Alitalia e Telecom, fine ingloriosa delle “banche di sistema”. Ma non una sconfitta del mercato: a braccetto con la politica hanno operato fuori dalle sue regole
Dedicheremo una serie di post alle numerose e rilevanti problematiche connesse agli sviluppi in corso in Telecom Italia e Alitalia. Intanto, una primissima opinione per inquadrare le vicende.
Che lo Stato sia mediamente un cattivo azionista tendente al pessimo, per averne conferma non si avvertiva bisogno del ritardo che ha imposto a Finmeccanica per cedere Breda, Ansaldo Energia e Ansaldo Sts, che ora si vorrebbero “girare” a Fintecna, cioè a CDP. Ma i nodi al pettine venuti in perfetta sincronia per Telecom Italia e Alitalia riguardano un altro versante. A finire ko sono le grandi operazioni realizzate dalle cosiddette “banche di sistema”: Intesa in Alitalia, ancora Intesa con Mediobanca e Generali in Telco, la holding che esercita di fatto il controllo su Telecom. E che il ko sia sincrono, si deve al fatto che in entrambi i casi le banche hanno ormai fretta di non accollarsi più sul bilancio di quest’anno le rituali perdite, accantonamenti per svalutazioni, né tanto meno hanno intenzione di partecipare a ricapitalizzazioni, più che mai necessarie alle due società.
E’ troppo presto per giudicare i mille problemi che sorgeranno intorno ai nuovi accordi che consegnano – in tempi di diversi mesi – la governance della compagnia aerea ad Air France, e di quella di tlc a Telefonica. In questo secondo caso, la vendita delle attività in Brasile e Argentina, il punto interrogativo sullo spin off della rete fissa e l’eventuale partecipazione in essa di Cdp, la necessità comunque di un aumento di capitale “vero” per sostenere i valori di avviamento, il braccio di ferro con l’Agcom sull’unbundling, la verifica della reale intenzione spagnola di investire soldi veri, stante l’elevato loro debito: sono ciascuno e non ancora tutti i grani del rosario che occorrerà dipanare.
Ma quello che intanto appare chiaro è che finiscono in polvere le operazioni varate anni fa dalle grandi banche italiane, a braccetto con una politica che aveva finito i soldi, ma non la voglia di impicciarsi: vedi i piani di Prodi sulla rete fissa, l’appoggio di Berlusconi a Passera, allora CEO di Intesa, e le molte confuse iniziative che la politica annuncia ora. Cedere anni fa Telecom ad ATT e Alitalia ai francesi avrebbe spuntato prezzi molto più elevati, e insediato padroni stranieri in entrambi i casi, ma allora molto più desiderosi e capaci di investire.
Invece la retorica ha portato a perder tempo e denaro. Storicamente, è tramontato prima lo Stato padrone, poi i capitani coraggiosi, infine le banche con le loro cordate eterogenee e irrisolte a spingere i manager a fare tutto il necessario. C’è solo da sperare che i tanti ora a piangere sulla lesa italianità ricordino bene, in quanti hanno fallito la prova dell’efficienza, tra pubblico e privato. Ma ricordino anche e soprattutto che “questa” non è una sconfitta del mercato. Perché ai privati è stato consentito di operare troppo spesso come allo Stato, cioè “fuori dal mercato”: quasi sempre senza OPA, come puntualmente ancora una volta avviene anche oggi, cioè disconoscendo per i soci di minoranza il premio al controllo incamerato prima e bruciato poi da chi l’ha di fatto esercitato; con azionisti che hanno consentito – o imposto – per anni ai manager di non assumere decisioni obbligate, alla luce dell’insostenibilità crescente di redditività in calo, goodwill stratosferici e ingenti debiti; e infine quasi sempre senza considerare il miglior vantaggio nella ricerca e nella scelta dei nuovi compratori, ma affidandosi a logiche relazionali e di collateralismo affaristico-politico.











