17
Lug
2009

Se Bruxelles fa cascar il pan di mano

Come ricorda molto bene la FAZ, quotidiano bibbia dei liberali e dei conservatori tedeschi, la Corte Costituzionale teutonica avrà anche tanti difetti (a noi invece è garbato molto l’approccio prudente dei giudici di Karlsruhe e non condividamo affatto i recenti attacchi in salsa un po’ “montiana” di chi su Lisbona avrebbe preferito una delega in bianco a Bruxelles);  avrà anche i suoi difetti, dicevamo, ma non si è certo mai prodigata di stabilire se una pagnotta o un croissant debbano prima essere pesati e poi prezzati o viceversa. La tradizione della vendita al dettaglio tedesca, così come quella italiana, semplicemente non lo prevede. E spacciare per tutela del consumatore una misura così smaccatamente dirigista è offensivo per l’intelligenza dei consumatori stessi. Di qui l’ennesima protesta dei panificatori tedeschi contro tale grottesca direttiva proveniente da Bruxelles, che vieta di mettere in vendita una brioche o una pagnottina senza averla prima pesata.  La precedente polemica, altrettanto assurda, la trovate qui.
In ultimo, una breve considerazione. Finché l’approccio delle istituzioni comunitarie all’integrazione europea sarà di questo tenore (ovvero di diretta ostilità verso le “libertà del produttore”), dubito che anche la gente comune possa apprezzare quel che di positivo ancora fa e promuove la Commissione. D’altra parte, va preso atto che tale ritrosia verso l’UE ha due facce: quella nazionalista e protezionista da un lato e quella cui sono cari concetti quali la sussidiarietà e la concorrenza. Non ogni strepito rivolto a Bruxelles va confuso con le pur sempre risorgenti velleità neo-bismarckiane di qualche politico tedesco.

*Qui una lettura un po’ diversa e lontana dal solito mainstream della sentenza della Corte Costituzionale tedesca sul Trattato di riforma.

16
Lug
2009

Più patrimonio alle imprese: ho perso

Giorni fa su questo blog vi ho accennato all’idea di un Fondo Italia per ripatrimonializzare l’impresa. Con sincera e tempestiva onestà devo comunicarvi che l’idea è stata bocciata. Stamane Confindustria ha sollevato la questione, nell’incontro con Tremonti e ABI per avviare il confronto sull’avviso comune per la moratoria di un anno su interessi e restituzione del capitale relativi ai prestiti bancari alle aziende. Al ministro è stata prospettata la necessità di incentivi alla ripatrimonalizzazione volti a rendere più “sicuri” i crediti bancari alle imprese, stante anche la sottopatrimonializzazione cronica del nostro sistema, tallone d’Achille largamente preesistente alla crisi e specchio della larghissima prevalenza di piccole aziende nel nostro Paese. A Tremonti sono tate prospettate altre due strade, oltre al Fondo Italia che vi avevo illustrato: un meccanismo di compartecipazione bancaria incentivata, con un multiplo di conferimento pari o 3 o 4 rispetto all’apporto diretto di capitale da parte dell’imprenditore;  un’esenzione fiscale inizialmente pressoché totale e poi a scalare nel tempo ai fini della formazione del reddito lordo ‘impresa, per l’apporto patrimoniale del solo imprenditore. Tremonti, come purtroppo supponevo, ha scelto quest’ultima strada. Solleva le banche da qualsiasi intervento, e non mette la faccia del governo su un’operazione mista pubblico-privato ma a prevalenza privata, come quella che avevamo immaginato noi. È una grande occasione persa: peccato. Capisco che Emma Marcegaglia all’assemblea dell’Unione industriale di Macerata in corso in queste ore abbia annunciato il sì del ministro come una vittoria di Confindustria. Ma temo proprio che in questo modo non si arriverà neanche a un decimo, di quei 30-40 miliardi di ricapitalizzazione possibili con l’idea del Fondo, che avrebbero potuto agevolmente condurre ad alcune centinaia di miliardi di euro di impieghi bancari alle stesse aziende così rafforzate. Basta vedere la “cosiddetta” riforma pensionistica varata ieri: direi che proprio non è tempo di idee coraggiose:  Eppure, ciò non ci esime dal dovere di pensarle e di proporle. Anche se vengono bocciate, il nostro mestiere è un altro.

