27
Apr
2009

99 mesi all’alba del giorno dopo

Il principe Carlo d’Inghilterra ha messo in guardia il Parlamento italiano: “ci rimangono solo 99 mesi prima di raggiungere il punto di non ritorno”, oltre cui “la storia ci giudicherà”. Il riferimento è, ça va sans dire, agli effetti catastrofici del riscaldamento globale. Peccato che, come hanno ricordato gli amici di Svipop, non più di un anno fa lo stesso principe avesse avvertito che ci restavano sì e no diciotto mesi. Escludendo l’ipotesi che il mio omonimo dal sangue blu spari numeri a capocchia, non resta che una spiegazione cabalistica. Infatti, le due cifre che compongono il numero 99, sommate assieme danno 18. Guarda caso, il significato del numero 18 è “nemici occulti saltano in qualsiasi momento. Malattie. Non commercio / affari”. Chapeau.
26
Apr
2009

Le vere liberalizzazioni spiegate agli inglesi

Nonostante che, sul fronte energetico, il matrimonio con Genova non sembri andare per il meglio, a Torino da qualche tempo si sta discutendo di un’altra alleanza nel settore dei servizi locali: quella con Milano che dovrebbe portare alla fusione dei gestori dei servizi di trasporto collettivo nei due capoluoghi del nord-ovest. Anche qui, però, non tutto sembra filare per il verso giusto. Il motivo del contendere è banale: Torino, pur portando in dote un patrimonio meno ragguardevole, vorrebbe non cedere il comando ai milanesi. La corsa all’aggregazione sembra d’altra parte aver contagiato l’intero settore del trasporto locale. Da pochi giorni è stata completata la fusione fra le aziende di Bologna e Ferrara. Analoga iniziativa è allo studio da parte delle società di Forlì, Cesena, Ravenna e Rimini e di quelle che operano in Provincia di Treviso. In Abruzzo ed in Umbria si ipotizza di costituire una holding regionale del trasporto pubblico. La motivazione “ufficiale” alla base di tali operazioni è la possibilità di conseguire economie di scala e, dunque, poter giocare alla pari con le grandi aziende europee del settore nelle future gare per l’affidamento dei servizi. Ora, non vi è dubbio che al confronto dei maggiori players europei, le aziende del nostro Paese siano dei nani. Il fatturato complessivo dei cinque maggiori operatori italiani è pari a circa la metà di quello dei singoli big europei. Non sembra però che la strada migliore per accrescere il livello di efficienza del comparto sia quella dell’accorpamento delle attuali imprese pubbliche. I più eclatanti risultati in termini di riduzione dei costi di produzione dei servizi di trasporto pubblico sono stati conseguiti nel Regno Unito non come conseguenza dell’aggregazione aziendale ma grazie all’apertura del mercato con l’eliminazione delle barriere all’entrata ed alla privatizzazione delle società controllate dagli enti locali. Nel decennio successivo alla riforma, il costo unitario dei servizi è stato pressoché dimezzato. Nel 2006 il costo di produzione di un bus-km nelle aree metropolitane inglesi (esclusa Londra), assommava in media a 152 pence, pari a circa 2,3 Euro, meno della metà di quello che si registra nelle maggiori aree urbane del nostro Paese. A Londra, dove è stata mantenuta una pianificazione unitaria del servizio, la strategia adottata è stata quella dello spezzatino, ossia l’affidamento tramite gara di quote parte del servizio, escludendo dalla partecipazione l’ex monopolista London Transport che è stata suddivisa in tredici unità operative tutte privatizzate nell’arco di un decennio. L’esatto contrario di quanto sta accadendo a Roma dove la nuova amministrazione ha voluto ricostituire un’unica società per la gestione del servizio di tpl. Tale mossa consentirebbe, secondo quanto sostenuto dal sindaco Alemanno, “di avviare un processo di vera liberalizzazione”; infatti: “i processi di liberalizzazione e di regole imposte dall’Ue non possono prescindere da un fortissimo player pubblico, che deve operare nel settore”. La liberalizzazione inglese, evidentemente, è stata finta. Non ne siamo così certi ma cambieremo parere quando vedremo anche uno solo dei nostri campioncini municipali o regionali perdere una gara. Ci riesce difficile pensare che siano loro, sempre e comunque, i più efficienti tra i partecipanti.

PS
I comuni e le Province, oltre ai servizi di trasporto pubblico, acquistano molti altri beni e servizi. Perché non costituiscono per ciascun settore una società pubblica che concorra “alla pari” insieme a quelle private alle gare di appalto?

