Politici, deficit e keynesiani
Sulla consunzione della teoria keynesiana del moltiplicatore vi ho già annoiato abbastanza, dunque sapete come la penso. Mi limito qui a segnalarvi un nuovo paper appena rilasciato da Troy Davig, della FED di Kansas City, ed Eric Leeper della Indiana University. È dedicato agli effetti di sostituzione intertemporali e intratemporali di un aumento della spesa pubblica in deficit, e all’effetto ricchezza che s’ingenera a seconda della coerenza tra loro della politica fiscale e di quella monetaria. Una politica monetaria attiva porta poi a inevitabili innalzamenti di contenimento dei tassi d’interesse. Una politica fiscale in passivo induce aspettative di maggiori tasse per il futuro, con contenimento del reddito disponibile rivolto ai consumi. I due studiosi applicano il loro modello alla realtà Usa, ma c’è da riflettere per tutti. Il moltiplicatore della spesa pubblica in deficit diventa maggiore dell’unità solo se “imposto dall’effettiva attuazione di un modello neokeynesiano”, cioè asservendo la politica monetaria a quella della spesa in deficit. E in ogni caso neanche in quello scenario, il moltiplicatore maggiore dell’unità vale per tutti i settori e a prescindere dall’efficacia degli strumenti pubblici attuatori. I politici deficisti hanno di che meditare…