22
Set
2011

Sovrani e mercati: lunedì, a Milano, con il principe Hans-Adam II

Nel corso della storia molte cose avvengono un po’ per caso o, meglio, in assenza di un disegno deliberato. Blaise Pascal sottolineò che se il naso di Cleopatra fosse stato un po’ più lungo, e quindi se quella donna avesse esercitato meno fascino su Cesare e Augusto, l’intera storia sarebbe potuta essere differente.

La sopravvivenza dei cantoni svizzeri e, ancor più, di piccole realtà come Montecarlo, Liechtenstein, San Marino o Andorra è certamente il frutto di una serie di contingenze, grazie alle quali il trionfo dello Stato moderno (basato sul modello centralista, colbertista e burocratico di stampo francese) ha finito per risparmiare queste entità politiche. Il fatto che tali minuscole istituzioni siano oggi assai più ricche e meglio amministrate del resto del continente è un dato bruto, sotto gli occhi di tutti, da cui certo non si può ricavare alcuna legge. Dovrebbe però suscitare il desiderio di approfondire il tema.

Ciò sarà possibile a Milano, lunedì 26 settembre, quando su invito dell’Istituto Bruno Leoni il principe Hans-Adam II, sovrano del Liechtenstein, presenterà un suo recente libro intitolato “Lo Stato nel terzo millennio” (edito da IBL Libri e in vendita a 20 euro), in cui si delineano le caratteristiche fondamentali di istituzioni politiche in grado di fronteggiare le maggiori sfide del presente.

Il volume, va riconosciuto, è una lettura assai interessante. Nel corso della sua vita politica e lavorativa, Hans-Adam II ha avuto infatti l’opportunità – come egli stesso sottolinea nella Prefazione al volume – di

considerare lo Stato da molti, differenti punti di vista: in qualità di Capo di Stato; di uomo politico, che in una democrazia diretta deve conquistare il voto popolare; in quanto uomo d’affari, attivo non soltanto nel proprio Stato, ma anche in altri continenti; infine come storico dilettante, affascinato dall’evoluzione dell’umanità e che si è occupato dell’influenza della tecnologia militare, del commercio e dell’economia sulla grandezza degli Stati.

Proprietaria di un importante gruppo bancario, la casa regnante del Liechtenstein si trova da tempo nell’interessante posizione di chi, da un lato, amministra un piccolo territorio e, dall’altro, si trova a fare i conti ogni giorno con i problemi, gli intralci, l’esosità e l’inefficienza di apparati statali che – specie in Europa – sembrano voler sbarrare in tutti i modi la strada a quanti intendono fare, intraprendere, lavorare, produrre.

Nel libro, dunque, la voce del principe-imprenditore ha un tono molto netto quando sottolinea la necessità di costruire una democrazia autentica, che non si faccia intrappolare dagli interessi delle caste politiche, dei dipendenti pubblici, dei gruppi di interesse. Uno Stato può avere senso, dice il monarca liechtensteiniano, se esso si mette al servizio dei propri cittadini e restituisce loro più di quanto riceve, e soprattutto se ne rispetta i diritti individuali. Se insomma si rivela utile alla popolazione e ne agevola le attività.

Da qui il progetto di uno Stato che da un lato deve ritrarsi sempre più, lasciando spazio alle imprese di mercato, e dall’altro deve agire anch’esso come un’impresa capaci di reggere la competizione.

Va ricordato, per giunta, che le piccole realtà politiche europee hanno cominciato a svilupparsi e a crescere quando hanno iniziato a sfidare i grandi Stati nazionali, entrando in concorrenza con loro. Sforzandosi di offrire servizi di qualità in cambio di una tassazione assai moderata, le minuscole comunità politiche sono rapidamente diventate l’approdo di imprese, individui e capitali vogliosi di sottrarsi alla rapacità dei sistemi politici maturi. E mentre in Francia, in Germania o in Italia l’imposizione fiscale cresceva sempre più, di pari passo aumentava il numero di quanti cercavano rifugio a Zurigo o in Lussemburgo, a Monaco o a Vaduz.