16
Lug
2009

Trimestrali da record, è la volta di Jp Morgan

Ricavi record per 27,7 miliardi di dollari per Jp Morgan nel secondo trimestre 2009. Il colosso bancario statunitense ha battuto il consensus che era fermo a 25,4 mld. Oltre le attese anche gli utili. L’utile netto si è attestato a quota 2,7 mld di dollari dai 2 mld dell’analogo trimestre del 2008. L’Eps risulta pari a 0,28 dollari rispetto agli 0,05 dollari attesi. Sull’utile per azione ha pesato il rimborso del programma Tarp (Troubled asset relief program) per 0,27 dollari e la valutazione speciale del Fdic (Federal Deposit Insurance Corp) per 0,10 dollari. Per chi volesse seguire la conference call dell CFO, ecco il link.

Jp Morgan è l’unica big bancaria statunitense che dallo scoppio della crisi nel 2007 è sempre riuscita a riportare conti trimestrali in utile.

Andando nel dettaglio si nota come a trascinare i conti siano ancora una volta le voci legate alle attività core del gruppo, in particolare gli utili da intermediazione e le commissioni derivanti da attività di banca d’investimento, che hanno più che compensato i crescenti default su prestiti al consumo e carte di credito.

Utile per divisione:

INVESTMENT BANK $1471 (+273%)

CORPORATE/PRIVATE EQUITY $808

ASSET MANAGEMENT $352 (+11% su Q2 08′)

TREASURY & SECURITIES SERVICES $379 (-11%)

COMMERCIAL BANKING $368 (+4%)

CARD SERVICES $(672) (valore positivo nel 08’+$250)

RETAIL FINANCIAL SERVICES $15 (-97%) di cui Retail Banking £970 e Consumer Lending $(955)

La banca ha reso noto inoltre di aver erogato nuovo credito per circa 150 miliardi di dollari nel secondo trimestre e di aver aumentato a 9,7 miliardi di dollari gli accantonamenti contro future perdite sul credito erogato, in rialzo rispetto ai 4,29 miliardi di un anno ma in calo rispetto ai 10,07 miliardi del primo trimestre. Non è di buono auspicio per il settore l’accantonamento di 4,6 miliardi per perdite legate alle attivita’ della divisione carte di credito. Il totale delle riserve per attivita’ di concessione del credito infine e’ salito ora a quota 30 miliardi di dollari.

Infine va ricordato il rimborso, effettuato il mese scorso, pari a 25 miliardi di dollari di aiuti di stato, oltre al pagamento di 795 milioni di dollari di dividendi.

16
Lug
2009

Ancora sulle pensioni tedesche

Lastenverteilung in der gesetzlichen Rentenversicherung<br/>(zum Vergrößern klicken)Al nostro post di metà maggio sulle pensioni tedesche ha purtroppo fatto seguito un silenzio assordante. Nessun organo di stampa si è degnato di riportare una notizia così maledettamente importante. Sarà che il nostro paese è leader incontrastato in quanto a debito pensionistico; fatto sta che il blocco all’aggiustamento delle pensioni fissato ope legis dal governo di Große Koalition non ha fatto più di tanto scalpore qui da noi. In questi giorni la Rentengarantie (così si chiama questa trovata pre-elettorale) è però balzata nuovamente agli onori della cronaca per un doppio ordine di questioni.

