21
Set
2011

Denuncia all’AGCM: Quella dell’Agenzia delle entrate è pubblicità ingannevole

Mentre le manovre si susseguono e i contribuenti capiscono che giorno dopo giorno i loro guadagni sono sempre più erosi dall’oppressione fiscale, l’Agenzia delle Entrate di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze e la Presidenza del Consiglio prosegue una campagna martellante per convincerci che veniamo tassati per il nostro bene, che più diamo allo Stato, più ci verrà restituito, perché le tasse ripagano tutti, mentre se siamo sull’orlo del baratro non è colpa di un apparato pubblico insaziabile, che ha raddoppiato la pressione fiscale in 40 anni impoverendo la nostra economia, che divora metà delle ricchezze prodotte dal paese, bensì del vicino cattivo che non fa lo scontrino.

Come ConfContribuenti abbiamo, un po’ per provocazione, un po’ perché ci sentiamo noi stessi presi in giro, ma sicuramente per dire la nostra, denunciato l’agenzia delle entrate per pubblicità ingannevole.

Riportiamo di seguito le motivazioni della segnalazione trasmessa all’AGCM.

Nella prima parte si contestano alcune affermazioni contenute nello spot denominato “Se”, un inno alla bontà della spesa pubblica irresponsabile e alla finanza allegra, alla fiducia cieca in uno Stato che però (questo la pubblicità non dice) viene sempre più considerato dagli investitori a cui chiede di comprare titoli di stato un soggetto poco affidabile.

 

La pubblicità è idonea ad indurre in errore le persone fisiche e giuridiche alle quali è rivolta. Infatti, nello spot si afferma che “Se tutti pagano le tasse, le tasse ripagano tutti. In servizi.”. Ciò non risponde al vero. L’impiego delle risorse estorte attraverso l’imposizione fiscale è disciplinato con legge dello stato e con legge regionale, oltre che con i provvedimenti amministrativi adottati in esecuzione delle medesime in ossequio al principio di legalità di cui all’articolo 97 della Costituzione. Il potere legislativo è in primo luogo esercitato dal Parlamento; per l’approvazione delle leggi ordinarie e della legge di bilancio è sufficiente la maggioranza dei presenti. La maggioranza parlamentare, rappresentativa di una parte degli aventi diritti al voto (a titolo di esempio, la coalizione vincente nel 2008 è stata votata da 17 milioni di votanti, a fronte di 47 milioni di aventi diritto e 57 milioni di abitanti) e dunque di una minoranza della popolazione, decide dunque quali servizi e prebende a favore di quali soggetti vengono erogati e elargite dalle pubbliche amministrazioni. Non tutti vengono quindi ripagati in misura corrispondente a quanto versato all’erario. Alcune categorie ed alcuni soggetti, più influenti, vicini alla classe di governo e organizzati, godono di benefici più ingenti, a spese di altri.

Nel messaggio pubblicitario si afferma che se tutti pagano le tasse “i servizi sono più efficienti”. Anche questa affermazione è falsa. Il tasso di efficienza, principio che dovrebbe informare l’attività amministrativa ai sensi dell’articolo 1 della legge 241/90, è dato dal rapporto tra servizi erogati (in termini qualitativi e quantitativi) e costi sostenuti. Maggiori entrate fiscali conseguenti al pagamento delle imposte da parte dell’intera collettività vanno a incrementare la disponibilità finanziaria delle pubbliche amministrazioni. Non è detto che queste aumentino in modo più che proporzionale la qualità e la quantità dei servizi. Anzi, osservando l’andamento della spesa pubblica e della pressione fiscale nel corso della storia repubblicana, si ravvisa un costante aumento dei costi della pubblica amministrazione, della spesa pubblica e della pressione fiscale, a fronte di servizi percepiti come scadenti, non raffrontabili nemmeno lontanamente con i costi sottesi. Il trend registra negli ultimi decenni più tasse, più sprechi. Non più efficienza.

