Copenaghen: non date retta a Rampini.
Che la lotta ai cambiamenti climatici sia senza confini è ovvio, che debba travalicare quelli dell’igiene intima personale, un po’ meno. Prima o poi saremmo arrivati a questo punto (sul clima è stato scritto di tutto di più) e ieri su Repubblica l’inviato da San Francisco, Federico Rampini, si è lanciato in un’“invettiva” che ha messo sul banco degli imputati il caffè, i vestiti semi nuovi e la lavatrice. Jeans e maglietta? Meglio tenerseli per molto tempo, anche se un po’ sdruciti, e lavarli poco, possibilmente con l’acqua fredda che si risparmia e si rovinano meno i tessuti. Questa la summa teologica di Rampini, citando come fonte l’ultimo rapporto pubblicato su New Scientist. Ma le fonti, dopo il “climagate” degli scienziati smascherati a truccare i dati dei rapporti Ippc, vanno prese con le pinze. Scrive Rampini: «Il quarto delitto ambientale è l’ossessione per la pulizia. In Inghilterra è stato calcolato che solo il 7,5% degli indumenti messi in lavatrice sono davvero sporchi». In che modo sia stata condotta un indagine di questo tipo, non è dato sapere. Ma il concetto è chiaro: se solo i vestiti puzzano un po’, è inutile lavarli, si sprecherebbe acqua calda. Come del resto noi stessi. Da riflettere: la prossima volta che ci laviamo le ascelle, dovremmo pensare a una passata di deodorante a coprire e basta: ma attenzione al deodorante, che sia stick e non spray, altrimenti ne risentirebbe il buco dell’ozono. Per Rampini, insomma, Copenhagen comincia in casa nostra ogni mattina. Guai a bere il caffè. Spiega Repubblica: «Se si calcola l’energia consumata per coltivarlo, raccoglierlo, trasportarlo, infine azionare la macchina del bar, 6 tazzine di espresso al giorno, in un anno equivalgono alla CO2 immessa nell’aria da un volo Roma-Londra». Infine l'”eco-crimine” dei vestiti: basta con il comprare un capo per indossarlo una sola stagione, avverte Rampini, è uno spreco inaudito. Pensateci ora sotto le feste natalizie. E non preoccupiamoci se i commercianti (e in genere il settore tessile) già messi in ginocchio dalla crisi e dalle tasse chiuderanno i battenti: con un po’ più di disoccupati, con vestiti sdruciti e maleodoranti, ma meno nervosi per aver bevuto un paio di caffè in meno, avremo salvato il pianeta. A San Francisco queste cose le avrebbero già capite. Tanto che il pamphlet “radical chic” di Rampini – sarebbe bello seguire per una settimana le abitudini dei redattori del New Scientist e del corrispondente di Repubblica – non manca di sottolineare quanto segue: «Se il mondo intero seguisse l’esempio californiano, in 20 anni ridurremmo le emissioni di CO2 di 24 miliardi di tonnellate cubiche, l’equivalente dell’anidride carbonica prodotta nel 2008». Come, come? L’esempio californiano? Ma l’America non era lo Stato-Canaglia che non aveva aderito a Kyoto, con un governatore della California tutto muscoli e niente cervello, che gira con un Hummer da 6 chilometri con un litro? C’è da sperare che la prossima settimana a Copenaghen si dibatta in modo più concreto.











