4
Ago
2009

L’inchiesta sui Brontos: Intesa, Unicredit e l’evasione fiscale

Alcuni colleghi giornalisti mi chiamano saltando sulla sedia, per la notizia battuta intorno alle 19 dalle agenzie. La Procura di Milano avrebbe aperto da tre mesi un fascicolo a carico di Barclays, Intesa e Unicredit, per l’ipotesi di operazione appositamente costituite al fine di evadere il fisco. M’incazzo come una iena, ma al telefono sorrido. Do a tutti le indicazioni per ricostruire la vicenda. Perché non c’è proprio niente che non si sapesse. Semplicemente, i media italiani hanno fatto finta di non vedere. Tutto nasce da questo articolo del Guardian, del 16 marzo scorso. Le autorità britanniche trovano file che comprovano un’intensa attività di triangolazioni estere operata da Barclays, e l’articolo già dice molto. In Italia, l’unico ad occuparsene è Walter Riolfi del Sole, un mese dopo. Se leggete l’articolo, trovate descritta con apprezzabile precisione la triangolazione schermata realizzata da Intesa e Unicredit, attraverso la branch milanese di Barclays, due sue controllate lussemburghesi che formano bare trust ad hoc di diritto britannico, la sottoscrizione di PPI a triplo fine: swap monetari su monete ad alti tassi – lire turche, nella fattispecie; bassa tassazione degli utili per via del dopo schermo estero; perdite in Italia in deduzione. Tre miliardi e mezzo circa di euro di operazioni, tasse evase per un’ottantina di milioni di euro. Naturalmente: per questi soli veicoli, vattelapesca quanti sono e quanto le banche li utilizzano a gogo, per la loro operatività schermata. Nessun altro giornale ha mai scritto niente, nessuno ha fiatato. Viva la stampa cane da guardia della trasparenza bancaria, viva la nuova finanza etica.

4
Ago
2009

Quanto conta Keynes nella storia del pensiero?

Dopo la segnalazione dell’articolo di Steele da parte di Oscar Giannino, eccoci con un altro link: a questo veloce, ma illuminante, post di Jerry O’Driscoll, stavolta su macroeconomia e keynesismo. Che potrebbe venir utile per aprire più vasti dibattiti, sull’effettiva importanza di Keynes nella storia del pensiero economico, sulla sua “vittoria” “più polemica che sostanziale° nei dibattiti di allora (per lo “scontro” sulla scuola austriaca, si veda questo libro, che svolge un po’ la funzione assolta  dalla raccolta “A tiger by the tail” curata da Sudha Shenoy: ovviare al “rimpianto” di Hayek, di non aver mai scritto una confutazione della General Theory).  Questo il nocciolo del ragionamento di O’Driscoll:

Much of the current debate is really over Smith’s original formulation: does savings add to or subtract from aggregate demand? Smith said savings is its own source of demand, while Keynes postulated that an increase in savings equated to an increase in the demand for money (liquidity preference).

4
Ago
2009

Legal standards: c’è un anti Tremonti, laggiù nell’Oregon

Ofer Raban insegna alla Law School della Oregon University, e ha appena pubblicato un saggio che evidentemente non tiene molto conto di quanto Giulio Tremonti ha alacremente sottoposto al G8 dell’Aquila, in materia di nuovi legal standards condivisi da porre al centro dell’agenda del prossimo summit di Pittsburgh in materia di supervisione finanziaria internazionale, di requisiti di capitale per gli intermediari e criteri di redazione dei bilanci. Il titolo, esplicitamente, propone la tesi: Why Vague Legal Standards May Be Better for Capitalism, Liberalism, and Democracy.  L’autore considera la “mania” dei legal standards come un frutto tardivo del “testualismo”, corrente ultima che attribuisce al diritto codificato superiorità su tradizione, norme statutarie dal basso e autoregolazione. Gli effetti di “very binding legal standards” possono tradursi in conseguenze inintenzionali che accrescono le crisi in direzioni prociclica invece che anticiclica, a meno di essere proclamati per compiacere il ritorno della politica alla sovranità preminente, ma a patto di applicarli solo a crisi terminate cioè quando essi serviranno ancor meno. Una lettura in controtendenza, giusto per stimolare il cervello e non arrendersi al mainstream.  Scommetto che molti dei membri dello steering commitee del Financial Stability Board – si riunisce domani, ed è un incontro decisivo per la concreta agenda di Pittsburgh – sono più d’accordo con Ofer che con il nostro amato Giulio.

4
Ago
2009

Su Economic Affairs, ancora su Keynes

Sull’ultimo numero di Economic Affairs una brillante stroncatura in punta di penna del moltiplicatore keynesiano, e degli effetti inter- e intratemporali delle variazioni della domanda da parte pubblica, rispetto alle automatiche reazioni di lungo periodo degli operatori di mercato. Drastica la conclusione: riproporre Keynes oggi non costituisce fondamento per alcuna solida politica economica, né di crescita reale né di stabilità monetaria.

4
Ago
2009

Politici, banche, regolatori: è ancora caos

Dopo un semestre intero di migliaia di pagine – tra report, specializzati, papers per convegni, articoli di giornale – dedicati al tema, la riforma della regolazione e supervisione finanziaria piega il ginocchio ai tempi e alle esigenze della politica. In Europa, per restare ai Paesi leader, l’attuazione concreta delle “autarchiche” misure tedesche su band banks e consolidamento della parte privata del sistema è di fatto demandata al dopo elezioni. Idem dicasi del Regno Unito, dove la proposta dei Tories di “smontare” la FSA a favore di BoE aspetterà il responso degli elettori, e a giudicare dal dibattito sulle grandi testate moderate e conservatrici non è affatto detto che gli sopravviva, neanche in caso di vittoria alle urne. Negli Stati Uniti poi, ogni giorno avvengono sviluppi che i grandi media generalisti non colgono, ma fanno venire i brividi. Capisco che non bisogna disturbare lo champagne stappato da chi brinda alle performance delle Borse, ma c’è da restare senza parole, dopo gli oceani di chiacchiere sulla presunta era della finanza etica che doveva schiudersi innanzi a noi.