Gratificato dai risultati ottenuti sul “quasi-mercato” dei governi europei (dalla capacità di trarre vantaggio dalla competizione istituzionale), il Liechtenstein ora si candida anche a luogo di sperimentazione di soluzioni politiche avanzate, che traducano nei fatti talune ardite teorizzazioni liberali. In questo senso, il libro è una riflessione teorica e, al tempo stesso, il resoconto di una serie di decisioni premiate dal successo: come nel caso dell’adozione di quel sistema previdenziale a capitalizzazione grazie al quale ogni lavoratore costruisce, anno dopo anno, quella ricchezza personale che, in età avanzata, sarà convertita in un vitalizio.

Il testo contiene varie idee sorprendenti, molte delle quali sono già inserite nella costituzione del principato (modificata nel 2003). Meno di dieci anni fa, infatti, Hans-Adam II si è lanciato in una battaglia politica – coronata dal successo – per aumentare la capacità di governo del sovrano stesso, attenuando il ruolo dei politici eletti. In qualche modo, egli ha voluto avvicinare il Liechtenstein a un’impresa di cui il principe sia in qualche modo l’amministratore delegato: e infatti la nuova carta fondamentale introduce la possibilità di “licenziare”, per via referendaria, sia il principe sul trono che l’intera casa regnante, diventando una repubblica.

Oltre a ciò, la costituzione offre a ognuno degli undici comuni che compongono il territorio di convocare un referendum e secedere: dando vita a un’entità autonoma o entrando in un altro Stato (Svizzera, Austria, ecc.).

Il senso dell’operazione è molto chiaro e, richiamando alla mente la più importante figura della scienza politica italiana del Novecento, assai “migliano”. In fondo, lo stesso Gianfranco Miglio fu sempre mosso dalla necessità di evidenziare i rapporti di responsabilità – il suo interesse per il decisionismo veniva da lì – e proprio per questo, in tarda età, fu attratto dalle logiche del federalismo più radicale e perfino da talune tesi libertarie.

Probabilmente c’è molto di casuale nella sopravvivenza di un’antica realtà medievale come il Liechtenstein, mentre ad esempio Venezia o la Lega Anseatica sono scomparse. Ma c’è ben poco di fortuito nel fatto che proprio da questo istituto sorto “prima” dello Stato moderno e “fuori” dalle sue logiche oggi vengano a noi idee, progetti ed esperimenti che intendono  aiutarci a progredire verso una società più libera.

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7 Responses

  1. Francesco Morosini

    Bello. A patto che la Nato ne protegga, come nel resto dell’Occidente, l’economia. Naturalmente assumendosene le spese.

  2. lionello ruggieri

    Anche la mafia funziona molto bene e raggiunge i suoi obiettivi più efficacedmente degli stati, ma non è un buon motivo per imitarla. Inoltre è strano che un “monarca” parli di democrazia quando il suo incarico non viene certo da un procedimento democratico

  3. Piero Sampiero

    Temo che il modello del Principato funzioni esclusivamente in realtà molto piccole e non sia compiutamente esportabile in paesi di medie o grandi dimensioni, dove la complessità dei problemi (penso, ad esempio, alla mafia) sovrasta l’innovazione profonda e le riforme di ampio respiro.
    Altrettanto dicasi per la democrazia diretta, istituzione benemerita, che peraltro porta con sé il rischio della ‘dittatura della maggioranza’, contro cui lo stesso Benedetto XVI ha manifestato dubbi e perplessità, nel recente discorso al parlamento tedesco, per la salvaguardia dei diritti individuali e la tutela delle minoranze.
    E’ in ogni caso positivo che un Principe – banchiere illuminato illustri tesi interessanti e diffonda idee utili per un ammodernamento del sistema statale e bancario di altri paesi, compreso il nostro.L’evento merita un’ampia risonanza.

  4. Rispetto il Principe Hans-Adam II e il suo operato … ma le differenze tra reggere l’economia di un principato come il suo o di una nazione come l’Italia è sotto gli occhi di tutti; oltretutto come viene giustamente fatto notare nel post c’è una serie di fortunate casualità che ne ha assicurato la sopravvivenza nei tempi passati, adesso è (quasi) tutta in discesa, è come nascere ricchi di famiglia!

