24
Set
2013

Trasparenza è qualità della regolamentazione

Dalla recente scomparsa di Ronald Coase si può prendere spunto per evidenziare l’importanza della trasparenza nel processo normativo. Essa costituisce, infatti, il mezzo essenziale per realizzare e dare pubblica evidenza all’analisi di costi e benefici anche in detta sede. Nel nostro ordinamento gli strumenti preposti a tal fine, anche se come si vedrà non efficacemente utilizzati, sono l’analisi dell’impatto della regolamentazione (AIR), da effettuare nella fase antecedente l’adozione della norma, e la verifica di tale impatto (VIR), da condurre ex post (vedi qui per i principali provvedimenti in materia), nonché la misurazione degli oneri amministrativi (MOA). Essi trovano il proprio fondamento in quanto di seguito esposto.

 

Si è già qui rilevato come la trasparenza sia sempre più importante in ogni ambito amministrativo. Anche con riguardo all’attività di produzione normativa, la trasparenza e, dunque,  la conoscenza completa e condivisa di ogni azione che dispieghi sulla collettività i propri effetti è necessità che si impone con sempre maggiore evidenza. Da un lato, essa consente agli interessati di esercitare un controllo sulla gestione svolta da parte dell’autorità, contribuendo all’accountability di chi di volta in volta sia titolare del potere regolatorio, legittimandone la funzione e sostanziandone la responsabilità per le decisioni adottate. Dall’altro, profilo non meno rilevante, permette la partecipazione dei cittadini alla valutazione dei presupposti nonché delle conseguenze delle scelte di regolamentazione, facendoli sentire, oltre che più coinvolti, meglio salvaguardati. Un processo di rule making in cui, anche a mezzo di consultazioni, vengano portati alla luce e resi, appunto, trasparenti non solo gli interessi dei destinatari dei provvedimenti, ma anche gli obiettivi perseguiti, le modalità operative e i criteri adottati dal regolatore, giova alla collettività così come alle istituzioni. Elimina asimmetrie informative, favorisce l’adeguata ponderazione delle esigenze dei soggetti potenzialmente coinvolti, risolve preventivamente eventuali conflitti, evitando che sfocino in contenzioso, scongiura l’emanazione di regole i cui costi stimati sopravanzino i benefici attesi e permette la cancellazione di quelle superflue o inefficaci. Qualora i principi descritti non vengano rispettati, un’attività normativa così strutturata consente di trarne le adeguate conseguenze: dalla trasparenza del processo alla pubblicità dei risultati, il circolo è virtuoso.

 

La trasparenza è, dunque, funzionale a una regolamentazione che trovi nella “qualità” il proprio essenziale connotato. Quest’ultima si concreta nella scelta più efficace in relazione ai fini fissati; più efficiente, quindi idonea a realizzare gli interessi maggiormente rilevanti in presenza di risorse limitate; più flessibile, cioè tale essere facilmente modificata con l’evolversi delle esigenze considerate; più proporzionata, in quanto bilanciata ai bisogni da soddisfare, tale cioè da non incidere nella sfera giuridica degli interessati in misura superiore rispetto a quanto necessario per il raggiungimento dell’obiettivo previsto. Ma la qualità è caratterizzata anche dalla semplicità: in senso formale, come comprensibilità che ne agevoli l’interpretazione e l’applicazione; in senso sostanziale, come scelta della soluzione meno gravosa per coloro nei cui riguardi produce effetti; in senso quantitativo, come eliminazione di norme non coerenti o ridondanti rispetto a quelle già esistenti. Una normativa di qualità, e dunque anche semplice nel senso esposto, semplifica a propria volta ogni ambito da essa disciplinato. In particolare, trovando, come si è detto, il proprio cardine nella misurazione degli adempimenti imposti e nella comparazione tra vantaggi realizzati e svantaggi sopportati, essa costituisce elemento essenziale per sfrondare un’azione pubblica barocca in gran parte delle sue espressioni. Infatti, solo la quantificazione del reale costo di un processo o di un obbligo imposto al privato nei riguardi dei pubblici poteri può far sì che la semplificazione amministrativa non resti un’intenzione meramente proclamata e divenga, invece, un’azione concretamente perseguita.