La seconda parte è relativa allo spot “parassiti”, un inno all’odio e alla guerra civile che sembra voler distogliere lo sguardo dai malanni provocati da decenni di crescita folle della spesa pubbilca e del parassitismo di stato:
Il messaggio pubblicitario raffigura l’evasore come un parassita della società. Per quanto sia vero che egli fruisce di servizi erogati in regime di monopolio dalla pubblica amministrazione, occorre osservare che ad egli è spesso negata la scelta. La forte presenza dello stato e dei diversi livelli di governo non consente una libera concorrenza tra soggetti in posizione eguale. Il termine “parassita” potrebbe attagliarsi ancor meglio a quanti approfittano dell’onnipresenza del settore pubblico per insediarsi in posizioni di rendita interne alla pubblica amministrazione o a società a controllo pubblico, sostentandosi delle risorse che i privati cittadini sono tenuti coattivamente a versare attraverso l’imposizione fiscale, al riparo dai segnali di prezzo che un mercato libero della domanda e dell’offerta altrimenti garantirebbe. Il carattere parassitario è dunque più presente nei poteri pubblici che impongono il pagamento di un corrispettivo a fronte di un servizio da essi stessi determinato in modo autonomo. A ciò si aggiunga l’inopportunità per un soggetto, la pubblica amministrazione, che ritarda i pagamenti in media di 86 giorni di accusare quanti faticano ad adempiere agli oneri fiscali (tributari e contributivi), che superano ormai la metà dei guadagni di un’impresa o di un lavoratore.

Infine le conclusioni. Una pubblicità è ingannevole se ha un’influenza sul comportamento delle persone cui si rivolge:
A causa del suo carattere ingannevole, la pubblicità può pregiudicare il comportamento economico dei destinatari ed è idonea a ledere i principi stessi della libera concorrenza, della società aperta e delle libertà individuali. Un apparato statale in stile orwelliano, che tenta di convincere con una propaganda martellante che ogni tipo di imposizione restrittiva dei diritti di proprietà e libertà economica è giustificabile e giustificata bene comune, mentre i delatori sono elementi pericolosi per la società vuole indurre gli individui ad accettare il giogo, alla rinuncia di sé stessi, ed anzi a provare odio per chi “fa il furbo” o sembra voler fare il furbo per evitare il peso del Leviatano.
In un momento come questo la società dovrebbe prender coscienza, di fronte alla crisi del debito sovrano e ai fallimenti dello Stato, dell’insostenibilità di una spesa pubblica abnorme e di una presenza dello stato pervasiva, dell’impossibilità di un futuro di crescita con una pressione fiscale raddoppiata negli ultimi cinquant’anni.

Ora, ai sensi del Regolamento AGCM in materia di pubblicità ingannevole, il responsabile del procedimento dovrà avviare l’istruttoria e darne comunicazione all’Agenzia delle entrate, al Ministero dell’economia e delle finanze e alla Presidenza del Consiglio dei Minsitri, che a quel punto potranno presentare memorie scritte o documenti per esprimere il proprio punto di vista. Alla prossima, quindi!

11 Responses

  1. Marcello Floris

    Ho solo una parola da dire: ECCEZIONALE!
    Avete appena trovato un nuovo sostenitore che cercherà di fare proseliti.
    complimenti, complimenti, complimenti, e soprattutto grazie.
    Marcello Floris

  2. andrea

    Concordo ed aggiungo, utilizzando le parole scritte in un suo articolo dall’avv. Marco Della Luna http://marcodellaluna.info/sito/?p=637, che la propaganda di stato mistifica la lotta all’evasione.

    “In particolare, la c.d. lotta all’evasione è sempre stata e tuttora appare aliena dall’interessarsi alla vera evasione, ai grandi evasori (soggetti perlopiù corporate, che sono anche grandi elettori, quindi protetti dalla politica); essa consiste essenzialmente nell’aumentare le presunzioni di reddito indipendentemente dall’accertamento reale della sua consistenza, e nel mettere gli esattori in grado di prendere subito tutto, senza facoltà per il contribuente di opporsi e di avere un vaglio preventivo del giudice (per quel che conta il giudice speciale tributario, pagato dal fisco e ospitato nei suoi uffici): questo tipo di esazione esasperata e incontrollata è già adesso praticata in forma di saccheggio, di arraffare a più non posso, senza riguardo per alcuna ragione sollevata dal contribuente, e senza curarsi delle conseguenze distruttive per le imprese, perché tali sono le direttive che gli uffici delle entrate ricevano dall’alto: la partitocrazia ordina di portarle tutto il denaro possibile, forse perché si deve creare le sue riserve all’estero, in previsione del tracollo del paese. Alcuni funzionari del fisco raccontano che, nella loro azione, sono costretti, anche contro la loro coscienza e volontà, a distruggere le aziende, a metterle in condizioni di chiudere e licenziare. Se tali prassi si aggraverà, come la partitocrazia la sta aggravando, avremo presto un’ulteriore accelerazione della recessione e del flusso migratorio delle imprese, con conseguente peggioramento del rapporto pil/deficit già nel breve termine.”