Innanzitutto il Ministro delle Finanze Peer Steinbrück è ritornato sulla faccenda in maniera un po’ grottesca, definendo la normativa voluta dal collega Olaf Scholz e da lui stesso approvata non più di due mesi fa, irresponsabile e contraddittoria  rispetto al nuovo corso di contenimento della spesa pubblica (su quest’ultima affermazione ci sarebbe da sgranare gli occhi e farsi una bella risata..). Sia come sia, Steinbrück, caso mai ce ne fosse stato bisogno, ha contribuito con la sua proverbiale saccenza a mettere in ulteriore difficoltà il partito socialdemocratico ad appena due mesi dalle elezioni federali. Come dire: alla signora Merkel non serve affatto spremersi le meningi per la campagna elettorale, tanto ci pensa l’Spd a fare tutto, maggioranza ed opposizione ad un tempo. Volete mettere che goduria?

Il secondo motivo è da legarsi ad uno studio del think tank INSM che ha calcolato l’aggravio per le casse statali della prebenda elettoralistica. Ai lavoratori che pagano i contributi assicurativi e ai contribuenti la misura costerà la bellezza di 46 miliardi di euro, con aumenti già a partire dall’anno prossimo. Ma il governo non soltanto ha promesso la luna- ovvero che le pensioni -come per magia- non scenderanno più, ma ha altresì giurato che fino al 2020 il contributo assicurativo non supererà quota 20%. Insomma, la botte piena e la moglie ubriaca. Intanto sin dall’anno prossimo la spesa pensionistica comincerà a salire vertiginosamente. Se si mette in conto che una quota sempre minore di occupati dovrà sostenere un numero sempre maggiori di pensionati (vedi figura) e che l’aumento graduale dell’età pensionabile a 67 anni a partire dal 2012 (e a finire nel 2029) è stato di recente nuovamente messo in dubbio dall’Spd, la situazione anche in Germania appare tutt’altro che rosea.

*Aggiungo che i miliardi di aggravio  diventano ancora maggiori (ossia circa 73) se si contano i “tricks” degli anni scorsi, primo fra tutti il congelamento temporaneo del cosiddetto “Riester-Faktor”, elemento introdotto nel 2001 per consentire la formazione di pensioni integrative private. A tal proposito linko un articolo tratto sempre dal blog di INSM.


15
Lug
2009

Banche, promesse e debiti

Dice il Bollettino di Bankitalia reso noto oggi che raddoppiano le esposizioni dei prenditori in sofferenza, e naturalmente il presidente dell’ABI Faissola continua a ripetere che è un’invenzione la restrizione di credito alle imprese. Domani mattina incontro tra Confindustria, ABI e Tesoro sulle modalità applicative dell’annunciata moratoria di un anno degli interessi dovuti dalle imprese alle banche, strumento sul quale ribadisco personalmente molti dubbi. Le banche, questo è certo, spuntano una nuova consistente sforbiciata al proprio imponibile, dopo quelle già ottenuta un anno fa sul riallineamento dei valori storici degli avviamenti. Come poi si possano obbligare gli istituti ad attuare l’avviso comune, pur una volta che davvero l’ABI lo avesse sottoscritto, su questo punto esistono problemi di costituzionalità a mio avviso non proprio secondari. Nel frattempo, nessuno se n’è accorto, tranne noi e gli amici di MercatoLibero con cui tante volte abbiamo condotto battaglie comuni quando dirigevo un quotidiano, ma nel frattempo che le banche intonano il “tutto ben madama la marchesa” il valore dei loro intangible asset ha finito per diventare maggiore della loro capitalizzazione. Gli intangible, com’è noto, sono quelli che si azzerano in caso di fallimento: dunque bisognerebbe andarci piano e svalutarli, quando diventa assolutamente evidente che il loro valore gonfiato altera in maniera esiziale la credibilità dello stato patrimoniale. Per capirci, oggi a Intesa gli asset intangibili valgono 28,9 miliardi a fronte di una capitalizzazione della banca di poco superiore ai 27, a Unicredit valgono 27 miliardi per una capitalizzazione che supera di poco i 28, e a MPS pesano addirittura 8,5 miliardi con una capitalizzazione della banca inferiore ai 6. Sarebbe il caso che Bankitalia almeno dicesse qualcosa? E’ vero che Draghi ripete incessantemente che le banche devono ricapitalizzarsi, ma forse un esplicito avviso sugli intangibile sarebbe appropriato. Che almeno le nuove regalie fiscali – che alle imprese sono negate – avvengano a fronte di svalutazioni consistenti … Per chi volesse poi fare un po’ di conti, qui i grafici aggiornati da Barry Eichengreen e Kevin O’Rourke che provano ineluttabilmente che stiamo andando decisamente peggio del 1929, per via delle banche. Allegria… Ma in Italia ora parte la grande commedia polemica dello scudo fiscale, ovvero dell’arte di come dividersi sull’utile inessenziale, rispetto al necessario essenziale che non si può citare per non irritare i banchieri.