 

E’ stato evidenziato in varie sedi, (tra le altre, Banca d’Italia) che la stratificazione e, quindi, la sovrabbondanza di disposizioni e di oneri dalle stesse dettati, al di fuori di un quadro definito di coerenza dell’insieme, oltre a produrre complicazione normativa e amministrativa, è causa di indeterminatezza interpretativa e applicativa e, conseguentemente, di tempi di attesa incerti per la risoluzione delle controversie; comporta aggravi burocratici per cittadini e imprese e appesantimenti operativi per l’azione pubblica. Disorganicità, scarsa conoscibilità e mancanza di chiarezza della regolamentazione introducono fattori di imprevedibilità delle relazioni economico-giuridiche e rendono il mercato ambiente sfavorevole alla competizione, ostacolando così lo sviluppo economico e scoraggiando gli investimenti nazionali e stranieri. Queste conclusioni vengono annualmente dimostrate anche mediante gli indicatori “Doing Business” elaborati dalla Banca Mondiale, che effettua misurazioni comparative delle normative che interessano l’impresa in una serie di Stati, al fine di valutarne l’attrattività con riguardo all’iniziativa economica privata. Dal rapporto 2013, in cui ancora una volta l’Italia si trova in posizioni non lusinghiere, emerge non “vi siano dubbi che il posizionamento italiano rifletta un ambiente amministrativo oggettivamente meno favorevole all’attività d’impresa rispetto ad altri contesti simili anche per tradizioni giuridiche/amministrative” (I. Visco). Soprattutto in periodo di crisi, dunque, la qualità della regolamentazione, così come la trasparenza delle procedure necessarie a realizzarla, acquista una rilevanza ancora maggiore poiché, producendo semplificazione delle regole, riduce oneri e costi. E’, pertanto, evidente come essa assurga a oggetto di interesse pubblico autonomo rispetto ai fini di volta in volta perseguiti dalle varie normative di riferimento, dati gli effetti positivi che induce e può addirittura essere annoverata tra gli strumenti da utilizzare per incoraggiare gli investimenti (anche stranieri) nel nostro Paese (ed è un peccato che tale potenzialità non sia stata evidenziata nel programma “Destinazione Italia” da poco approvato dal Consiglio dei Ministri).

 

L’attuazione di politiche di better regulation, e, in particolare, il legame tra sviluppo e policy volte a migliorare la “qualità delle leggi” è tema da tempo trattato in sede europea e nazionale. Nel 1995, l’OCSE ha avviato un progetto denominato Regulatory Reform, al fine di realizzare una campagna di review dei processi normativi degli Stati europei e alleggerire cittadini e aziende da prescrizioni inutili e onerose, favorendo processi di liberalizzazione e deregolamentazione. Ha, quindi, elaborato una prima definizione internazionale di principi di buona regolamentazione nella Checklist for Regulatory Decision-making. Le domande ivi poste delineano una metodologia articolata in fasi, contenente i criteri cui va improntato un processo di rule making idoneo a semplificare le norme, a ridurre gli adempimenti e i costi amministrativi e a favorire un ambiente concorrenziale. Nella stessa ottica, e dunque al fine di stimolare la competitività e il dinamismo delle imprese, con l’“Action Programme for Reducing Administrative Burdens in the European Union”, COM (2007), nel quadro della Strategia di Lisbona, l’UE ha posto agli Stati membri l’obiettivo della riduzione del 25% degli oneri burocratici presenti nei rispettivi ordinamenti entro il 2012. Lo specifico metodo di misurazione degli oneri suddetti è lo EU-Standard Cost Model (la già citata MOA): nato in Olanda, consente di quantificare i costi sostenuti dai destinatari della regolazione per assolvere agli obblighi da essa imposti.

 

A seguito degli indirizzi fissati dal Consiglio Europeo, l’Italia ha avviato in modo sistematico la suddetta misurazione sulla base di uno specifico Piano di azione, seguito dalla legge c.d. Taglia-oneri (d.l. 2008/112). La MOA ha consentito di rilevare, secondo le stime del Dipartimento per la Funzione Pubblica pubblicate nel maggio 2012, costi burocratici pari a oltre 26 miliardi di euro in otto aree di regolazione (lavoro e previdenza, prevenzione incendi, paesaggio e beni culturali, ambiente, fisco, privacy, appalti, sicurezza sul lavoro). I risparmi associati agli interventi di riduzione approvati in base agli esiti della citata misurazione sono stati calcolati in oltre 8 miliardi (circa il 30,5% dei costi misurati). Un nuovo programma per la misurazione degli oneri amministrativi (periodo 2012-1015), dati gli effetti positivi di quello precedente, è stato sancito dal d.l. n. 5/2012 (c.d. decreto semplificazioni). La stima di detti oneri assume, dunque, un’importanza rilevante, consentendo, attraverso la semplificazione, di ridurre adempimenti ultronei e, quindi, costi. Tale semplificazione, alla stregua di quanto avviene in altri Paesi, costituirebbe, se seriamente e sistematicamente perseguita, uno strumento alternativo all’erogazione di finanziamenti pubblici per un ammontare pari ai risparmi realizzati: ciò senza alcun aumento di spesa, ma anzi eliminando elementi distorsivi del mercato e producendo effetti positivi per l’intero sistema.