25
Apr
2009

BPM: Michels e’ vivo e lotta insieme con noi

Non ero mai stato all’assemblea di una Banca Popolare. Girare oggi per l’assemblea della BPM per me e’ stata un’esperienza interessante. Sicuramente istruttiva. La cosa piu’ evidente, a chiunque curiosasse per i due padiglioni della Fiera di Milano occupati dai soci riuniti in assemblea, era il patente senso di controllo del sindacato. Sia detto senza polemica, semmai anzi con ammirazione. La capacita’ organizzativa delle sigle che riuniscono i lavoratori della BPM era un capolavoro: la mobilitazione dei loro membri, impressionante. La distanza abissale che alla conta dei voti separa Mazzotta da Ponzellini, duemilacinquecento preferenze suppergiu’, si spiega (anche) cosi’. Il Presidente uscente, rotti i ponti con la sua vecchia constituency, si e’ trovato in un mese a mettere assieme la nave abborracciata dei soci non-dipendenti. Ha provato ad aggrumare interessi dispersi, e non concentrati. Non e’ facile. In democrazia, non ci si riesce quasi mai.
Il voto capitario, per gestire un’impresa quotata, e’ una spropositata follia.  Se hai il cinquanta per cento, conti comunque uno. Indipendentemente dalla preferenza che esprime, in piazza Meda l’azionista monocellulare di Seregno vale quanto il fondo Amber. E’ la forma cooperativa, certo. Ma e’ anche una cosa diversa dall’universo di regole che tipicamente regge un’impresa: e’ politica, pura e semplice.
Ecco perche’ l’assemblea della BPM andava letta attraverso gli stessi occhiali che si inforcherebbero per guardare qualsiasi altro evento politico. Studiando il partito socialdemocratico tedesco, Roberto Michels aveva formulato la “legge ferrea dell’oligarchia”: l’organizzazione è la madre del predominio degli eletti sugli elettori.
I sindacati riuniscono forze compatte, e per questo vincono le elezioni interne. E’ cosi’ perche’ altrimenti non potrebbe essere.
Pero’ almeno non spacciatecelo per un modello di governance. Raffaele Bonanni, quindi un leader sindacale nazionale e non un socio della BPM, ha rilasciato questa significativa dichiarazione:

Ha vinto la sintesi tra lo sviluppo di una banca sana e la democrazia economica: Siamo molto contenti per la vittoria netta conseguita dalla lista guidata da Ponzellini. È veramente un risultato importante che deve diventare ora un modello per tutto il sistema bancario italiano
La Cisl e le altre organizzazioni sindacali hanno sostenuto con convinzione e determinazione la candidatura di Ponzellini che rappresenta la giusta sintesi tra una gestione saggia e oculata della banca e la partecipazione dei lavoratori negli organismi di controllo della banca. Ma il successo straordinario consentito dai soci di Bpm  va oggi al di là dei confini della banca milanese e indica, nella democrazia economica, la strada imprescindibile per uscire con la partecipazione dei lavoratori dalla crisi economica.

La “democrazia economica” cosiddetta e’ un sistema nel quale la proprieta’ e il controllo, anziche’ essere ricomposte nel segno della responsabilita’ degli amministratori, sono disgiunte per statuto. Le oligarchie hanno bisogno di trincerarsi sempre dietro una “formula politica”: un belletto che vale ad occultare il gioco degli interessi. Prendiamo atto che la “democrazia economica” e’ il rossetto del sindacato. Per dir la verita’, non siamo sorpresi.

25
Apr
2009

Mobilità sociale ed errore statistico

Qualche giorno fa ha fatto scalpore in Parlamento l’audizione di Andrea Bardolini, che ha illustrato un paper pubblicato nei “Temi di discussione” di Bankitalia in materia di distribuzione dei redditi nel nostro Paese. Un paper dal quale si ricava che ogni presunta polemica sull’impoverimento relativo o assoluto è sbagliata, visto che non si registrano significative variazioni dell’indice di Gini come di altri indicatori classicamente usati in materia. Un’altra botta alla stantia polemica che pretende di misurare i fenomeni reddituali e sociali italiani sulla base degli indici di percezione, che aggravano ulteriormente un problema statistico di per sé già serio nel nostro Paese: quello della minor affidabilità comparata delle indagini su reddito e patrimonio delle famiglie, indagini nelle quali appunto ci si basa su risposte volontarie.
Un altro paper dei temi di discussione va letto in parallelo a quello di Brandolini. Si Tratta di “Measuring Wealth Mobility”, Bank of Italy Temi di Discussione (Working Paper) No. 703, di Andrea Neri. L’affidabilità delle indagini in materia è veramente inadeguata, vi si legge, tanto che questo fattore pesa, secondo l’autore, assai più del preteso rallentamento della mobilità socio-demografica, per interpretare la minor funzionalità dell’ascensore sociale nel nostro paese, rispetto a quelli di modello anglosassone
a Welfare più leggero, ma assai più accentuata ascesa a decìli di reddito superiori di decennio in decennio da parte di coloro che godono -un reddito disponibile minore. Prima di chiedere più Stato – Papà, dovremmo forse dotarci di un Istat diverso.