    Ma soprattutto è mistificatorio dire:
    “che i guai sarebbero causati dai 240 miliardi di evasione fiscale che, se si recuperassero, sanerebbe i conti pubblici e consentirebbero di rilanciare l’economia. Niente di più falso. Il fatto che quei 240 miliardi siano presi o trattenuti, da chi li ha prodotti, in violazione delle norme fiscali, non implica che essi siano sottratti all’economia nazionale, che siano ricchezza reale annientata. Fa semplicemente sì che quei soldi, anziché spenderli lo stato ( i partiti), li spenda chi li ha guadagnati. Sottratto alla ricchezza nazionale è per contro il denaro che gli immigrati spediscono all’estero, o che questi, una volta ritornati al loro paese, ricevono come pensione dall’Italia. Se un imprenditore evade 10 milioni tra tributi e contributi, cioè li trattiene, e non li nasconde all’estero ma li usa per investimenti produttivi e/o per pagare il personale e/o per pagare i fornitori onde non fallire e/o per ridurre i costi onde non finire fuori mercato e chiudere, e/o per costruire una villa o uno yacht in Italia, allora il denaro in parola resta in circolo e stimola l’economia, e l’impresa sopravvive o si espande: niente viene sottratto al paese.

    Quindi si tratta di comparare i benefici per il paese dei due possibili impieghi di quei 10 milioni, ossia di stabilire se quei soldi, al sistema paese, rendano di più se li tiene in mano l’imprenditore che li ha prodotti, e li spende lui, oppure se l’imprenditore li dà al fisco e all’Inps e li spende lo stato, ossia i politici

    Inoltre bisognerebbe accertare quante imprese fallirebbero, chiuderebbero o emigrerebbero se non potessero più risparmiare tasse e contributi grazie all’evasione (tasse e contributi sono un costo della produzione).

    Analogo discorso va fatto per i lavoratori dipendenti con un secondo lavoro in nero, e per i pensionati che continuano a lavorare in nero, che quindi non pagano imposte sui redditi né contributi. Essi in buona parte perderebbero lavoro e reddito se dovessero essere regolarizzati – perché, se autonomi, subirebbero oneri tali da non starci dentro, e se dipendenti costerebbero circa il doppio e l’impresa non potrebbe sostenere il costo aggiuntivo. Oppure potrebbe, ma scaricandolo sui prezzi, quindi sul pubblico.

    Per fare tutti questi accertamenti occorrerebbe un’indagine comparativa, quantitativa e scientifica, che non mi risulta fatta o perlomeno disponibile al pubblico.

    Mistificatorio è anche dire che, se tutti quei 240 miliardi sinora evasi venissero invece dati allo stato, lo stato – la partitocrazia – potrebbe abbassare la pressione fiscale: la storia mostra che la partitocrazia italiana tende a prendere e controllare quanto più può del reddito prodotto dalla nazione, al fine di aumentare i propri profitti e il proprio potere di controllo sulla società. Se avesse 240 miliardi in più da spendere, semplicemente creerebbe 240 miliardi in più di spese, perlopiù improduttive o addirittura inutili, per farci le sue creste e le sue clientele. Come ha sempre fatto: pensiamo a tutte le opere pubbliche costruite senza utilità, o a costi moltiplicati, agli aumenti di stipendio che i parlamentari continuano a votarsi all’unanimità anche in questi tempi; pensiamo alle continue assunzioni di personale parassitario in certe regioni meridionali, pensiamo al continuo aumento dei costi sanitari paralleli al peggioramento delle prestazioni erogate e all’aumento del personale non medico, etc.