 

L’Ocse ha più volte rilevato come la stratificazione di regole (regulatory inflation) e i costi amministrativi (compliance cost) e burocratici (red tape) da esse indotti costituiscano fattori determinanti per la crisi di competitività in una serie di Paesi. Sull’impulso degli studi effettuati in tale sede riguardo alle semplificazioni normative/amministrative (vedi ad esempio qui, qui e qui) sono stati elaborati, prima in ambito europeo e poi nazionale, vari strumenti cui improntare una law making decision policy. Nell’ordinamento italiano essi si sono concretati nelle citate AIR e VIR.

 

Introdotta in via sperimentale nel 1999 (l. n. 50) per gli “atti normativi adottati dal Governo e di regolamenti ministeriali o interministeriali”, nel 2003 (l. n. 229) l’AIR è stata estesa alle Autorità Indipendenti, nel 2005 (l. n. 246, attuata con DPCM n. 170/2008) è stata resa obbligatoria. L’analisi d’impatto della regolamentazione è cardine della better regulation e rappresenta il regulatory policy instrument che garantisce, attraverso procedure trasparenti, il miglioramento della qualità della regolazione, nel perseguimento della sua semplificazione. L’AIR, infatti, è diretta a consentire una stima preventiva degli effetti (vantaggi/svantaggi) che un progetto normativo produce sui suoi destinatari: parte dalla valutazione delle informazioni circa il contesto, gli interessi rilevanti, le priorità e i fini perseguiti, correlando il risultato di tale valutazione alle conseguenze della regolazione adottata. Evita così al policy maker di assumere provvedimenti di scarsa utilità e lo indirizza verso soluzioni il meno possibile onerose rispetto agli obiettivi prefissati. Nell’ambito di una serie di opzioni di regolazione (ma anche di non-regolazione, considerato che l’opzione c.d. zero è il non-intervento, ciò che Montesquieu così aveva riassunto: “quando non è necessario fare una legge, allora è necessario non farla”), l’AIR serve a restringere il numero di quelle rilevanti fino ad arrivare alla scelta ritenuta migliore. La verifica dell’impatto della regolamentazione (VIR), introdotta formalmente nel 2009 (DPCM n. 212) consente, invece, di misurare il conseguimento dei risultati attesi, al fine di dare coerenza al processo di regolazione e chiuderne il cerchio. E’ evidente come in tale processo la MOA rappresenti un momento essenziale per entrambe le attività di analisi e valutazione di impatto. Infatti, se pure inizialmente concepita in sede europea e nazionale, come visto, per la fase ex post, cioè per individuare adempimenti eccessivi e onerosi prescritti da leggi già esistenti, al fine di liberare risorse utili allo sviluppo, essa risulta fondamentale anche ex ante, durante lo svolgimento dell’AIR, poiché idonea a consentire una ponderazione comparata degli interessi da soddisfare e degli oneri da imporre al fine di addivenire alla regolamentazione più efficiente. La verifica successiva (tramite la VIR e avvalendosi della MOA) degli effetti prodotti dalle norme emanate nonché del raggiungimento delle finalità tramite le stesse perseguite risulta oltremodo importante, laddove si consideri che l’AIR si basa su mere evidenze empiriche. Peraltro, solo una buona preliminare analisi d’impatto, effettuata mediante un’adeguata misurazione degli oneri connessi alle diverse opzioni, consente un efficace e concreto controllo successivo circa la realizzazione di quanto previsto.

 

