato momento, qualcuno si scotterà le dita.

Questa considerazione può essere utile a capire la situazione presente. Mancano infatti le condizioni elementari perché ci possa essere una vera fiducia nei riguardi delle fondamentali istituzioni economiche e della loro solidità. Quella fiducia che, invece, permise al sistema monetario scozzese di svilupparsi entro una logica di free banking (la cui razionalità di fondo è bene illustrata da Kevin Dowd nel suo formidabile volume ora pubblicato da IBL Libri, Abolire le banche centrali), o che a metà Cinquecento permise ai Cavalieri di Malta, alle prese con gravi problemi, di coniare monete di bronzo come se fossero d’argento: riportando su un lato della moneta l’espressione non aes, sed fides (non bronzo, ma fiducia).

Because of the critical financial difficulties following Malta’s Great Siege of the Turks against the Knights in 1565, and to have funds to pay the several thousand labourers engaged in the building of the new city of Valletta, the Order found it expedient to strike fiduciary copper coins. The reverse side of these coins depicted clasped hands surrounded by the legend ‘NON AES SED FIDES’, (Not Money But Trust). According to Giacomo Bosio, historian of the Order, Grand Master Jean de La Vallete (1557-1568) promised to redeem these copper coins in “noble metal” and also fixed their rate of exchange at par not only with Maltese silver coins but also with Sicilian silver pieces. (Testo tratto dal sito della Banca centrale maltese).

La cosa ha retto fino a quando – è ben spiegato sempre nel sito sopra ricordato – il Gran Maestro Jean-Paul Lascaris Castellar (1636-1657) ha smesso di seguire una politica monetaria prudente e in tal modo ha generato un’inflazione galoppante.

Tra l’altro, del rischio di un’iper-inflazione all’orizzonte ha parlato la scorsa settimana anche Nassim Taleb, l’autore de Il cigno nero, nel suo intervento milanese al “Discorso Leoni”. Appunto.

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