    che i guai sarebbero causati dai 240 miliardi di evasione fiscale che, se si recuperassero, sanerebbe i conti pubblici e consentirebbero di rilanciare l’economia. Niente di più falso. Il fatto che quei 240 miliardi siano presi o trattenuti, da chi li ha prodotti, in violazione delle norme fiscali, non implica che essi siano sottratti all’economia nazionale, che siano ricchezza reale annientata. Fa semplicemente sì che quei soldi, anziché spenderli lo stato ( i partiti), li spenda chi li ha guadagnati. Sottratto alla ricchezza nazionale è per contro il denaro che gli immigrati spediscono all’estero, o che questi, una volta ritornati al loro paese, ricevono come pensione dall’Italia. Se un imprenditore evade 10 milioni tra tributi e contributi, cioè li trattiene, e non li nasconde all’estero ma li usa per investimenti produttivi e/o per pagare il personale e/o per pagare i fornitori onde non fallire e/o per ridurre i costi onde non finire fuori mercato e chiudere, e/o per costruire una villa o uno yacht in Italia, allora il denaro in parola resta in circolo e stimola l’economia, e l’impresa sopravvive o si espande: niente viene sottratto al paese.

    Quindi si tratta di comparare i benefici per il paese dei due possibili impieghi di quei 10 milioni, ossia di stabilire se quei soldi, al sistema paese, rendano di più se li tiene in mano l’imprenditore che li ha prodotti, e li spende lui, oppure se l’imprenditore li dà al fisco e all’Inps e li spende lo stato, ossia i politici

    Inoltre bisognerebbe accertare quante imprese fallirebbero, chiuderebbero o emigrerebbero se non potessero più risparmiare tasse e contributi grazie all’evasione (tasse e contributi sono un costo della produzione).

    Analogo discorso va fatto per i lavoratori dipendenti con un secondo lavoro in nero, e per i pensionati che continuano a lavorare in nero, che quindi non pagano imposte sui redditi né contributi. Essi in buona parte perderebbero lavoro e reddito se dovessero essere regolarizzati – perché, se autonomi, subirebbero oneri tali da non starci dentro, e se dipendenti costerebbero circa il doppio e l’impresa non potrebbe sostenere il costo aggiuntivo. Oppure potrebbe, ma scaricandolo sui prezzi, quindi sul pubblico.

    Per fare tutti questi accertamenti occorrerebbe un’indagine comparativa, quantitativa e scientifica, che non mi risulta fatta o perlomeno disponibile al pubblico.

    Mistificatorio è anche dire che, se tutti quei 240 miliardi sinora evasi venissero invece dati allo stato, lo stato – la partitocrazia – potrebbe abbassare la pressione fiscale: la storia mostra che la partitocrazia italiana tende a prendere e controllare quanto più può del reddito prodotto dalla nazione, al fine di aumentare i propri profitti e il proprio potere di controllo sulla società. Se avesse 240 miliardi in più da spendere, semplicemente creerebbe 240 miliardi in più di spese, perlopiù improduttive o addirittura inutili, per farci le sue creste e le sue clientele. Come ha sempre fatto: pensiamo a tutte le opere pubbliche costruite senza utilità, o a costi moltiplicati, agli aumenti di stipendio che i parlamentari continuano a votarsi all’unanimità anche in questi tempi; pensiamo alle continue assunzioni di personale parassitario in certe regioni meridionali, pensiamo al continuo aumento dei costi sanitari paralleli al peggioramento delle prestazioni erogate e all’aumento del personale non medico, etc.