Le norme in materia di AIR, di  VIR e di MOA, nelle quali l’ordinamento ha tradotto l’esigenza di trasparenza nella regolamentazione al fine del perseguimento della qualità nella stessa, sono oggetto di attenzione e aggiornamento. Si segnala, ad esempio, l’introduzione, a mezzo della legge 180/2011 (c.d. statuto delle imprese, che ha recepito le indicazioni contenute nello “Small Business Act” emanato dalla Commissione Europea nel 2008), del riferimento alla “necessità di assicurare il corretto funzionamento concorrenziale del mercato e la tutela delle libertà individuali”, quale elemento rilevante nelle individuazione e comparazione delle opzioni di regolamentazione. Sempre nella stessa legge viene evidenziata l’importanza delle consultazioni, richiedendo che prima dell’approvazione di una proposta normativa in materia di imprese debbano essere sentite le organizzazioni maggiormente rappresentative di queste ultime. Di grande rilievo è, inoltre, il principio di compensazione nel budget regolatorio, introdotto dalla legge citata e modificato dal menzionato decreto semplificazioni, che si sostanzia nella c.d. ‘‘one in one out rule’’, in forza della quale ai destinatari della regolazione non possono essere imposti oneri amministrativi senza contestualmente ridurne o eliminarne altri. Eppure, il bilancio operativo dei suddetti strumenti di valutazione dell’impatto non è soddisfacente secondo l’Ocse, che ne ha considerato l’utilizzo in Italia in maniera approfondita e ad ampio raggio. L’organizzazione internazionale rileva, tra l’altro, che nel nostro Paese viene prodotto un numero forse eccessivamente elevato di documenti AIR a detrimento della qualità e, quindi, della sua efficacia e concreta valenza. L’AIR viene cioè trattata alla stregua di una qualsiasi formalità da espletare, non invece come mezzo per sostanziare e rendere efficiente ed efficace la scelta del decisore. Inoltre, essa non viene sempre svolta: è consentito possa essere evitata per la normativa adottata in via d’urgenza (in Italia, ormai, di prassi), com’è evidente dati i tempi rapidi che quest’ultima richiede, nonché per le proposte di legge particolarmente complesse, che per l’Ocse rappresentano le fattispecie in cui l’AIR sarebbe più opportuna, per cui occorrerebbe eliminare l’eccezione prevista. Poco praticato è, inoltre, il ricorso alle consultazioni pubbliche (che buona prova hanno dato nelle Authority, come ad esempio qui testimoniato): esse sono rimesse alla discrezionalità delle amministrazioni coinvolte e, quando non effettuate, il processo legislativo risulta privato degli elementi che per il loro tramite possono essere forniti. Peraltro, anche quando svolte, non vi è certezza che di quanto da esse emerge sia tenuto conto: non vi è un sito ove i risultati delle consultazioni concluse siano sistematicamente inseriti e, dunque, verificabili dagli interessati. Inoltre, carente risulta il sistema dei controlli sull’AIR, che la legge rimette al DAGL (Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri): peraltro, stante anche la valutazione Ocse, se quest’ultimo iniziasse a rimandare alle amministrazioni proponenti gli atti carenti di una buona analisi di impatto, forse finirebbe di fatto per bloccare l’attività del Governo (mentre in Europa l’Impact Assessment Board, IAB, che valuta la qualità delle AIR prodotte, richiede puntualmente modifiche nei casi in cui l’analisi non sia rispondente ai requisiti necessari).

 

Da quanto esposto, appare chiaro che l’AIR in Italia non è seriamente realizzata  (almeno a livello centrale per gli atti di regolazione primaria), sì che la trasparenza, esigenza teoricamente proclamata come necessaria dall’azione amministrativa a quella normativa, ancora una volta non risulta concretamente perseguita. Vengono così vanificati e non si traducono in risultati effettivi i benefici attesi, in precedenza evidenziati: l’emersione degli interessi dei destinatari della disciplina, il controllo da parte dei medesimi del procedimento seguito e delle azioni svolte, la scelta della migliore opzione normativa, la maggiore accountability del titolare del potere normativi. L’AIR, anziché strumento volto a garantire la qualità della regolamentazione mediante la valutazione di diverse opzioni normative, finisce così per divenire mera giustificazione di decisioni già prese sulla base di scelte politiche precostituite. Quanto alla VIR, non esistono obblighi temporali precisi al riguardo, mentre la MOA, nonostante i buoni risultati prodotti, continua a essere funzionale a risultati di breve periodo, di cui i governi di volta in volta interessati possano far vanto, e non invece a una programmazione di più lunga durata, tesa a operare con coerenza interventi di semplificazione progressivi, ma costanti.

 

Il quadro, come visto, è sconfortante. Se ormai è evidente che l’attuale stato della regolazione e gli oneri che essa pone rappresentano uno dei principali fattori che soffocano la crescita della nostra economia, peraltro producendo burocrazia e dunque corruzione (come qui si evidenziava), non si comprende perché non vi sia ancora un reale impegno a perseguire quella qualità normativa che, eliminando vincoli, libererebbe risorse per lo sviluppo e la competitività, senza il ricorso a sussidi né ad aggravi di spesa. Ogni onere ha un costo e lo si può misurare, ex ante oltre che ex post, perché non finisca per diventare eccessivo e, quindi, vessatorio. Gli strumenti ci sono e si declinano in termini di trasparenza: è ora di farli funzionare.

 

Le opinioni sono espresse a titolo personale e non coinvolgono in alcun modo l’ente di appartenenza (Consob)

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