25
Apr
2009

Generali-Intesa: Geronzi c’è

Il patto annunciato ieri tra Generali e Crédit Agricole in Intesa è stato annunciato singolarmente ad assemblea di Generali ormai conclusa, ad evitare commenti impropri. Ma se è stata una sorpresa per osservatori e mercati, in realtà secondo fonti accreditate risultava in rampa di lancio da mesi. E’ una risposta “assicurativa” da parte di Geronzi nei confronti di Bazoli, al fine di rassicurare il presidente di Intesa che l’avvio a soluzione della cooperazione banco-assicurativa tra Trieste e Intesa non prelude affatto a una dissoluzione dell’ombrello protettivo che la banca d’affari “di sistema” continuerà a esercitare nei confronti della maggior banca commerciale anch’essa a pieno titolo “di sistema”, dopo l’operazione Cai e alla luce delle tante partecipazioni strategiche nel suo portafoglio. Non ci si sbaglia, insomma, interpretandola come l’ennesima conferma di un rapporto stretto e cooperante tra i due “grandi vecchi” del sistema bancario italiano, sempre che si associ il termine al peso che hanno e non all’età anagrafica.
Dal punto di vista del mercato, le autorità dovrebbero avere parecchio da chiedere. I francesi risultano impegnati a cedere entro l’anno oltre il 3% di Intesa che ancora detengono, poiché è la condizione che avevano pattuito con l’Antitrust in cambio degli sportelli di Cariparma. ottenuti da Intesa alla diluizione successiva alla fusione con il Sanpaolo della quale non furono né informati né tanto meno convinti ex post, visto che sanciva un ruolo transalpino esclusivamente da investitore finanziario nella banca italiana. Le indiscrezioni vogliono che i francesi chiedano all’Antitrust di rinviare la cessione delle quote, tranne miracoli nei corsi borsistici. Ma il patto annunciato ieri, che riguarda complessivamente quasi l’11% del capitale di Intesa mentre il salvataggio – anch’esso assai discutibilmente considerato “di sistema” – di Romain Zaleski ha portato la Tassara a poco più del 2%, ribadisce che, qualunque cosa in Generali si pensi della collaborazione operativa in materia banco-assicurativa, Mediobanca non si tira indietro dal difendere la stabilità della banca bazoliana. Non si comprende come l’eventuale lista comune Generali-Agricole possa non esprimere candidati del gruppo francese, visti gli impegni assunti con l’Antitrust. Ma questo naturalmente, è un altro paio di maniche, visti i tempi di eccezione alla concorrenza che ormai si applicano a qualunque materia e regola, con la scusa della crisi.

25
Apr
2009

Scajola, l’Indice delle Liberalizzazioni e l’Authority

Il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, ha forse letto il nostro Indice delle liberalizzazioni? A margine del vertice di Sofia, Scajola ha infatti dichiarato che “sul mercato elettrico italiano c’è competizione, ma sul gas siamo ancora indietro”. Quindi, “dobbiamo recuperare una logica di maggiore liberalizzazione e maggiore concorrenza. Ci lavoriamo in condivisione con i soggetti interessati, perché non dobbiamo sfasciare quello che c’è già”.