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3
Ago
2009

Politici, deficit e keynesiani

Sulla consunzione della teoria keynesiana del moltiplicatore vi ho già annoiato abbastanza, dunque sapete come la penso. Mi limito qui a segnalarvi un nuovo paper appena rilasciato da Troy Davig, della FED di Kansas City, ed Eric Leeper della Indiana University. È dedicato agli effetti di sostituzione intertemporali e intratemporali di un aumento della spesa pubblica in deficit, e all’effetto ricchezza che s’ingenera a seconda della coerenza tra loro della politica fiscale e di quella monetaria. Una politica monetaria attiva porta poi a inevitabili innalzamenti di contenimento dei tassi d’interesse. Una politica fiscale in passivo induce aspettative di maggiori tasse per il futuro, con contenimento del reddito disponibile rivolto ai consumi. I due studiosi applicano il loro modello alla realtà Usa, ma c’è da riflettere per tutti. Il moltiplicatore della spesa pubblica in deficit diventa maggiore dell’unità solo se “imposto dall’effettiva attuazione di un modello neokeynesiano”, cioè asservendo la politica monetaria a quella della spesa in deficit. E in ogni caso neanche in quello scenario, il moltiplicatore maggiore dell’unità vale per tutti i settori e a prescindere dall’efficacia degli strumenti pubblici attuatori. I politici deficisti hanno di che meditare…

3
Ago
2009

L’accordo Abi-imprese di oggi ultimo intervento-tampone. Per settembre, tre punti strutturali

Diciamolo: per i mercati il mese di luglio è stata una manna. L’indice FTSE All World – che tiene conto di tutte le Borse mondiali, ciascuna per il proprio peso relativo – è cresciuto di quasi 9 punti in quattro settimane. Dall’inizio dell’anno, Il MIB italiano ha guadagnato il 30%, il 27% Francoforte, il 26% Parigi, il 24% Madrid, Londra il 23%. Svezia e Norvegia hanno guadagnato 35 punti, ma anche la scassata Irlanda ha totalizzato un apprezzabile più 14%. Negli States, il Dow Jones ha guadagnato 24 punti percentuali, il Nasdaq 28. Quel che conta di più, è che tra fine giugno e luglio ormai i due terzi delle aziende quotate americane hanno annunciato al mercato la loro seconda trimestrale, e nel 74% dei casi i risultati hanno battuto in meglio le attese di analisti e mercati. La fiducia è generalmente in salita. Il petrolio risale oltre i 70 dollari, “annusando” un utilizzo degli impianti meno basso del 65% a cui si era attestato negli Usa e nella maggior parte dei paesi Ocse. Siamo ancora in recessione, ma ammettiamolo: in molti sperano che l’economia reale piano piano abbia iniziato a risalire. È proprio questo, il momento più delicato per un paese come l’Italia.

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3
Ago
2009

Alitalia: le motivazioni della preoccupazione degli azionisti

I dati di bilancio di Alitalia resi pubblici il 29 luglio scorso non possono non preoccupare gli azionisti della società, mentre i passeggeri sono preoccupati dai ritardi e dai disguidi all’aeroporto di Roma Fiumicino. In questo periodo dell’anno nel trasporto aereo è naturale un incremento dei ritardi, poiché gli aeroporti sono maggiormente congestionati. La compagnia dunque non è direttamente responsabile di tutti le problematiche evidenziate in queste ultime settimane, ma certamente i ritardi potrebbero danneggiare la nuova Alitalia, poiché i passeggeri potrebbero associare l’immagine della vecchia compagnia di bandiera al nuovo vettore. Queste preoccupazioni certamente sono prese in considerazione dal management, che tuttavia sembrerebbe aver avuto altre preoccupazioni nell’ultimo periodo. Le voci di estromissione di Rocco Sabelli dal comando della compagnia aerea si sono rincorse la settimana scorsa, salvo poi non essere confermate dal Consiglio di Amministrazione di Alitalia. Le perdite operative (non nette) del vettore italiano sono state di 273 milioni di euro, in gran parte dovute al primo pessimo trimestre dell’anno, quando la compagnia era in fase di avviamento. Ma che cosa ci dicono  dati appena rilasciati su andamenti dei costi e ricavi? Quanto ci si sta discostanto dal piano originario? Quanto si devono preoccupare, in altre parole, gli azionisti?

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3
Ago
2009

Government Motors e i tesoretti della Bad Company

Mentre si discute della apparentemente prossima stabilizzazione della congiuntura americana, almeno per il terzo trimestre, grazie anche al travolgente successo del programma di rottamazione auto “cash for clunkers” (che in realtà “prende a prestito” domanda dal futuro, e crea condizioni di dipendenza strutturale del settore dai sussidi pubblici, come ben sappiamo noi europei), giunge la notizia che General Motors riceverà un prezioso dono dal suo nuovo azionista di controllo, il governo degli Stati Uniti. Alla nuova GM, quella che emergerà dalla procedura di Chapter 11, sarà infatti consentito di utilizzare i crediti d’imposta derivanti dal “tax-loss carry forward”, cioè dal riporto a nuovo delle perdite a compensazione degli utili futuri, fino a 20 esercizi successivi. L’entità di questo dono è pari a 16 miliardi di dollari.

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