    che i guai sarebbero causati dai 240 miliardi di evasione fiscale che, se si recuperassero, sanerebbe i conti pubblici e consentirebbero di rilanciare l’economia. Niente di più falso. Il fatto che quei 240 miliardi siano presi o trattenuti, da chi li ha prodotti, in violazione delle norme fiscali, non implica che essi siano sottratti all’economia nazionale, che siano ricchezza reale annientata. Fa semplicemente sì che quei soldi, anziché spenderli lo stato ( i partiti), li spenda chi li ha guadagnati. Sottratto alla ricchezza nazionale è per contro il denaro che gli immigrati spediscono all’estero, o che questi, una volta ritornati al loro paese, ricevono come pensione dall’Italia. Se un imprenditore evade 10 milioni tra tributi e contributi, cioè li trattiene, e non li nasconde all’estero ma li usa per investimenti produttivi e/o per pagare il personale e/o per pagare i fornitori onde non fallire e/o per ridurre i costi onde non finire fuori mercato e chiudere, e/o per costruire una villa o uno yacht in Italia, allora il denaro in parola resta in circolo e stimola l’economia, e l’impresa sopravvive o si espande: niente viene sottratto al paese.

    Quindi si tratta di comparare i benefici per il paese dei due possibili impieghi di quei 10 milioni, ossia di stabilire se quei soldi, al sistema paese, rendano di più se li tiene in mano l’imprenditore che li ha prodotti, e li spende lui, oppure se l’imprenditore li dà al fisco e all’Inps e li spende lo stato, ossia i politici

    Inoltre bisognerebbe accertare quante imprese fallirebbero, chiuderebbero o emigrerebbero se non potessero più risparmiare tasse e contributi grazie all’evasione (tasse e contributi sono un costo della produzione).

    Analogo discorso va fatto per i lavoratori dipendenti con un secondo lavoro in nero, e per i pensionati che continuano a lavorare in nero, che quindi non pagano imposte sui redditi né contributi. Essi in buona parte perderebbero lavoro e reddito se dovessero essere regolarizzati – perché, se autonomi, subirebbero oneri tali da non starci dentro, e se dipendenti costerebbero circa il doppio e l’impresa non potrebbe sostenere il costo aggiuntivo. Oppure potrebbe, ma scaricandolo sui prezzi, quindi sul pubblico.

    Per fare tutti questi accertamenti occorrerebbe un’indagine comparativa, quantitativa e scientifica, che non mi risulta fatta o perlomeno disponibile al pubblico.

    Mistificatorio è anche dire che, se tutti quei 240 miliardi sinora evasi venissero invece dati allo stato, lo stato – la partitocrazia – potrebbe abbassare la pressione fiscale: la storia mostra che la partitocrazia italiana tende a prendere e controllare quanto più può del reddito prodotto dalla nazione, al fine di aumentare i propri profitti e il proprio potere di controllo sulla società. Se avesse 240 miliardi in più da spendere, semplicemente creerebbe 240 miliardi in più di spese, perlopiù improduttive o addirittura inutili, per farci le sue creste e le sue clientele. Come ha sempre fatto: pensiamo a tutte le opere pubbliche costruite senza utilità, o a costi moltiplicati, agli aumenti di stipendio che i parlamentari continuano a votarsi all’unanimità anche in questi tempi; pensiamo alle continue assunzioni di personale parassitario in certe regioni meridionali, pensiamo al continuo aumento dei costi sanitari paralleli al peggioramento delle prestazioni erogate e all’aumento del personale non medico, etc.

    è che i guai sarebbero causati dai 240 miliardi di evasione fiscale che, se si recuperassero, sanerebbe i conti pubblici e consentirebbero di rilanciare l’economia. Niente di più falso. Il fatto che quei 240 miliardi siano presi o trattenuti, da chi li ha prodotti, in violazione delle norme fiscali, non implica che essi siano sottratti all’economia nazionale, che siano ricchezza reale annientata. Fa semplicemente sì che quei soldi, anziché spenderli lo stato ( i partiti), li spenda chi li ha guadagnati. Sottratto alla ricchezza nazionale è per contro il denaro che gli immigrati spediscono all’estero, o che questi, una volta ritornati al loro paese, ricevono come pensione dall’Italia. Se un imprenditore evade 10 milioni tra tributi e contributi, cioè li trattiene, e non li nasconde all’estero ma li usa per investimenti produttivi e/o per pagare il personale e/o per pagare i fornitori onde non fallire e/o per ridurre i costi onde non finire fuori mercato e chiudere, e/o per costruire una villa o uno yacht in Italia, allora il denaro in parola resta in circolo e stimola l’economia, e l’impresa sopravvive o si espande: niente viene sottratto al paese.