I soggetti interessati sono, principalmente, tre: l’incumbent, cioè l’Eni, i nuovi entranti, cioè tutti coloro che vorrebbero ma non possono ancora giocare del tutto la loro partita, e il regolatore. Scajola fa bene a non voler sfasciare l’Eni. Non solo il responsabile dell’Economia, Giulio Tremonti, non glielo lascerebbe fare, perché i dividendi che le aziende controllate dallo Stato pagano ogni anno sono ormai una vacca sacra assimilata a un’entrata fiscale (tant’è che il gruppo di San Donato non li ha neppure lievemente ritoccati, nonostante il suo bisogno di liquidità).
Soprattutto, sarebbe ridicolo voler uccidere una compagnia che funziona e funziona bene e, almeno in alcuni segmenti del suo business, è considerata un esempio di eccellenza. Tuttavia, occorre sottolineare che non c’è un nesso tra l’aumento del livello di competizione e le condizioni di salute di un’azienda; semmai, c’è un rapporto inverso. Nel settore elettrico, che come chiarisce lo stesso Scajola è stato aperto di più e meglio alla concorrenza, non solo l’Enel non è stata sfasciata, ma è diventata un’impresa vera, che segue logiche industriali e che ha conosciuto una crescita, sia dimensionale sia di efficienza, su cui dieci anni fa nessuno avrebbe scommesso neppure una lira.

A fronte di ciò, c’è il terzo attore: l’Autorità per l’energia. Quando il ministro dello Sviluppo economico dice che non bisogna sfasciare i soggetti esistenti, forse trascura la portata che in questo senso avrebbero i provvedimenti proposti dalla Lega e, si dice, da lui aizzati o comunque sostenuti, con l’obiettivo di far saltare l’attuale collegio. Il buon funzionamento di un mercato liberalizzato si regge proprio sull’autorevolezza e l’indipendenza del regolatore, e sull’orizzonte di certezza che esso è in grado di fornire. Si può pensare quello che si vuole degli attuali commissari, Alessandro Ortis e Tullio Fanelli, ma una cosa è certa: se la regolazione fosse “politicizzata”, sarebbe peggio. Tant’è che gli stessi soggetti regolati hanno avversato l’aggressione all’autorità.

Le parole di Scajola sono giuste e interessanti. Sarebbe utile che seguissero i fatti.

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24
Apr
2009

E’ YouTube l’Elba di Mazzotta?

Domani all’assemblea della Banca Popolare di Milano  sarà davvero un “mezzogiorno di fuoco”, come ha profetizzato oggi Paolo Madron in un articolo bello e chiaro sul Sole 24 Ore? La partita è complessa e non sono mancate le polemiche. Alcuni sono rimasti divertiti, dal fatto che una “istituzione medioevale” come una banca popolare abbia visto i due aspiranti chairmen duellare su YouTube (Francesco Micheli, e non solo lui). Altri hanno raccontato facendo nomi, cognomi e indirizzi la battaglia di potere, e gli interessi in gioco (Giovanni Pons su Repubblica). Altri hanno fatto un po’ di colore, sulla figura del Presidente presumibilmente entrante, il relazionalmente tentacolare Massimo Ponzellini, e quella del Presidente uscente, un ex politico ogni tanto schiettamente impolitico come Roberto Mazzotta (soprattutto il Corriere si è compiaciuto di rispolverarne l’antico soprannome, Napoleone). Altri ancora hanno constatato amaramente come, nel Paese che per vent’anni s’è arrovellato sul conflitto d’interessi, ora tolleri ombre di conflitti d’interessi un po’ ovunque (Il Riformista).
Vedremo come andrà finire. Massimo Ponzellini è stra-favorito, e certo come politico e arringatore d’assemblea non vale meno del navigatissimo Mazzotta. Il Presidente uscente se ne va però coi fuochi d’artificio, E’ interessante sbirciare i rispettivi video YouTube (on line con un suo “canale” Mazzotta, ospite del sindacato FABI Ponzellini), per i commenti. Sull’ultimo video di Mazzotta, fiocca una discussione anarchica. “morganablu” a margine del video di Ponzellini (777 views quando scriviamo) si chiede: “ma perché di qua nessuno parla?”.

24
Apr
2009

Brussels calling

Sono giorni d’attività frenetica, per le istituzioni europee, sul fronte tlc. Con risultati agrodolci. La buona notizia è il voto della commissione ITRE che scongiura (definitivamente?) l’accoglimento nel pacchetto Telecom della cosiddetta “dottrina Sarkozy”. Gli europarlamentari hanno, dunque, escluso l’obbligo – a carico dei provider – di disconnettere gli utenti che per tre volte si rendano protagonisti di violazione del diritto d’autore on line.