  5. Carlo Lottieri

    Provo a rispondere, per quanto mi è possibile, ai commenti.
    @ Francesco Morosini. Certamente: quel principato è opportuno che si doti, come qualunque altra realtà (che si tratti della Repubblica Ceca, del Montenegro come della stessa Italia), di un qualche sistema di relazioni diplomatiche e alleanze. E’ pur vero che, al momento, non ha nulla da temere dai propri vicini – Svizzera e Austria – ma ci possono sempre essere minacce provenienti da altrove. Non so se la Nato sia necessariamente la soluzione migliore, ma questo è un altro discorso.
    @ Lionello Ruggieri. Il Liechtenstein imita la mafia? A me pare che gli Stati tradizionali imitino la mafia, e abbiano anche contributo a generarla. In ragione delle sue piccole dimensioni (limitato costo di “exit”), il Liechtenstein semmai sta imitando sempre più le imprese: e così si presenta. E’ un sistema giuridico-politico che costa poco (bassa tassazione) e che rende molto (alta efficienza), e quanti trasferiscono lì le proprie risorse lo vanno volontariamente. Tipicamente, l’offerta che non si può rifiutare (per parlare come Marlon Brando nel “Padrino”) è quella che viene dall’Agenzia delle Entrate degli Stati nazionali moderni, e non dalle piccole giurisdizioni che cercano di attrarre a sé noi e i nostri soldi.
    @ Piero Sampiero. In parte è vero: forse la principale virtù di un Principato come il Liechtenstein sta nelle sue limitate dimensioni, e quindi quelle virtù difficilmente si possono trovare in Stati di media e grande dimensione, in cui la classe politica riesce facilmente a fare quello che vuole e a non rispondere mai di nulla. Ma ogni Stato di grandi dimensioni può sempre essere scomposto in piccole realtà: per fortuna la storia è aperta. In secondo luogo, alcune di quelle virtù, in realtà, sono importabili. Il modello pensionistico a capitalizzazione, ad esempio, è stato adottato per la prima volta in Cile e poi è stato fatto proprio – in tutto o in parte – anche in altri Stati non proprio piccolissimi (la Svezia, ad esempio).
    @ Assicuri. Credo di aver risposto, in parte, a queste considerazioni, e certamente le contingenze e il caso giocano un ruolo fondamentale: sempre. La Svizzera ad esempio si è trovata a sposare la neutralità non per scelta, ma per il sommarsi di una serie di situazioni: e questo le ha evitato un gran numero di morti. Aggiungo però che le piccole realtà politiche europee – vale per il Liechtenstein come per Montecarlo – sono esplose dal punto di vista economico nel Novecento e soprattutto nella seconda parte. In qualche modo, sono diventati ricchi di recente, anche se certo hanno avuto la chance di sfruttare alcune occasioni storiche straordinarie. Comunque è vero che chi si trova imprigionato negli Stati costruiti dal nazionalismo ottocentesco è in una condizione decisamente peggiore.

  6. riccardo

    Un paio d’anni fa lessi un altro libro che mi sembra prospettare nel futuro (più o meno prossimo), un’analoga tipologia di Stato: “The Sovereign Individual”, di Lord Rees Mogg e James Dale Davidson. QUalcuno l’ha letto?

  7. erasmo67

    Ma la piantate di dire c….e ma questi staterelli sono prima di tutto dei paradisi fiscali.
    Non producono assolutamente nulla e vivono del pizzo che chiedono alle società ed algi individui che ivi prendoo la residenza o vi portano la loro ragione sociale.
    Certo che operano come la mafia, offrono per “poco” una protezione dalle famelice fauci del fisco delle nazioni normali che per gestire uno stato normale hanno bisogno di incassare le imposte da chi lavora e produce ricchezza.

    Ma senza questo pizzo, i suddetti staterelli illuminati di cosa mai vivrebbero?

    siete peggio della Gelmini

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