    Quindi si tratta di comparare i benefici per il paese dei due possibili impieghi di quei 10 milioni, ossia di stabilire se quei soldi, al sistema paese, rendano di più se li tiene in mano l’imprenditore che li ha prodotti, e li spende lui, oppure se l’imprenditore li dà al fisco e all’Inps e li spende lo stato, ossia i politici

    Inoltre bisognerebbe accertare quante imprese fallirebbero, chiuderebbero o emigrerebbero se non potessero più risparmiare tasse e contributi grazie all’evasione (tasse e contributi sono un costo della produzione).

    Analogo discorso va fatto per i lavoratori dipendenti con un secondo lavoro in nero, e per i pensionati che continuano a lavorare in nero, che quindi non pagano imposte sui redditi né contributi. Essi in buona parte perderebbero lavoro e reddito se dovessero essere regolarizzati – perché, se autonomi, subirebbero oneri tali da non starci dentro, e se dipendenti costerebbero circa il doppio e l’impresa non potrebbe sostenere il costo aggiuntivo. Oppure potrebbe, ma scaricandolo sui prezzi, quindi sul pubblico.

    Per fare tutti questi accertamenti occorrerebbe un’indagine comparativa, quantitativa e scientifica, che non mi risulta fatta o perlomeno disponibile al pubblico.

    Mistificatorio è anche dire che, se tutti quei 240 miliardi sinora evasi venissero invece dati allo stato, lo stato – la partitocrazia – potrebbe abbassare la pressione fiscale: la storia mostra che la partitocrazia italiana tende a prendere e controllare quanto più può del reddito prodotto dalla nazione, al fine di aumentare i propri profitti e il proprio potere di controllo sulla società. Se avesse 240 miliardi in più da spendere, semplicemente creerebbe 240 miliardi in più di spese, perlopiù improduttive o addirittura inutili, per farci le sue creste e le sue clientele. Come ha sempre fatto: pensiamo a tutte le opere pubbliche costruite senza utilità, o a costi moltiplicati, agli aumenti di stipendio che i parlamentari continuano a votarsi all’unanimità anche in questi tempi; pensiamo alle continue assunzioni di personale parassitario in certe regioni meridionali, pensiamo al continuo aumento dei costi sanitari paralleli al peggioramento delle prestazioni erogate e all’aumento del personale non medico, etc.”

    Segnalo inoltre che ieri radio 24 incitava di suoi microfoni a praticare la delazione nei confronti di coloro che non emettono lo scontrino fiscale, giusto in linea di principio ma barbaro dal mio punto di vista come sistema!

  3. ottomorselli

    ottima iniziativa, anzi dovremmo fare una contropubblicità; non pagare le tasse ( o una parte di esse) FA BENE ALLO STATO.
    Spiego il perchè: lo stato italiano è come un drogato che ha bisogno di sempre maggiori iniezioni di denaro per sopravvivere, spesso utilizzato in maniera improduttiva / clientelare ( assunzioni pubbliche, opere senza senso…etc..tutti sappiamo). Ora, non facciamo forse il suo bene se ( non dandoglielo ) non gli diamo la possibilità di spenderlo?? Poco per volta sarà costretto a ridurre le spese, mancando le entrate e nel giro di 20 anni ci togliamo dalle scatole 30/40% di spesa pubblica. E i ns figli staranno meglio

  4. Sig. Menegon/Confcontribuenti. Sono d’accordo col Suo articolo, e se c’è una semplice procedura da seguire (senza avvocati) sono pronto ad iniziare un’altra battaglia.
    I nostri “Onorevoli” percepiscono un “emolumento” comprensivo dello stipendio di un “portaborse”. Una piccolissima percentuale dei nostri politici regolarizza e paga le tasse per il proprio portaborse. Tutti gli altri preferiscono pagarli in nero. Sono i primi evasori e stanno alla Camera ed al Senato….

  5. Una grande iniziativa che spererei essere riportata sui media nazionali e suscitare finalmente qualche dubbio sulla voracità della politica e le loro casse di risonanza: giornalisti e guru vari del nulla

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