Desta, viceversa, grave preoccupazione l’approvazione – a maggioranza schiacciante – del regolamento sul roaming, che pone un tetto alle tariffe degli sms e del traffico dati e sforbicia i limiti già esistenti per il traffico voce. Si tratta di una decisione miope, che costituisce una minaccia per lo sviluppo della telefonia mobile nel medio periodo ed avrà – nel breve – l’effetto di redistribuire ricchezza dai clienti più statici (la grande maggioranza) a quelli più nomadi: per dire, gli europarlamentari…

Nelle stesse ore, anche l’avvocato generale della Corte di Giustizia europea, Poiares Maduro, ha fatto sentire la sua voce, sostenendo l’illegittimità della vacanza regolatoria promossa dal governo tedesco in tema di fibra ottica, in quanto non preceduta dalla necessaria analisi del mercato. Tale pronunciamento è a tutti gli effetti necessitato alla luce del framework comunitario, e non può stupire. D’altro canto, esso riafferma quanto la strada verso un mercato libero delle telecomunicazioni in Europa sia ancora lunga.

24
Apr
2009

Rosso porpora

I giornali scrivono oggi che il Papa avrebbe finalmente pronta quell’enciclica sociale di cui si parla da che è uscita “Deus Caritas Est”. L’uscita è fissata per il prossimo 29 giugno. Fra gli altri, si dedica al tema sul Riformista Paolo Rodari, che è un attento conoscitore dei flussi bidirezionali fra Vaticano e palazzi della politica. L’articolo di Rodari si intitola “Bersani, Tremonti e il nuovo club degli antiliberisti”. Si fa riferimento a due recenti occasione seminariali: un evento Aspen, al quale ha partecipato il cardinal Bagnasco. E il dibattito di Nens cui è intervenuto il cardinale Silvestrini, vecchia volpe della prima repubblica mai finita in pellicceria. Sull’enciclica “sociale” ovviamente aleggia l’ombra del cardinale Renato Martino, noto ai più per alcune uscite molto discusse in tema di politica internazionale e affezionato nemico dell’economia libera. Martino avrebbe dovuto incontrare egli stesso Tremonti nei giorni scorsi. Che cosa è emerso da questi dibattiti? La convinzione che

riflettere sulla crisi e sul modello di sviluppo economico che l’ha provocata, significa in qualche modo affondare il colpo su quella che Bersani ha chiamato «egemonia neoliberista». Un’egemonia che ha provocato lo sfacelo attuale. Un’egemonia che trova nella visione sociale cattolica un suo naturale nemico.

Ai politici piace fare i filosofi morali (pensiamo agli ultimi seminari organizzati da D’Alema con la sua Fondazione Italianieuropei), ai cardinali evidentemente piace fare gli economisti. Non stupisce che il cardinal Bagnasco faccia presente all’opinione pubblica le esigenze degli ultimi. E’ un po’ diverso che egli proponga una “cabina di regia”, cioè scelga la via della pianificazione pubblica degli interventi di solidarietà anziché quella della valorizzazione delle capacità d’azione, autonoma, libera e per questo autenticamente solidale, della società civile.
Personalmente ho un po’ nostalgia del Cardinal Ruini che, certo: fra mille cose, faceva uso della sua notevole influenza anche per promuovere l’adozione del buono scuola – dando espressione a una domanda di libertà educativa e religiosa. In generale, la Chiesa di quegli anni, un po’ per la caduta del comunismo, un po’ per il carisma di Giovanni Paolo II, pareva in generale più interessata a capire il capitalismo moderno, che a emettere giudizi affrettati. I quali, beninteso, non sono mancati. Ma il trend di lungo periodo sembrava essere un altro.
La Chiesa fa parte della società, e non c’è da stupirsi se in una società che ormai non ha più pudore nel fare l’apologia dell’economia di piano anche la Chiesa sia sempre più socialista. Ma si possono aggiungere due considerazioni. In primo luogo, la Chiesa di oggi ha un rapporto diverso con la politica italiana, da quello che aveva durante il precedente Papato. Il senso dei ruoli era diverso, e sia detto non per fare propaganda. Tuttavia, mi pare pacifico che la Chiesa non dovrebbe contraddistinguersi per l’avere un’agenda politico-civile, quanto per una proposta di vita nella quale la politica non è certo la dimensione più importante. Non mi permetterei certo di suggerire che questo sfugga al Pontefice attuale. Eppure la goffaggine (o la spudoratezza) dei suoi collaboratori che gestiscono le relazioni coi Palazzi romani, spesso porterebbe ad immaginarlo.
In seconda battuta, fa specie che “l’organismo mondiale che possiede la maggiore accumulazione di esperienze organizzative e propagandistiche” (Gramsci) si accodi speditamente ad analisi così abborracciate come quelle fatte proprie da questo “club degli antiliberisti”. C’è da preoccuparsi?