15
Lug
2009

Ci siamo, Obama alza le tasse

Obama lo ripete sempre, che tutto il necessario che occorre fare per uscire dalla crisi non lo distoglierà dai cambiamenti strutturali di lungo periodo agli States per i quali ha avuto il mandato. È di parola. Mentre ferve il dibattito lanciato da quel pazzerello di Paul Krugman sulla necessità di un nuovo piano d’intervento straordinario anti crisi, finalmente la proposta di riforma sanitaria dell’Amministrazione ha iniziato a svelare qualcuno dei suoi numeretti di riferimento.  O meglio, è la leadership democratica in Congresso a rivelarli, perché la Casa Bianca – memore del disastro sanitario di Hillary nel primo mandato Clinton – lascia ai congressmen il compito scomodo di enunciare come coprire finanziariamente la riforma, che intende estendere nel prossimo decennio ad almeno 37 milioni di americani oggi sprovvisti di assicurazione sanitaria privata una copertura essenziale. La stima del costo è di circa 1.200 miliardi di dollari, dei quali 500 dovrebbero venire – è del tutto irrealistico – da razionalizzazioni di Medicare  rivolto a disabili e anziani, mentre il resto dovrebbe venire da un corposo aumento delle tasse per i due milioni di contribuenti americani a più alto reddito.  L’aumento dell’aliquota sul reddito parte dall’1% in più per singoli contribuenti da 280mila $ annui e famiglie da 350mila $, per salire fino al 5,4% aggiuntivo per chi supera la soglia del milione di dollari l’anno. L’aliquota marginale americana tornerebbe così al 45%, con tanti saluti alla rivoluzione reaganiana in  nome dell’universalismo redistributore all’europea.  Vediamo che cosa succederà, nei mesi. Il solo fatto che Obama preferisca che sia il Congresso, a presentare questi numeri e questa proposta, dice che alla Casa Bianca non sottovalutano affatto la possibile reazione negativa dei contribuenti. Ma i repubblicani, oggi, semplicemente non sono in campo.

15
Lug
2009

Una rondine non fa primavera, ma Goldman Sachs vola alto

Goldman Sachs ha chiuso il secondo trimestre con un utile netto di 3,44 miliardi di dollari, pari a 4,93 dollari per azione contro i 3,65 previsti dagli analisti. Si tratta dell’utile trimestrale più alto nella storia della banca d’affari newyorchese. I ricavi della banca d’affari statunitense si sono attestati a 13,76 miliardi di dollari. Sui risultati hanno pesato i 426 mln di dollari pagati di interessi sui 10 mld ricevuti dal governo nell’ambito del Troubled Asset Relief Program (Tarp): esclusi gli interessi pagati al Tesoro, gli utili per azione sono stati pari a 5,71 dollari per azione.

Ad una prima lettura dei dati sintetici della performance della banca statunitense si potrebbe pensare che la fase acuta della crisi sia ormai alle spalle; tuttavia, entrando nel merito dei conti, si capisce come la strabiliante performance sia figlia, principalmente, del reparto trading della banca.

Dati confronati al trimestre dell’anno precedente:

Trading (10.78 bilion) + 93%

Asset management and Security Services ($1.54 bilion) –28%

Investment banking ($1.44 bilion) -15%

G.S. sarà pure giuridicamente una banca commerciale, tuttavia il core business della banca tradisce la sua vera natura. In definitiva aspettiamo i dati di Citi e Bank of America per tirare un, motivato, sospiro di sollievo.